Ritratti d’autore

Un successo nato a Torpignattara e, passando per Edimburgo, Londra e Limerick, pronto a sbarcare e  sbancare New York: abbiamo parlato di Echoes con Lorenzo De Liberato (autore) e Stefano Patti (regista e interprete), scoprendo la visione lucidissima di chi scorge un futuro senza crisi.

Echoes, «un viaggio In un futuro distopico e vicino a noi»: come è nata l’idea di questo spettacolo?
Lorenzo De Liberato: «L’idea è nata ormai quasi cinque anni fa. Avevo appena finito di leggere Cosmopolis di Don DeLillo, un libro che parla della crisi economica da un punto di vista leggermente surreale e mi è venuto subito in mente di scrivere un testo in cui si parlasse degli stessi argomenti, però con una distanza dal nostro mondo che mi permettesse un pizzico di ferocia in più».

Come si è sviluppato il lavoro sul testo di Lorenzo De Liberato: una “canonica” conversione drammaturgica o una vera e propria collaborazione?
LDL: «Credo sia stata più una collaborazione. Lo spettacolo ha avuto diversi fasi e questa è stata la sua fortuna. Il testo ha avuto la possibilità di crescere di volta in volta venendo incontro ad esigenze diverse».
Stefano Patti: «La versione presentata al Fringe di Edimburgo e successivamente al Teatro Argot è frutto di un dialogo con l’autore: dopo il primo studio sul testo abbiamo sentito da dentro l’esigenza di approfondire il lato umano dei personaggi e Lorenzo ha accettato la sfida e rimesso mano alla storia, analizzando vari aspetti e potenziandola. Abbiamo reputato necessario una continua analisi del testo lasciandoci la possibilità di accogliere nuove suggestioni».

Le tematiche sono ambiziose e complesse («l’Amore, il Potere, l’Economia e la Religione»,), ma di facile individuazione. C’è stato un diverso riscontro presso il pubblico italiano e quello inglese (ndr: Echoes è stato rappresentato al Fringe Festival di Edimburgo)?
SP: «È stata una grande fortuna per me presentare Echoes anche all’estero. Il Fringe di Edimburgo è popolato da un pubblico variegato, appassionati di teatro da tutto il mondo che si pongono in maniera curiosa e aperta allo spettacolo dal vivo. Dopo le numerose repliche ci siamo fermati spesso a parlare e a confrontarci con la gente che era venuta a veder lo spettacolo, pubblico italiano, francese, inglese, giapponese, americano, spagnolo etc.
Quello che è uscito è stato interessante, curioso, anche positivamente scioccante. Più che il confronto tra pubblico italiano e inglese abbiamo notato differenze di risposta tra le diverse generazioni. Il pubblico giovane soprattutto è quello che è rimasto colpito dal format e dalle tematiche dello spettacolo».

Rimanendo al Fringe, uno dei più importanti festival di teatro del mondo, qual è il bilancio dell’esperienza?
SP: «Direi piuttosto positivo. Quando io e Marco Quaglia abbiamo deciso di presentare lo spettacolo al Fringe di Edimburgo ci siamo confrontati con un’organizzatrice che opera da anni al Festival, Stefania Bochicchio della Infallible Productions (con sede a Londra) che ci ha seguiti sin da subito nel percorso di iscrizione e promozione del progetto. Il testo è stato tradotto da Marco in lingua inglese e dopo un totale di 25 repliche (aggiungerei senza giorni di pausa) abbiamo avuto una buona media di spettatori e ottime recensioni (4 stelle da Wee Review e 5 stelle da Edinburgh Culture Review). In più, siamo riusciti ad organizzare un tour internazionale: nel 2018 Echoes verrà prensentato a Londra, Limerick (Irlanda) e in seguito a New York».

I riferimenti sono molteplici da The 100 a Black Mirror e 3%, ma anche Hunger Games. Per l’impostazione cinematografica e i potenziali sviluppi narrativi sembrano esserci tutti prodromi di una seconda stagione di Echoes. Siamo all’alba di una serialità teatrale? Quali problematiche porterebbe una prospettiva simile?
SP: «Quando ho letto per la prima volta Echoes nel 2013 ho subito immaginato una regia che potesse avvicinarsi a quella cinematografica: avevo un bunker, un tavolo e un’intervista. La presenza attiva di Marco Quaglia nella realizzazione del progetto ha reso tutto più facile perché è un attore che nella sua lunga carriera ha affrontato molti ruoli anche in cinema e televisione. I primi riferimenti sono stati Hunger di Steve McQueen (la scena tra Bobby Sands e il prete) e Sunset Limited con Tommy Lee Jones e Samuel L. Jackson (ambientato interamente in una stanza). Durante lo studio abbiamo analizzato anche Utopia (la serie TV scritta e diretta da Dennis Kelly che aveva le stesse tematiche che stavamo affrontando) e Revolver di Guy Ritchie (un potente viaggio nei meandri della psiche umana). Come vedi film e serie tv sono state molto importanti nella creazione di Echoes.
Per me Echoes finiva lì, con un finale aperto. Non ho mai immaginato che la storia potesse continuare ma dopo averlo rappresentato ed essermi confrontato con il pubblico ho notato che l’interesse per un sequel era molto alto. Al momento ci stiamo soffermando sul primo capitolo: sono tre anni che lo portiamo in giro e siamo solo all’inizio. Non escludo minimamente la realizzazione di una seconda stagione di Echoes, anzi l’idea mi alletta molto. Mi sono confrontato con l’autore Lorenzo De Liberato e con la produzione 369gradi e ci prenderemo del tempo per valutare i pro e i contro. Mi auguro vivamente che il format della serialità possa funzionare, questo potrebbe significare un avvicinamento maggiore del pubblico (soprattutto quello giovane) al teatro presentandogli un linguaggio a loro vicino, nuovo, forte, come i citati Black Mirror e Utopia ad esempio. Non sarà facile ma perché non sperimentare?».

Il progetto Echoes, nato al Teatro Studio Uno di Torpignattara, è riuscito a varcare con successo i confini nazionali. Quello dei tempi e delle modalità di produzione imposte dal sistema teatrale è un problema che lamentano molti artisti. Qual è il suo punto di vista? Quanto è – o dovrebbe essere – intangibile il tempo nella creazione artistica rispetto alle questioni legate a budget e al procacciamento di spazi e risorse?
SP: «Il sostegno di uno spazio come il Teatro Studio Uno è stato fondamentale per la creazione di Echoes: nel 2015 ho presentato il progetto alla direzione che ha voluto investire sulla mia prima regia teatrale. Lo spettacolo è al suo terzo anno di vita e sta crescendo di giorno in giorno grazie a un lavoro costante iniziato dal sottoscritto, portato avanti assieme a Marco Quaglia e Cristiano Demurtas e adesso seguito dalla società di produzione 369gradi. Dal Teatro Studio Uno siamo andati alle Carrozzerie n.o.t nel 2016, investendo più nel progetto grazie a una campagna di crowdfunding su Indiegogo che ha avuto molto successo e subito dopo abbiamo iniziato ad organizzarci per il 70° anniversario del Fringe Festival di Edimburgo. Non è stato un lavoro facile, ci vuole molto rigore, ambizione, ordine mentale; ma grazie a questo lavoro ho capito l’importanza della pazienza e della perseveranza, nonché dell’investimento continuo. Io son del pensiero che bisogna rendere speciale e unico tutto quello che hai e che ti circonda, anche se è apparentemente poco. Penso che Echoes sia una testimonianza concreta che un progetto con poche risorse iniziali possa avere una lunga vita grazie a un lavoro strutturato».

Chiudiamo con una domanda di carattere generale sui suoi prossimi impegni. Cosa dovremo aspettarci dal suo futuro, prossimo e remoto, artistico?
SP: «Mi piacerebbe continuare il mio percorso da regista dopo Echoes. Lì sono anche nel cast, nel prossimo progetto invece vorrei curare solo la regia. Al momento sto lavorando su un monologo che studio da più di un anno, questa volta un testo di drammaturgia inglese che ho proposto a Marco Quaglia. Il debutto dovrebbe essere nella stagione 2018/19 ma al momento non posso svelare altro».