Le relazioni difficili nell’epoca della depressione intellettuale (ovvero l’era dei radical-chic)

teatro-dell-orologio-romaAl Teatro dell’Orologio va in scena un testo che parla d’amore con le parole dell’odio. Due coppie a confronto appartenenti a mondi contrapposti: l’alta borghesia e la sua servitù. Un omaggio al film Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman attraverso una riscrittura noir.

È bianca e gelida l’atmosfera nella Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio quando il sipario si apre. La silhouette esile di una giovane donna incinta appare dietro uno dei pannelli alti e rettangolari che fanno da sfondo alla scena. Tra le mani impugna una bottiglia di vino bianco che deporrà nel secchiello con ghiaccio, accanto alla tavola elegantemente imbandita, affinché mantenga la temperatura giusta. A essere deposta però non sarà solo la bottiglia di vino, in questa mise en scène a opera di Leonardo Ferrari Carissimi e Fabio Morgan, ma le relazioni delle due coppie protagoniste, che si alternano sul palcoscenico.

La sera della festa del quarantesimo compleanno di Davide (Marco Cocci), uno psichiatra di successo di rango alto borghese, è il dramma della scarsa attitudine ad amare, a prendere il sopravvento. Gli invitati sono stati tutti rimandati a casa e la tavola bianca dal design raffinato, ricca di fiori bianchi più che di pietanze, accoglie alle sue estremità due coniugi belli, ricchi e intellettualmente dotati. In una escalation di sottili e insidiose considerazioni sulla validità del loro rapporto, Davide e Virginia lasciano cadere la loro vita matrimoniale in una spirale negativa, senza possibilità alcuna di riabilitarne qualche aspetto. Alla loro infelice relazione, apparentemente sembra contrapporsi quella della coppia di servitori, Angela e Fortunato, in attesa del loro primo figlio. Tuttavia non è il cliché dei “poveri ma felici” a essere la strada che gli autori hanno deciso di percorrere, bensì quella, anch’essa molto realistica, dell’infelicità di chi decide di illudersi di potersi avvicinare all’amicizia dei padroni. La seduzione del potere fa breccia nel cuore di Fortunato, cameriere meschino, che non si rende conto della manipolazione che il suo datore di lavoro esercita su di lui con l’unico obiettivo di colmare un vuoto umano lasciato dagli amici ipocriti e opportunisti. Ad accorgersene è invece Angela che, algida e severa, forse perché dalle umiliazioni subite ha saputo trarre un altro insegnamento, cerca di condurre il marito verso un percorso di vita più semplice e lontano da false illusioni. Ma il pensare di essere diventato amico di Davide è per Fortunato una facile illusione cui è difficile sottrarsi. A tutto questo porrà fine Angela, perseverante nella sua idea di vita perfetta lontana dalla ricchezza. Il finale è a sorpresa e non combacia con quello voluto da Bergman in Scene da un matrimonio.
Rispetto al contesto sociale degli anni ’70, epoca in cui fu girato il film, oggi il pubblico è disposto ad accogliere con più favore l’idea di un rapporto sfibrato destinato al logorio, rispetto a quella di un matrimonio felice “finché morte non li separi”. Il quadro che disegnano i personaggi in scena è quello di uno stato attuale presente nelle relazioni di coppia, dominato da aspirazioni distruttive e da intellettualismi che allontanano.

Con una costruzione fredda e attenta, la regia ha voluto connotare la recitazione di questo testo come una distaccata e lenta agonia. Tentativo sicuramente riuscito grazie ad attori che hanno ben interpretato i tempi molto larghi, dotandoli di una quasi costante indifferenza rispetto al passaggio delle emozioni al pubblico. Scelta questa che è inevitabilmente destinata a ripercuotersi sul generale livello di attenzione, che infatti difficilmente riesce a essere anche mediamente costante. L’ottima concertazione tra l’estetica bianca e gelida della scenografia e la magnifica musica di The Niro mal si accoppiano con una recitazione che ha scarsa tenuta fin dall’inizio. L’impressione è che la scatola temporale definita dalla regia finisca per intrappolare definitivamente gli attori in uno spazio agonico senza via d’uscita. Non rimane che infilarsi la giacca, con la sensazione di aver assistito a una rappresentazione che aveva tutte le possibilità di poter essere interessante, e che invece ne ha perso l’occasione. Come nelle relazioni difficili, che finiscono per arrotolarsi intorno a battaglie intellettuali, l’inconsistenza del contenuto emotivo non riesce a essere rimpiazzato da un packaging ben riuscito.

Lo spettacolo continua:
Teatro dell’Orologio
via de’ Filippini 17/a – Roma
fino a giovedì 15 maggio, ore 21.00

Progetto Goldstein, CKTeatro, Teatro dell’Orologio presentano
LOVE
L’amore ai tempi della ragione permanente – Omaggio a Ingmar Bergman
di Leonardo Ferrari Carissimi, Fabio Morgan
regia Leonardo Ferrari Carissimi
con Marco Cocci, Anna Favella, Gabriele Paolocà, Chiara Mancuso
aiuto regia Fabio Morgan
scenografia e costumi Alessandra Muschella
musiche The Niro
luci e fonica Marco Scattolini