The Show must go on
Debutta al Giglio lo spettacolo che segna il ritorno sulle scene di Sandro Luporini, dopo quattordici anni di assenza.
Si pone lì, tra la musica e la parola; tra il plastico silenzio del leggio e il cigolio dell’orchestra in attesa.
Non ci è dato sapere al cento per cento se uno spettacolo come questo è espressione di coraggio o adattabilità ai tempi; se ci si accorda alla tradizione o la si avvicenda all’orizzonte presente. Di sicuro rimane quel senso di familiarità che traspare dalla voce narrante, rotto e ricomposto di volta in volta dall’intermezzo musicale.
È il diciannovesimo giorno di aprile; è qualcosa di confortante e tranquillo; è Lo Stallo, di Sandro Luporini.
Si parte con una scenografia pulita, un fondale luminoso e un singolo leggio in proscenio. L’orchestra occupa il palco quasi interamente, abbandonando il golfo mistico in cui è solitamente relegata. In effetti abbiamo a che fare con un’impostazione più da concerto: sullo sfondo, quel Teatro Canzone che deve il proprio successo all’artista toscano, già collaboratore di Giorgio Gaber.
Ma cosa dobbiamo aspettarci stando seduti, nell’attesa che il sipario si alzi?
Parlare di una trama o di una successione di eventi ne Lo Stallo sarebbe assurdo. Tutt’altro, lo spettacolo diretto da David Riondino enfatizza casomai la condizione di stasi, che il più delle volte accompagna l’età senile. L’opera si snoda innescata dal paradossale dialogo tra il narratore e una formica di passaggio sul pavimento di casa sua. Ne scaturisce un dibattito di argomenti, ognuno a sé stante e distinto, eppure in rapporto vicendevole, come perle infilate in una collana dei tempi che furono: l’età, la donna, il sesso, la casa, la morte. Pilastri di un’esistenza che è sia archetipica che specifica, che chiunque ha da fronteggiare nel proprio quotidiano, chiosata dai brani cantati, che si ripetono in una sequenza ordinata, scanditi dalla calda ugola di Chiara Riondino, sorella del regista, e Luca Ravagni, che l’accompagna nelle canzoni e ha suonato per Gaber.
Le considerazioni sulla vita, in gran parte volte al pessimismo, descrivono una realtà disorientante, in cui il protagonista, impersonato da David – voce profonda e rotonda – non è in grado di prendere parte allo scorrere dell’esistenza, rimanendone spettatore disilluso. E la sua inattività si riflette nella struttura stessa dello spettacolo, retto da un ordine monotono e da un senso di staticità ed essenzialità che occupa tanto il registro, quanto la disposizione della scena.
Caratteristica saliente dell’intero contesto narrato è il suo carattere ironico, secondo quel principio ormai assodato che individua nell’ironia la chiave principale per esorcizzare il dolore. L’atto del porre qualcosa sotto una luce comica ne determina il distacco ideale da se stessi. Di fatto, colui che scherza è in stato di grazia e, paradossalmente, è al contempo la prima vittima del proprio dileggio.
E dunque si passa così, tra amici che muoiono e amici che si dicono prossimi; tra eterni lasciati e memorie di madri fattrici. Di fronte a un presente che sfugge alla presa della mano, l’Io narrante si ripiega su di un mondo aneddotico di magico realismo, fatto di specchi che accusano, di librerie che piangono e vecchie sedie dalla dignità sostenuta coi denti, trovando in essi quel parallelismo che si fa via via più rarefatto coi propri simili. Poiché invecchiando, tutti noi diventiamo un poco i mobili del mondo, belli e polverosi, allo sfacelo. Si torna all’apparente semplicità di certe emozioni, di certi sentimenti un poco triti, celebrati o maledetti dall’insistenza delle canzoni, un contraltare sincero ai monologhi spesso bugiardi. E a far da tramite tra una vicenda e l’altra, la formica interpellata, una spalla cinica, una coscienza amara per il protagonista; e che, tuttavia, è in grado, nonostante le tinte dell’opera via via più grigie, di compiere da sola quel minuscolo atto che potrebbe volgere le cose: imparare a cantare. Che il salvifico cambiamento si attui o meno non ci è dato sapere: soltanto importa che si canti, che vada avanti lo show.
Perché tutto in questa vita è lecito. Tutto, fuorché il silenzio.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio
piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
giovedì 19 aprile, ore 21.00Lo Stallo
uno spettacolo di Sandro Luporini
musiche Simone Baldini Tosi, Marco Canepa, Fabrizio Coveri, Giulio D’Agnello, Pier David Fanti, Fabrizio Federighi, Meme Lucarelli, Chiara Riondino, David Riondino e Matteo Scheda
con David Riondino, Chiara Riondino e Luca Ravagni
e il gruppo musicale KhorakhanèPh: Andrea Luporini