Per un’unica sera, il ritorno di Bob Wilson sulla scena milanese

ctr-milanoCon Beckett e col magnetico minimalismo del grande performer, il CTR inaugura nei locali storici della Triennale il nuovo corso della sua stagione.

L’ultimo nastro di Krapp, di Beckett, nella interpretazione di Bob Wilson, ha aperto al Teatro dell’Arte di Milano la rinnovata stagione del CTR. Assistendo a questo eccezionale evento mi domandavo come avrei potuto illustrare, in sintesi, la poetica di un personaggio, la cui qualifica (attore, performer, pittore, coreografo, …) sarebbe in ogni caso riduttiva. Tento di sopperire a tale difficoltà riportando una definizione dal New York Times, tratta dal programma di sala: “una pietra miliare del teatro sperimentale mondiale e un innovatore nell’uso del tempo e dello spazio in palcoscenico”.
La trama – se così si può chiamare – della pièce è molto lineare: in un luogo imprecisato, surreale, un uomo anziano e solo fa i conti col suo passato, instaurando un dialogo solipsistico con vecchie bobine sulle quali ha registrato, come in un diario, le stagioni della sua vita; riascolta con rabbia o con nostalgia reperti smozzicati; li commenta registrando altri frammenti.
Malgrado lo spettacolo fosse iniziato con tre quarti d’ora di ritardo, vuoi per motivi tecnici, vuoi per il traboccante afflusso di spettatori (c’era tutto il gotha del mondo teatrale lombardo), il pubblico ha atteso con pazienza l’alzarsi del sipario, ed è rimasto, come ipnotizzato, in silenzio, mentre nei primi quindici minuti in scena non succedeva nulla: irrompeva solo il rumore di una pioggia violenta, assordante, una serie di tuoni, in una luce livida, sgranata e fluttuante, come filtrata da vetrate dilavate dall’acqua. In una scenografia rigorosamente simmetrica, di un virulento bianco e nero, Bob Wilson, in calzoni e gilè, il viso calcinato, compiva gesti amplificati, come in un film muto dell’espressionismo tedesco; una lama di luce rivelava, a tratti, l’unica pennellata di colore: il paio di vistose, demoniache calze rosse da lui indossate. D’un tratto, con un gesto imperioso, magico (una citazione da La tempesta shakespeariana, o forse da L’apprenti sorcier nella lettura disneyana?), Krapp/Wilson fa cessare l’uragano.
Il fascinoso testo di Beckett (fatto di didascalie più che di battute), pur rispettato rigorosamente, sulla scena sembra dilatarsi, amplificarsi in ulteriori, inquietanti echi polisemici. Muovendosi con disinvoltura e autorevolezza su questo accidentato terreno, il grande istrione, forse un po’ appesantito nella figura, sa ancora spiazzare e catturare il pubblico col suo invadente minimalismo, con la precisione millimetrica del disegno di luci, con una gestualità ora leggiadra, ora robotica, e inchioda alle poltrone, per un’ora e un quarto, una platea strapiena.
Un’unica serata: una meteora. Ma certo una modalità sontuosa e di buon auspicio per inaugurare il nuovo corso di una storica istituzione culturale milanese, appunto il Centro di Ricerca per il Teatro che, ricomposta un’antica frattura, rinasce in forma nuova.

Lumpatius Vagabundus

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro dell’Arte di Milano

il 20 ottobre 2013

Robert Wilson in
L’ultimo nastro di Krapp
di Samuel Beckett
regia, scene e ideazione luci: Robert Wilson
Prodotto da CRT Milano / Centro Ricerche Teatrali