La vita oltre quel filo

Al Teatro dell’Orologio di Roma va in scena il monologo Lo zio Arturo: un attore e quattro pupazzi raccontano una storia da tramandare a tutte le generazioni future.

Olocausto è una parola che si pronuncia con prudenza e timore, poiché esprime un dolore storico ingiustificabile. Per quanto ci si sforzi, nessuno può comprenderne il significato più intimo se non ha vissuto quell’orrore in prima persona.

Si sono spesi fiumi di parole in rappresentazioni, libri e dibattiti sull’argomento: ciononostante, è ancora possibile affrontarlo con il pathos della prima volta. È quanto accade in Lo zio Arturo, il monologo interpretato con sentimento ed emozione impareggiabili da Mauro Marino nei panni di Peter Stone, voce narrante della rappresentazione.

Il racconto viene condotto come una confidenza tra amici, che si ritrovano dopo molto tempo a una festa. Ma si intuisce ben presto che i risentimenti mai sopiti prenderanno il sopravvento. Lo Zio Arturo – l’unico della sua famiglia a essere scampato allo sterminio – deve fare i conti con la rabbia di chi non può e non deve dimenticare. Dolorosamente sembra dover giustificare la sua sopravvivenza. «In fondo anche tu sei rimasto vivo», dice rivolgendosi a un altro: e in queste parole emerge la dignità massacrata di un uomo spogliato di tutto, solo tra milioni identici a lui, vittima di una ferocia razionalmente incomprensibile.

Si ha difficoltà a distinguere il testo dal dialogo interagito con la platea, ma è proprio questa soluzione scenica a garantire un maggiore coinvolgimento emotivo e un’identificazione forte con i sopravvissuti.

Pur essendo un monologo, il palco si riempie gradualmente di personaggi: sono pupazzi costruiti con gli oggetti che si possono reperire in un teatro – una sedia, una vecchia scala di legno o un riflettore spento – e che prendono vita attraverso il racconto di Peter Stone. Così le parole e i ricordi di lui regalano loro il dono di una comunicazione non verbale che dilania più di un grido.

Uno di loro è proprio lo zio Arturo, rappresentato come un pupazzetto di piccole dimensioni, forse per sottolineare il difetto di chi lascia la famiglia nell’orrore per mettere in salvo se stesso. Si continua a parlare, a respirare e a camminare. Ma è quasi impossibile vivere, dopo essere stati uccisi nell’anima.

«Tra le fronde del mio cuore gli uccelli non cantano più», così recita Wilem al di là del filo spinato del campo di sterminio, privato di tutto tranne che dei suoi pensieri.

Lo spettacolo continua:
Teatro dell’Orologio
Sala Grande
via dei Filippini, 17/a – Roma
fino a domenica 10 Aprile
orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 17.30
Florian Teatro Stabile d’Innovazione presenta:
Lo Zio Arturo
di Daniel Horowitz
traduzione Claudia Della Seta
regia Daniel Horowitz
con Mauro Marino