L’umanità tra tragedia e farsa

teatro-sala-fontana-milano1A quasi un secolo dalla sua prima rappresentazione la doppia faccia pirandelliana di un’umanità etichettante ma non etichettabile torna, con L’uomo, la bestia e la virtù, a riempire i teatri milanesi.

L’uomo, la bestia e la virtù è una commedia di Luigi Pirandello, scritta nel 1919 e tratta dalla novella Richiamo all’obbligo del 1906.
Portato in scena per la prima volta al teatro Olympia di Milano con scarsissimo successo, questo “apologo in tre atti”, come lo definì lo stesso Pirandello, è stato nel tempo apprezzato e rivalutato, arrivando ino al successo della rappresentazione diretta da Monica Conti, che ha riempito gli spazi del Teatro Sala Fontana.

Si tratta, stando alle parole del suo autore, di una “tragédie noyée dans une farce”, di una mascherata grottesca che nasconde e insieme mostra il ritratto di un’umanità che brandisce falsi e stucchevoli valori morali. Principi nei quali essa si crogiola e ai quali finisce per credere, muovendosi tra ipocrisia e finzione, tra vita e teatro, tra doppiezza e legami che tra di essi si includono, sottolineando il ruolo della finzione – non solo teatrale – non in opposizione alla verità, ma come potenziale veicolo di essa.

Su questo rapporto tra commedia e falsità si sofferma, attraverso una delle sue lezioni di latino, uno dei protagonisti della tragi-commedia pirandelliana: il professor Paolino, che incarna il primo termine della triade che compone il titolo dell’opera. È l’uomo, esempio di moralità e rettitudine. Almeno così sembra prima che le sue lezioni vengano interrotte dalla comparsa della signora Perella, madre di un suo allievo e moglie trascurata del Capitano Perella. I disperati conati di vomito della donna, incarnazione di virtù e castità, rigurgitano, in realtà, il peccato che la rettitudine morale dei due protagonisti non ha saputo evitare. Il grembo della timida signora Perella è colmo della disperazione di Paolino. Il professore, infatti, appresa la notizia della gravidanza di cui, visti i lunghi viaggi e la reticenza del Capitano verso i suoi doveri coniugali, lui è il solo artefice possibile, sente crollare sotto di sé le fondamenta della sua ineccepibile esistenza.

Come fare, dunque, per mascherare il frutto di questa peccaminosa (agli occhi del mondo) o garbatamente consolatoria (secondo Paolino) relazione extraconiugale? Bisogna assolutamente che l’unica notte in cui l’immorale Capitano Perella, la bestia che nel frattempo si è costruito una seconda famiglia a Napoli, farà ritorno a casa dai suoi lunghi viaggi in mare, ed assolva i propri doveri di marito in modo da far passare il nascituro come figlio legittimo di quest’ennesima farsa che è il matrimonio dei Perella.

Ecco, allora, che Paolino – con rettitudine accademica – si adopera al fine che tale unione avvenga, preparando torte afrodisiache con cui rimpinzare la bestia affamata al suo ritorno all’ovile, e imbellettando la donna per renderla piacente agli occhi del rivale. Anche qui il pathos tragico è mascherato da farsa: la torta rischia di essere mangiata dal figlio dei Perella e l’insieme di trucco, parrucco e vestiario con cui la signora è addobbata risulta ben lungi dal generare un’immagine eccitante e seducente.

Lo stratagemma, comunque, va in porto, nonostante l’ansia e l’insonnia di Paolino, che vaga tutta la notte sotto casa Perella in attesa del segno concordato con la donna (qualora l’accoppiamento fosse avvenuto, lei avrebbe esposto sul davanzale un vaso di fiori). L’indomani, non vedendo alcuna traccia floreale, Paolino, terrorizzato, si reca dai Perella, trovando la bestia in poltrona, spaparanzata nel proprio autocompiacimento, e la virtuosa moglie che sistema soddisfatta in balcone un vaso dopo l’altro.

L’ottima interpretazione dei protagonisti, le scenografie curate in ogni singolo dettaglio e l’abile utilizzo delle luci che scandagliano i fondi tenebrosi di questi personaggi in cerca non tanto di autori quanto di etichette che mostrino la loro sempiterna doppia faccia, (re)attualizza efficacemente la tematica pirandelliana della crisi dell’Io.

Questa commedia, che non a caso riscuote oggi più che mai un grande successo, dipinge e indaga la frammentarietà dell’animo umano. Una frammentarietà che, se da una parte si nutre di etichette che sappiano definire monoliticamente gli individui, dall’altra smaschera, mascherandosi, l’ipocrisia del credersi delle unità caratterizzate e caratterizzabili.

Nessun vinto e nessun vincitore, dunque: l’uomo, la bestia e la virtù mostrano le loro doppiezze e le loro interconnessioni, sfatando la dicotomia buoni/cattivi e il fittizio impianto valoriale a essa connesso alla volta di un relativismo psicologico e conoscitivo.

Il ritratto che la rilettura pirandelliana di Monica Conti ci offre con questo spettacolo è quello di un’umanità polimorfica che non può e non deve essere incasellata, l’idea nietzschiana di un’umanità che sia “un cavo teso tra la bestia e il superuomo”.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Sala Fontana
via Boltraffio 21, Milano
mercoledì 15 gennaio 2014, ore 20.30

e continua
fino al 2 febbraio 2014

L’uomo, la bestia e la virtù
di Luigi Pirandello
regia di Monica Conti
con Maria Ariis, Stefano Braschi, Monica Conti, Giuditta Mingucci, Antonio Giuseppe Peligra, Andrea Soffiantini, Alessandro Tedeschi, Roberto Trifirò
scene e costumi di Domenico Franchi
scene realizzate da Area Bianca, Concept Factory, Scuola di Scenografia dell’Accademia Santa Giulia di Brescia in collaborazione con Sergio Cangini
disegno luci di Antonio Zappalà
tecnica e fonica di Rossano Siragusano
assistente alla regia Giuditta Mingucci
assistenti alle scene Michela Andreis, Marina Garibaldi
assistente volontario Diego Becce
produzione Elsinor