La dolce indifferenza del mondo

Gifuni si cimenta in un reading/concerto de Lo straniero di Camus, accompagnato dalla selezione musicale di G.U.P. Alcaro, giovane musicista e dj.

Questa è l’intervista impossibile di Meursault, tornato a raccontarci la sua storia.

Il palco ospita solamente alcune valigie, la postazione di G.U.P. Alcaro, un leggio circondato da microfoni e un riflettore che proietta un accecante fascio di luce. La fedeltà al testo, ridotto da Luca Ragagnin, è assoluta.

Il romanzo è diviso in nove quadri: nella prima metà dello spettacolo, Meursault racconta con distacco della morte della madre, dell’inizio della sua relazione con Maria, di quella fatale giornata al mare in cui si troverà a uccidere un arabo, nemico del suo vicino di casa. Nella seconda metà, narra con disincantata ironia la sua esperienza in carcere, i colloqui con l’avvocato e il giudice istruttore, il processo e le notti che precedono la sua esecuzione capitale.

Questo è un testo scomodo, impietoso, di fronte al quale si ha l’impressione di arrendersi. Gifuni-Meursault non fa immedesimare gli spettatori nel personaggio, ma li scuote con domande tormentose circa la coscienza, la responsabilità, il destino, la possibilità di redenzione, e infine l’insensatezza e il vuoto. In un mondo di atomi irrelati destinati a morire senza lasciare alcuna traccia di sé, ogni azione è indifferente poiché già determinata: anche se si opponesse resistenza, il corso assurdo della nostra vita si compirebbe. Non vi è spazio per alcuna bellezza, né per alcuno stimolo all’azione che non provenga dai sensi: Meursault desidera il corpo tondeggiante e profumato di Maria, non certo il matrimonio, ha sempre gli occhi pieni del cielo, ma di un cielo senza Dio. Durante il processo Meursault, estraneo alle menzogne, ascrive candidamente il suo assassinio al fastidio del sole bruciante.

Per tutta la vita, quest’uomo dominato dalle sensazioni ha subìto l’esistenza, soggiogato dalla percezione della sua assurdità, dalla mancanza di un fine a essa preposto e di un ordine. Sorprendentemente, Meursault si abbandona per la prima volta a un sentimento durante il colloquio in cella col prete; tuttavia, questo sentire non è un moto di sdegno, non è indice di attaccamento alla vita, quanto piuttosto di una “felice” apertura al mondo, esperita proprio nel momento in cui si scopre che esso è un ciclo di nascita e morte, tanto indifferente quanto lo sono le sue creature: «Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. (…) E anch’io mi sentivo pronto a rivivere tutto. Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio».

Questo finale, così inaccettabile, vibra nella voce e nel corpo di Gifuni, in questi divini strumenti del suo teatro, per poi infrangersi con violenza su di noi.

Lo spettacolo è in scena
Teatro Niccolini
via Ricasoli, 3 – Firenze
fino a domenica 24 aprile

Lo Straniero, un’intervista impossibile
liberamente tratto da L’Étranger di Albert Camus
ideazione e regia Roberta Lena
elaborazione drammaturgica Luca Ragagnin
con Fabrizio Gifuni
suoni G.U.P. Alcaro
costumi Roberta Vacchetti
produzione il Circolo dei lettori di Torino