Ritratti d’autore

More than a wallpaper e Supereroe, studio per spartito a pannelli per corpo e voce sono due performance andate in scena all’interno di Più che danza, festival dedicato ai linguaggi performativi contemporanei, ideato e diretto da Franca Ferrari. Abbiamo rivolto alcune domande a Luca Lombardi (autore di More than a wallpaper), Francesca Sproccati e Leonardo Bolgeri (autori e performers di Supereroe).

Charlotte Perkins è un’icona del femminismo contemporaneo, ma anche ispiratrice ideale del movimento antipsichiatrico del sessantotto e della riflessione attuale sulla mercy death. Quale aspetto, rispetto al contesto italiano, le sembra più attuale?
Luca Lombardi: «L’eutanasia è sicuramente un tema molto controverso nel nostro Paese, forse a causa dei troppi interessi in gioco, economici e spirituali. Una delle notizie principali di questi giorni, ad esempio, è la lettera lasciata da Loris Bertocco in cui spiega le ragioni che lo hanno portato a scegliere la strada della morte assistita. In molti punti della sua lettera riecheggiano le parole scritte da Charlotte quasi un secolo fa, quando, con grande coraggio, prese la medesima decisione. Riguardo al ruolo della donna resta ancora molto da fare, certi meccanismi e gabbie si ripetono, a volte in maniera anche peggiore, ai giorni nostri.  Parlando di disagio mentale, il confine è labile: i comportamenti socialmente accettabili cambiano a seconda del periodo storico e della cultura della società, le problematiche scaturite sono spesso soggettive e potrebbero essere lenite con il dialogo e il supporto di specialisti e con la cura dei familiari. Ci vorrebbe più sensibilità come persone, ma anche responsabilità come cittadini nel pretendere più attenzione da parte dello Stato su questo tema».

La messa in scena multidisciplinare privilegia una percezione sinestetica dell’allestimento per evitare la trappola del didascalismo: quanto questa scelta rientra nella vostra poetica, quanto nella necessità di trovare una restituzione efficace della complessità semi-biografica del testo della Perkins?
LL: «È totalmente una nostra scelta poetica. Il testo The yellow wallpaper mi ha conquistato fin da subito per la visionarietà. Soltanto dopo, approfondendo il personaggio di Charlotte attraverso la sua autobiografia e buona parte della sua produzione, sono emerse le altre tematiche e ho avuto modo di apprezzare la creatività, l’intelligenza, ma soprattutto la forza di questa donna.
Dora Visual Art crede che il teatro sia incanto e contenuto: se manca una delle due cose si perde un’occasione. L’intento è di raggiungere un pubblico con diverse sensibilità, farlo entrare in contatto con differenti linguaggi, che magari esclude a priori. Riflettere sulle cose con divertita leggerezza».

Dal punto di vista drammaturgico, dunque del testo, e di regia, dunque di direzione attorale, come si è svolta la collaborazione con Roberto Radaelli?
LL: «Una volta scritta la drammaturgia, mi sono confrontato con Roberto e insieme abbiamo creato i “quadri dello spettacolo” immaginandoci atmosfere e scene digitali. Successivamente abbiamo lavorato con i performers (riuniti sotto il nome Dora Artistic Ensemble), curando i singoli aspetti e amalgamando il tutto in base alle nuove energie che man mano scaturivano nell’incontro tra i linguaggi».

Avete previsto una distribuzione dello spettacolo?
LL: «Ci stiamo lavorando. Siamo una realtà nuova, perciò stiamo iniziando a farci conoscere. In questo momento vogliamo sviluppare il lavoro svolto, oliare i meccanismi e affinare certi passaggi».


Un spettacolo visivo e sonoro che, pur rimanendo semplice nell’allestimento, complica nella sintesi la propria restituzione mista di “pensiero coreografico e pensiero compositivo musicale”. Non è questa, dopotutto, una delle caratteristiche salienti del “potere dei mass-media”: promuovere “un processo di omologazione culturale” attraverso messaggi solo apparentemente näif?
Francesca Sproccati/Leonardo Bolgeri: «Infatti, apparentemente näif, i mass-media utilizzano un’estetica che viene sperimentata e comprovata da tempo, con un linguaggio infantile, ripetitivo e colorato. Supereroe, studio per spartito a pannelli per corpo e voce nasce invece da un desiderio di confronto di linguaggi puramente formale in relazione alla scrittura, in bianco e nero, una matita su un foglio di carta. La ricerca iniziale si è concentrata nel cercare un modo, che fosse nostro, per poter scrivere una partitura per suono e movimento. Questo primo passaggio ci ha rimandato al mondo dei fumetti, dove immagini statiche, scritte e disegnate, rimbalzano a noi come movimenti-azione e suoni-parole. Il contenuto dei pannelli è arrivato in un secondo momento ma è principalmente la forma a darne una lettura, a nostro avviso, attraverso il ritmo breve e ripetitivo dei pannelli che si consumano molto in fretta, apparentemente in maniera molto fredda e distaccata dai due interpreti, inizialmente meri esecutori, ma che nel corso della performance vengono completamente inglobati nel meccanismo. Mentre i mass-media promuovono un processo di omologazione culturale attraverso la staticità del linguaggio, per esempio i tormentoni hanno sempre la stessa struttura formale, Supereroe invece mette in relazione gli elementi, li sviluppa e trasforma per creare un discorso che evolve nel tempo. Per esempio, i pannelli che compongono la performance non sono fissi, vengono aggiornati con tormentoni attuali, ne vengono aggiunti di nuovi, si aprono nuove possibilità a seconda degli interpreti che si relaziono ad essi, eccetera eccetera».

L’essere umano al tempo dei mass-media sembra capace di rapportarsi al desiderio (proprio e altri) esclusivamente nella sua accezione consumistica. È forse questo il principale bersaglio critico del vostro spettacolo?
FS/LB: «Supereroe sicuramente tocca l’accezione consumistica del mondo ma non è il moto principale, è piuttosto una risultante dell’analisi del linguaggio applicato al nostro lavoro».

Come può (ammesso che possa) l’arte mettere in discussione questa involuzione antropologica?
FS/LB: «Non sappiamo se l’arte può mettere in discussione qualcosa in questo senso, o se ci sia la possibilità di un’involuzione antropologica, è una domanda quasi senza risposta perché siamo dentro una macchina troppo grande e quasi incommensurabile. Poi, l’arte tende a omologarsi con le stesse cose che critica, se critica, e ha un livello di profondità molte volte scarso e futile.
Nella sua genesi Supereroe  nasce da una domanda: quale può essere il cammino che possa unire la composizione musicale e la coreografia?  La risposta a cui siamo arrivati: la scrittura e, attraverso questo, immaginare suoni e movimenti. Forse è lì che l’arte può mettere in discussione qualcosa, nell’anacronismo del fatto creativo: abbiamo utilizzato solo una matita e un foglio nella creazione della partitura, lentezza e contemplazione di scrivere per poi leggere ed interpretare. L’economia povera del materiale e il come, con poco, riesca ad aprire un mondo di possibilità inimmaginabile ci ha poi portato  al mondo del fumetto, agli stereotipi della cultura pop, ai tormentoni e alla cultura delle masse. L’intenzione è di suscitare possibilmente un confronto, una discussione, ed è forse qui il nostro atto di resistenza: andare contro la velocità e l’immediatezza dell’era digitale in cui siamo sommersi».