All’Elfo Puccini Cristian Giammarini e Giorgio Lupano danno voce e sudore all’originale e poetico testo di Edoardo Erba: corse, ricordi e speranze nello spazio dilatato di un istante definitivo.


Due sagome nere immobili su uno sfondo di fioca luce blu. Due giovani uomini e, alle loro spalle, proiezioni di New York, panoramiche dall’alto, in bianco e nero. Nell’aria, la struggente musica dei Sigur Ros, efficace ed emozionante quanto fuori luogo – musica islandese ad accompagnare due italiani che sognano l’America?

Poi un ronzio inquietante, cambio di luci, cambio di proiezioni e Mario – Cristian Giammarini – crolla a terra scalzo, sul ciglio di una strada deserta tra i campi, in notturno. Si comincia.

Due amici o due fratelli, è indifferente, nello spazio intimo dell’ordinaria corsa serale. Due atteggiamenti diversi, due sguardi diversi sui motivi del correre, dell’allenarsi; due diversi modi di sognare la Maratona di New York, ma anche di pensare all’amicizia, alle donne, alla vita, di ricordare.

Stefano (Giorgio Lupano) è il più ruvido, il più duro nei giudizi su di sé e sugli altri. Prende la corsa come una sfida, si abbandona senza vergogna ai ragionamenti per stereotipi, si erge nella sua spessa corazza a difesa di sé e dei suoi diritti, esibendo la sua forza e imponendosi a testa alta. Poco più in dietro tossisce Mario, più debole e morbido, più nostalgico, pronto a raccontare tutto di sé, anche i suoi fallimenti e le sue mancanze.

Corrono, parlano, e lentamente le loro personalità si chiariscono, diventano più definite e complete, dai discorsi più banali si passa a quelli più profondi. A volte uno passa in testa, poi ritorna indietro, quasi sempre i due riescono a correre affiancati, ognuno col suo stile, con il suo modo di vivere e il suo portamento: Stefano preciso, dritto ma rigido, Mario più scoordinato, meno elegante ma più libero.
Corrono, e dietro alle loro teste un cielo stellato li segue e ci inganna, con la sua fissità e i suoi impercettibili mutamenti, con costellazioni che appaiono e spariscono, e rumori sordi che sembrano nascere dalle stelle stesse. Velocissimi fotogrammi invadono a intervalli irregolari l’immagine celeste, flash dei ricordi di Mario, sempre più frequenti, sempre più visibili, e mentre scorrono i metri e le parole, tra gli scontri e gli intoppi, tra le cadute e i dolori, le pause e le forzature, i personaggi diventano persone, e l’apparente normalità della situazione si incrina, diventa inquietante. I due protagonisti parlano di sesso, infanzia, emeriti suicidi e calcio, ma un insistente rumore irreale spezza il verosimile, crea dubbi, domande, e nella qu
otidianità si inseriscono simboli, astrazioni, incongruenze che preparano a una tragica e imprevedibile rivelazione.

Un testo eccellente, di interessante costruzione narrativa e incredibile forza evocativa, che ha incontrato una regia ottimale e, non meno importanti, luci, immagini e video esteticamente convincenti e totalmente coerenti. La straniante differenza di recitazione tra i due attori man mano sfuma, mentre anche i due personaggi diventano più simili, meno distanti: il sensibile Mario a poco a poco si rivela più coraggioso e Stefano, il gradasso, rivela di «correre per far pentire la vita di essere un incubo».

I due attori sudano, il loro corpo vive la stessa esperienza dei loro personaggi, la stessa corsa, la stessa fatica e, all’improvviso, dopo uno stacco surreale, le stranezze della situazione si chiariscono e le parole, i movimenti e le luci accompagnano il pubblico in una emozionante visione del passaggio dalla vita alla morte.

I ricordi insistenti e scoordinati di Mario, i suoi piedi nudi, i ronzii, le stelle, la vibrazione delle immagini, tutto diventa comprensibile e sconvolgente, letteralmente accecante (grazie a un’indovinata soluzione tecnica). Quella che sembrava una riproduzione di un comune frammento di vita si rivela la rappresentazione di una comune esperienza di morte, e mentre Mario «corre da dio», solo, e i suoi ultimi pensieri si visualizzano sullo schermo, prima di sparire nella luce, gli applausi scattano, sinceri e inarrestabili.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Elfo Puccini
c.so Buenos Aires, 23 – Milano

Maratona di New York
di Edoardo Erba
interpretato e diretto da Cristian Giammarini e Giorgio Lupano
luci di Mauro Marasà
video di Massimo Federico
produzione teatro stabile delle Marche – progetto Officina Concordia incollaborazione con Comune di San Benetto del Tronto e Amat