La tragedia dell’incontro

Al Teatro di Documenti di Roma, una sala gremita accoglie l’esotica tragedia di Madama Butterfly.

È andata in scena al Teatro di Documenti, splendida realtà romana attiva nel quartiere di Testaccio, la convincente interpretazione firmata da Stefania Porrino di Madama Butterfly, un dramma senza tempo che si snoda lungo due percorsi canonici e solo apparentemente paralleli.

Il primo è il più visibile e adorna la fragilità dell’esistenza, nel caso specifico trasfigurata nel corpo e nell’anima di una «moglie-bambina testardamente aggrappata al suo sogno irrealizzabile, disposta a vivere la realizzazione del suo desiderio anche solo attraverso la fantasia», costretta ad arrendersi «all’evidenza […] e alla realtà» e, di conseguenza, a «rinunciare alla vita stessa piuttosto che al suo amore impossibile». Il secondo è lo scontro tra civiltà, tematica di cui, dall’11 settembre, l’Occidente ha riscoperto la stupefacente attualità, ovviamente ignorando i lunghi secoli della propria stagione di colonialismo e imperialismo mascherati da buone intenzioni, dall’Atene di Pericle alla Francia giacobina, dalla Russia bolscevica all’esportazione della democrazia di George W. Bush.

Tutttavia c’è qualcosa di più radicale che emerge da questa Madama Butterfly, in particolare dalla sensazione di necessità che ne colora il finale. Perché sembra così naturale che Cho-Cho-San, adolescente sedotta e abbandonata, debba cantare «con onor muore chi non può serbar la vita con onore» ed essere vittima del «doloroso soccombere di fronte all’infrangersi delle proprie illusioni», mentre Pinkerton, di fatto, legittimamente risposatosi, potrà appropriarsi del figlio nato dal primo matrimonio? Quanto a essere carnefice è il sistema di valori di una società (in cui l’onore tradito giustifica il seppuku) considerata arretrata a rispetto a un’altra (yankee) che, sì superficiale e consumistica nei confronti dell’esotico, risulta almeno essere secolarizzata e virtuosa nel proprio nichilismo («Così mi sposo all’uso giapponese per novecento novantanove anni. Salvo a prosciogliermi ogni mese. America for ever!», dirà il marinaio americano Pinkerton) ?

Cho-Cho-San e Pinkerton si desiderano, si amano (almeno inizialmente), ma non sono fatti l’uno per l’altro e Puccini, con Madama Butterfly, non diede semplicemente forma a un sincero e appassionato omaggio a un paese lontano e affascinante, il Giappone, che allora appariva totalmente altro da quello occidentale; tanto meno rese la mera allegoria dei conflitti tra culture che attraversano i secoli e non sembrano ancora oggi vedere alcuna fine in fondo al tunnel.

Se il compositore lucchese colse il rischio esistenziale di chi vive il passato come zavorra del presente e non considera il futuro come apertura alla possibilità, è proprio rispetto alla profondità di questa dimensione che la scelta di Stefania Porrino di ribaltarne le maschere culturali appare efficacissima; ribaltamento attuato tanto nelle scenografie («non in una casa ma in un palcoscenico mutante dallo stile del teatro Nō a quello all’italiana, a prospettiva centrale»), quanto e soprattutto negli splendidi costumi di Carla Ceravolo («le parti dei personaggi che appartengono all’occidente americano sono coperte da cantanti coreani asiatici menetre molti ruoli di personaggi giapponesi sono interpretati da cantanti italiani»), in tal modo sfruttando magistralmente anche quello che in apparenza sarebbe potuto essere (ed è stato, anche se in minima parte) un elemento di disfunzione acustica, ossia «uno spazio come quello del Teatro di Documenti, dove tutto avviene a distanza estremamente ravvicinata».

Versione integrale ridotta a opera canora accompagnata dal pianoforte, incastonata in un allestimento scenografico decisamente funzionale nella sua modularità, splendida nei costumi, di crescente sicurezza nelle voci e nelle interpretazioni, riassumendosi in una durata di due ore capace di dare a ogni elemento il relativo colore drammatico e semantico (il rosso papavero e il vestito sempre bianco da sposa di Cho-Cho-San, ma anche la toccante scena del raccoglimento sul finale), la Madama Butterfly di Stefania Porrino, coprodotta dal Conservatorio di Musica Licinio Refice di Frosinone e dal Teatro di Documenti, ha dimostrato di sapersi muovere con grande efficacia e disinvoltura all’interno di una partitura visiva e musicale dalla quale a emergere, accanto al talento dei suoi giovani cantanti lirici, è stato il senso più intenso e reale di un’operazione lodevole nell’intenzione artistica e potente in quella strettamente culturale, ossia il ribadire e sublimare nel dispositivo operistico pucciniano il crudele senso di una storia che, purtroppo, mostra ancora tutta la sua struggente, profonda e (non solo) romantica tragicità.

L’opera è andata in scena:
Teatro di Documenti

via Nicola Zabaglia 42, Roma
23 febbraio giovedí ore 20.45
25 febbraio sabato ore 19.00
26 febbraio domenica ore 17.30
28 febbraio martedí ore 19.00

Madama Butterfly
di Giacomo Puccini
libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
regia Stefania Porrino
direzione musicale Silvia Ranalli
direzione allestimento e costumi Carla Ceravolo
luci Paolo Orlandelli
con Youngjun Choi, Alessandro Della Morte, Jina Hwang, Junyuk Hyun, Joonkyo Jeong, Bogyeong Kang, Cristian Iacobelli, Luana Imperatore, Jaecheol Moon, Sunghee Shin
al pianoforte Cecilia Paialunga/Jeongmi Lee della classe di Maestro Collaboratore di Mauro Paris
in collaborazione con i Corsi di Canto del Conservatorio di Frosinone (docenti: Monica Carletti, Silvia Ranalli, Danilo Serraiocco) e i Corsi di Arte Scenica (docente: Stefania Porrino)
produzione Conservatorio di Musica Licinio Refice, Teatro di Documenti