«Avrei preferito andarci in Inverno»

teatro-san-girolamo-luccaCon la primavera Madama Butterfly apre la sessione delle Cartoline Pucciniane al San Girolamo di Lucca. E la sala è gremita.

Di nuovo primavera, ebbra di pollini. Nevicate fragranti sulle piazze, e le rondini, e tutti presi da una sonnolenza materna. Viavai inarrestabile nella città, tale che si penserebbe, guardando, alla tacita, infinitesimale popolazione che intercorre tra i fili dell’erba. Primavera non concepisce infelicità.
Teatro di San Girolamo, Lucca. Un piccolo, pallido auditurium, dietro al Giglio che conosciamo meglio. Domenica 6 aprile, le 17.00 in punto.
Di nuovo primavera. Ebbra di pollini – e di ortiche, piene le braccia di rovi: la bella stagione, più di ogni altra, segna la sua infelicità. Sì, è così: per lei sola il rovesciarsi dei fiori, come da una cornucopia, è un grondare di sangue da una vena recisa. Lei è Cho-Cho-San, la geisha. E questa è la Madama Butterfly pucciniana.
Produzione del Teatro del Giglio, la più classica delle liriche italiane apre l’evento delle Cartoline Pucciniane, una squisita serie di arie, estrapolate dalle opere del compositore, un atto riassuntivo, sebbene intenso e al contempo vetrina per giovani talenti dell’arte lirica.
Donna sedotta, donna abbandonata, Cho-Cho-San, come tutte le eroine di Puccini, sa tenersi al passo col trasmutare dei tempi ed è sempre attualissima. Nella Madama Butterfly alle tematiche dell’amore e dell’onor ferito si affianca la divergenza delle culture, divergenza più che mai palpabile in un contrasto di autentici estremi: gli States, da un lato, la meglio società, la parabola in decollo verso porti scintillanti. Progresso, ancora progresso e ascendono torri di vetro e d’acciaio sulle rovine macilente dei valori abbattuti. Questo è Pinkerton: incarnazione di un perenne capriccio, che guarda con un misto di fascino e superiorità le civiltà meno industrializzate; dall’altro il Giappone delle tradizioni, retrogrado e bellissimo, la sede terribile dei despotismi fantasticati dall’uomo occidentale, languido e lascivo. Giappone, ispirazione dell’arte di fine Ottocento, col suo carico greve di morte e d’onore e, su tutto, i ciliegi che spargono un aroma tremendo.
I due giovani s’incontrano ed è l’inizio di un moto centrifugo inarrestabile dove i dettagli, i fantasiosi dettagli delle culture avverse, turbinano ovunque come carte al vento: i sonnolenti avi giapponesi, il Dio superbo dell’uomo d’oltreoceano, le navi bianche, le stelle, i katana e i paravento, l’eterna promessa nuziale, fino alla morte – se necessaria – e l’abbandono deliberato. Ogni elemento ha un suo colore, un suo mondo fantasmagorico.
Il budget finanziario delle Cartoline Pucciniane non è particolarmente corposo; lo stesso spazio performativo è scarso. Ciò ha costretto i produttori a un drastico ridimensionamento scenico che toglie spazio tanto ai costumi quanto alle scenografie. Parliamo, quindi, non di uno spettacolo d’opera, bensì di un evento unicamente canoro accompagnato dal pianoforte di Massimo Morelli, dalla disposizione rigorosa di sedie e leggii, dalla presenza – a rallegrare il fondale – di una semplice proiezione di immagini sulla tela immacolata. Letture epistolari del compositore dirette a editori e colleghi intervallano gli interventi musicali e conferiscono all’insieme una sorta di tono affettuoso: lo stesso Puccini, come parecchi suoi contemporanei, cade prigioniero del Giapponesismo, la mania collettiva per questo Oriente, questo fiore esotico e denso di ardenti vapori. Riassunta in due ore, l’opera non ha nulla da rimproverare al talento dei suoi lirici, peraltro tutti molto giovani e almeno uno lucchese.
Concludendo, la manifestazione, di indubbio valore artistico, riesce a portarsi avanti con suprema dignità, pur dovendo fare i conti con un singolo problema, già affrontato nel Falstaff, anch’esso produzione del Giglio. Ci riferiamo al disagio dello spettatore, spesso novizio nella fruizione dell’opera pucciniana, che si trova a seguire le arie senza avere a disposizione il testo di riferimento. Essendo i fondi, come già detto, limitati, è comprensibile che non sia stato possibile applicare il tradizionale pannello di scorrimento testuale. Va comunque segnalato che in platea una nutrita percentuale di persone si è appellata al web per potersi procurare un libretto di fortuna. A ogni modo, l’arte di sapersi arrangiare con poco ha rappresentato un po’ la chiave di volta della serata, tanto da parte dei produttori, quanto da quella del pubblico.
Ecco, è finita. La bella stagione rifulge là fuori, i ciliegi rovesciano sulle strade i fiori, come ancelle l’acqua da un’anfora odorosa. Può darsi che qualcuno sbagli, certo. La bella stagione, Butterfly, non concepisce infelicità. Ciononostante, eccoti, muori. Può darsi che qualcuno sbagli, o no? Venere dall’occhio amoroso è figlia del sangue di Urano. E dal tuo sangue, Butterfly, aspersa come da un battesimo, ecco la creatura. Si avvicina. La bohème. Domenica 27 aprile. Non perdiamocela.

Lo spettacolo è andato in scena:
San Girolamo – Lucca
domenica 6 aprile, ore 17.00

Madama Butterfly
dal libretto di Giuseppe Giacosa
musica di Giacomo Puccini
pianoforte Massimo Morelli

personaggi e interpreti:
Cio-Cio-San: Rossana Cardia
Pinkerton: Paul Tabone
Suzuki: Sofia Koberidze
Sharpless: Ricardo Crampton
Goro: Claudio Sassetti
Kate Pinkerton: Elena Fioretti