L’istrione e il mediocre

Recensione M Il figlio del secolo. Al Piccolo Teatro Strehler di Milano, Massimo Popolizio dirige e interpreta M Il figlio del secolo, la biografia di Benito Mussolini firmata da Antonio Scurati.

Mettere in scena M Il figlio del secolo – la prima parte (pubblicata nel 2018) di una trilogia fluviale, ancora in fieri, di Antonio Scurati dedicata alla figura di Benito Mussolini – non è un’impresa da poco. Non solo per la mole dell’opera (circa 800 pagine), ma anche per la difficoltà di fare i conti con un uomo che per un ventennio ha sedotto il popolo italiano, guidandolo lungo un percorso disseminato di violenze e fino all’inevitabile approdo: la guerra al fianco della Germania nazista. Com’è stato ottenuto questo consenso? Quale relazione il nostro presente continua a mantenere con la sua persona? Alla fine del primo tomo il duce dice: «Nessuno voleva addossarsi la croce del potere. La Prendo io».

Massimo Popolizio, sempre più tentato dalle cure registiche (con ottimi risultati, se ricordiamo Ragazzi di vita da Pier Paolo Pasolini) si è addossato con umiltà («sono solo un impaginatore», ha dichiarato) la croce dello spettacolo, mettendo a frutto l’esperienza acquisita in alcuni grandi spettacoli ronconiani: immagini e soluzioni, se non vere e proprie citazioni di Gli ultimi giorni dell’’umanità e soprattutto di Quer pasticciaccio brutto di via Merulana serpeggiano infatti un po’ ovunque in questo adattamento.

Ma c’è una differenza. Mentre Ronconi mirava a rappresentare proprio l’irrappresentabile (le mille e passa pagine di Karl Kraus, per esempio, erano date nella loro interezza grazie alla simultaneità delle scene: lo spettacolo torinese del 1990 era il libro nella sua totalità ed eccedeva i limiti della fruizione di uno spettatore comune, che era autorizzato a ritagliarsi uno spettacolo alla sua portata), Popolizio – con la collaborazione di Lorenzo Pavolini – sintetizza, razionalizza e qualche volta semplifica: il testo è diviso in trentuno sketch, alcuni anche molto brevi, ma efficaci nella loro compiutezza, sempre godibili.
Ogni sezione o stazione di questo cabaret espressionista ricostruisce l’(ir)resistibile ascesa al potere del figlio del fabbro dal 1919 al 1924, concentrandosi su alcuni personaggi particolarmente significativi: Gabriele D’Annunzio, Margherita Sarfatti, Italo Balbo, Nicola Bombacci, Pietro Nenni, Giacomo Matteotti e la moglie Velia e su alcuni momenti storici come la marcia su Roma.

Il ruolo del duce è ripartito in due: Popolizio ritaglia per sé quella del Mussolini istrione (passando con grande virtuosismo dall’immagine grottesca e caricaturale di Petrolini che impersona Nerone intento a bruciare Roma all’ubriacatura vitalistica) e affida al bravo Tommaso Ragno una rappresentazione straniata del duce, recitata sempre in terza persona, senza nessuna intenzione naturalistica, dal momento che non gli somiglia neppure (la nota calvizie è sostituita da una curata candida chioma): e qui abbiamo un mediocre uomo comune, un amante affrettato e un politico improvvisato. Popolizio si serve poi della scenografia neutra disegnata da Marco Rossi (uno spazio vuoto, alcune quinte rettangolari e poi scale, letti, tavole su rotelle, in fondo un grande fondale su cui vengono proiettati i titoli delle singole scene, video e foto d’epoca raccolti e ricomposti da Riccardo Frati), dei costumi rigorosamente d’epoca e di ottima fattura di Gianluca Sbicca e anche degli interventi musicali di Sandro Saviozzi, che creano una sorta di tessuto sonoro che cementa e riempie i singoli quadri.

Lo spettacolo all’inizio si muove con passo felpato, preoccupandosi di gettare i mattoni dell’edificio da costruire, poi acquista ritmo attorno alla figura di Margherita Sarfatti (anche per la bravura di Sandra Toffolatti, una femme fatale non più giovanissima che si esalta all’idea di forgiare il politico di successo), spessore nel bellissimo dialogo con Pietro Nenni (Paolo Musio) e commozione nella rievocazione della figura di Giacomo Matteotti ( Raffaele Esposito, qui nella sua interpretazione più matura: l’uomo viene fuori nella sua complessa ricchezza morale) e delle moglie Velia Titta.

M Il figlio del secolo non è il biopic storico di un dittatore, ma un’epica grottesca e funerea, in bilico tra Bertolt Brecht e un’opera pop (cui non mancano molte citazioni cinematografiche: Fellini, Pasolini e persino Il Divo di Sorrentino, in cui Popolizio recitava il ruolo di Vittorio Sbardella) che intreccia un dialogo costante con il nostro tempo: in ogni episodio l’attenzione è sempre rivolta alla deriva democratica e alla politica improvvisata, oggi come ieri, guardando con preoccupato orrore all’esito violento della politica fascista. Mussolini, stupendosi del suo stesso successo, in una scena afferma: «Il fascismo forse, non è il virus che si propaga, il fascismo è il corpo che lo accoglie». Lo spettacolo di Popolizio (e il romanzo di Scurati) non è un monumento funebre di Mussolini, ma una biopsia del corpo malato della società italiana.

Lo spettacolo continua
Piccolo Teatro Strehler, Milano

fino al 26 febbraio 2022
Teatro Argentina, Roma
dal 4 marzo al 3 aprile 2022

M Il figlio del secolo
di Massimo Popolizio
tratto dal romanzo di Antonio Scurati
collaborazione alla drammaturgia Lorenzo Pavolini
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
video Riccardo Frati
suono Sandro Saviozzi
movimenti Antonio Bertusi
con Massimo Popolizio e Tommaso Ragno
e con (in ordine alfabetico) Riccardo Bocci, Gabriele Brunelli, Tommaso Cardarelli, Michele Dell’Utri, Giulia Heatfield Di Renzi, Raffaele Esposito, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Diana Manea, Paolo Musio, Michele Nani, Alberto Onofrietti, Francesca Osso, Antonio Perretta, Sandra Toffolatti, Beatrice Verzotti
produzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatro di Roma, Luce Cinecittà
in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina