Al Teatro don Bosco si restituisce onore alla grande tradizione operistica italiana: un caso isolato degno di attenzione soprattutto per il livello degli artisti coinvolti, capaci di restituire la passione del romanticismo di Donizetti.

L’opera lirica rappresenta uno dei nostri orgogli nazionali. Il melodramma è infatti un genere propriamente italiano, nato nel belpaese e che ha raggiunto le vette più alte da noi anche in epoca moderna. Non è un caso che si cantasse in italiano (un italiano aulico, petrarchesco e lirico) anche nei classici dei grandi maestri stranieri.

Una tra le stagioni più fortunate e ricche della storia dell’opera lirica italiana si ebbe con l’Ottocento, e provare solo ad accennare qualche nome sarebbe una scorrettezza nei confronti di quelli che verrebbero esclusi. Dicevamo, il melodramma è una di quelle cose di cui andare orgogliosi – peccato che non si tratti di un genere di particolare successo nella nostra contemporaneità: la televisione non ne parla – tranne per l’inaugurazione della Scala – i teatri sono sempre mezzi vuoti, nelle scuole non si studia musica né l’opera ha il suo posto a fianco della storia delle altre arti.

Quando emergono sporadiche occasioni di fine proposta culturale, è obbligatorio quindi promuoverle perché si tratta di autentica “resistenza” alle regole dominanti del mondo e della società. Una di queste è il Teatro Don Bosco – un centro culturale salesiano nella periferia romana – che offre, a prezzi popolari, oltre a una rassegna cinematografica, spettacoli di opera lirica di ottima qualità. Si tratta del collettivo Alfa Musicorum Convivium, composto da un’orchestra di giovani musicisti e da una compagnia di attori e cantanti di indubbio valore; una compagnia capace di offrire rappresentazioni più che dignitose di alcuni capolavori della lirica. Così è stato per Lucia di Lammermoor, capolavoro di Donizetti, massima espressione del romanticismo ottocentesco e opera di inaudita modernità e potenza – dai temi alle tecniche, che anticipano in diversi casi l’espressionismo.

Un ritratto sofferente e tragico di una donna impazzita per amore, vittima dei conflitti della storia, che muore assieme al suo amante perché solo nella morte può realizzarsi l’ideale ambito da entrambi, in un mondo che li vede contrapposti in quanto appartenenti a due famiglie aristocratiche rivali.

La regia dell’opera è di Ariele Vincenti, mentre direttore d’orchestra è Christian Starinieri. Tra gli interpreti, le sorprese più felici – oltre agli ottimi Andrea Carnevale (Baritono – Enrico Ashton) e Matteo Sartini (Tenore – Edgardo), che però cede nel finale in una delle arie più celebri, ovvero Tu che a Dio spiegasti l’ali (pronunciando in tono basso “Bell’alma innamorata”) – Alessio Magnaguagno (Basso – Raimondo) e Fausta Ciceroni (Soprano – Lucia), ai quali vanno i maggiori onori: lucidi e potenti nell’esecuzione, specie Lucia – fantastica nel delirio allucinato successivo all’omicidio di Arturo, quando, con le mani sporche di sangue e col pugnale, si aggira tra gli ospiti del suo matrimonio in maniera inquietante, mettendosi poi a interloquire
col flauto dell’orchestra in una sorta di sfida che raggiunge l’apice tra pazzia e drammaticità. Da elogio anche per Regnava nel silenzio, classico immortale eseguito magistralmente.

Un invito serio e sentito di accorrere alle prossime occasioni, a marzo, quando verranno messe in scena la Traviata e l’Aida di Verdi.

Lo spettacolo continua:
Teatro Don Bosco

via Publio Valerio 63 – Roma
fino a sabato 5 febbraio ore 21.00

Lucia di Lammermoor
di Gaetano Donizetti
libretto di Salvadore Cammarano tratto da La sposa di Lammermoor di Walter Scott
presentato da Alfa Musicorum Convivum
regia Ariele Vincenti
direttore d’orchestra Christian Starinieri
direttore del coro M.o Boido
con Fausta Ciceroni, Andrea Carnevale, Matteo Sartini, Alessio Magnaguagno, Andrea Fermi, Christian Maragliano e Michela Moroni