Ritratti d’autore

Nata in Italia, in quel di Carugate nel milanese, Margherita Peluso è un’artista eclettica che ha consolidato il proprio bagaglio tecnico studiando recitazione cinematografica al Conservatorio per le arti performative Gloria Gifford di Los Angeles e recitazione teatrale con maestri internazionali quali Emma Dante e Mamadou Dioume. Specializzatasi all’Actor Studio di NYC, Peluso lavora per LaMama Theatre in Australia e New York, dove ha vissuto e lavorato a partire dal 2011 ed è stata giurata dell’International Filmmaker Festival Award della Grande Mela nel 2018. Tornata in Italia per ragioni di cuore e amore per le proprie origini, il percorso e il profilo di Margherita Peluso sono quelli di un’artista completa, coraggiosa e con una personalità limpida e coerente con un’alta concezione del proprio ruolo estetico e sociale.

Protagonista di azioni artistiche dal piccolo al grande schermo, dai palchi tradizionali agli anfiteatri e ai luoghi non convenzionali, la sua è una figura di performer non solo eclettica, ma anche multidisciplinare. Ci racconta la specificità di ognuno di questi contesti e come si è preparata a cammino così vario?
Margherita Peluso: «Dal villaggio più remoto ai piccoli borghi, fino ai grandi Teatri di Broadway, mi sono sempre emozionata con la stessa intensità, anche nei luoghi piu intimi e meno affollati. La sera, prima di andare in scena, mi piace visitare il luogo, incontrare la gente del posto e ascoltare le loro storie. Sono molto brava a raccogliere testimonianze, questo è il mio modo per connettermi e integrarmi alla cultura locale e alla sua memoria collettiva. Possibilmente mi capita d’integrare nello spettacolo le storie ascoltate la sera prima per sorprendere il pubblico e renderlo partecipe e orgoglioso del suo valore umano.
Quello che preparo prima di iniziare un nuovo cammino è un buon libro che mi accompagnerà, un diario di viaggio, la mia macchina fotografica e per il resto tanta fiducia nella vita. Nella mia arte mi sono fidata sempre di darle voce, mi sono fidata di dare voce alle mie idee, alle mie intuizioni, mi sono fidata delle persone che ho incontrato sul mio percorso anche se a volte sono stata delusa, ho sofferto, ma è sempre stato un grande arricchimento nella mia vita di donna e di artista. Il Teatro per me è un luogo interiore sacro che io rispetto moltissimo, al suo e al nostro interno si crea una relazione cosi intima che si può cadere in una trappola egoica».

Ne ha esperienza diretta: qual è l’accoglienza che lei e il teatro italiano più in generale ricevete all’estero? Quali sono le differenze e quali le somiglianze fondamentali tra il modo di intendere, dirigere e interpretare le arti scenico-performative entro e oltre le Alpi?
MP: «La vera differenza è la formazione e l’approccio a questo mestiere. All’estero ho percepito una maggiore sintonia lavorativa, un’esigenza collettiva di collaborare, di crescere insieme. Ciò che è autentico si percepisce subito e questo fa davvero la differenza, vedere il potenziale dentro ognuno di noi e riconoscerlo anche negli altri. Ho imparato ad affidarmi ai Maestri. Il Maestro è una figura che oggi sta scomparendo, cresciamo e veniamo educati per diventare subito dei leader. Tutti i Maestri che ho incontrato negli ultimi anni non si sono mai approcciati a me con arroganza ma con stima e desiderio di condividere la loro esperienza. Molto spesso nella nostra cultura teatrale “arriviamo” da scuole dove l’aggressione è il metodo migliore per ottenere buoni risultati ed, è nella norma che un regista o un’insegnante ti dica che fai schifo, che non sarai mai un’attrice, che sei brutta con quei brufoli sul volto e altri “incoraggiamenti” simili. Questo causa dei traumi non indifferenti. In Italia, non sempre, ma a volte, questo approccio sembrerebbe essere il metodo più efficace, ma io sono molto disaccordo. Nel mio lavoro da regista cerco di ascoltare le esigenze, di lavorare in modo sottile e gentile. Il mio approccio olistico in Italia non sempre ha funzionato perché finivo per essere io a subire aggressioni. Se solo ci fosse più apprezzamento e più riconoscimento.

Nel suo ultimo spettacolo Antico Carnevale della Contea di Modica vi è il tentativo di riproporre «in chiave contemporanea i tratti etnografici lasciati negli scritti di Serafino Amabile Guastella». Salvaguardare e valorizzare un autore e dei contenuti profondamente legati alle tradizioni popolari siciliane e mostrare come esse siano capaci di continuare a parlare all’oggi e dell’oggi: come si è approcciata a questo ambizioso compito e come ne ha sviluppato l’impianto drammaturgico-performativo?
MP: «Ho avuto il supporto di grandi professionisti per sviluppare questo lavoro, cominciando da Giovanni Fusetti (esperto di Commedia Dell’Arte) che mi ha seguita per tutto il percorso di creazione. Prima della scrittura c’è stata una grande ricerca sulle tradizioni e sul valore storico del rito del Carnevale nella Contea di Modica. Ho intervistato la Professoressa Grazia Dormiente fondatrice del Museo Etnografico Guastella, poi ho gli anziani del Paese e i giovani. Infine ho effettuato una ricerca sul Guastella che ancora oggi mi pare di non avere esplorato abbastanza. Il testo e lo spettacolo sono in continua evoluzione».

La memoria è uno dei temi centrali di questo lavoro. Perché ritiene sia un argomento fondamentale per il discorso artistico contemporaneo?
MP: «Cosa ci porta a creare arte? C’è una spinta psicologica al lavoro, una forza inconscia? Come può la comunità trasportare le memorie alle nuove generazioni? Cosa ci ricordiamo?!
Queste sono le domande che mi hanno spinta a fare ricerca, a esplorare e studiare antropologia per poi utilizzare l’arte come mezzo di trasporto. Da qui nasce il mio progetto Transport Memories. Nel profondo dell'”inconscio personale” troviamo ricordi e conflitti repressi che costruiscono l'”inconscio collettivo” del genere umano. Sia come veicolo per esprimere i nostri pensieri e desideri più intimi sia come mezzo attraverso il quale possiamo fuggire in nuove dimensioni, sia come canale di mediazione tra il visibile e l’invisibile, l’arte rimane sempre presente nel mondo moderno come un potente strumento di trasformazione. La via dei nostri antenati è stata sepolta in un’incoscienza perduta. Per questo nasce un viaggio nel passato per trasportarlo nel presente, trasportiamo memorie da una vita all’altra che facilmente vengono rimosse per via di un mondo sempre più veloce, razionale e digitale».

Nel 2019 ha ricevuto il Premio alla Modicanità: qual è il suo rapporto con la Sicilia? Si tratta di qualcosa di fondamentalmente affettivo o il suo è un legame più profondo e “motivato”?
MP: «Ho vissuto fuori dall’Italia per oltre 15 anni e tutte le Terre che ho esplorato sono stare generose con me. Quando è scoppiata la pandemia ho sentito un forte richiamo e sono tornata alla terra di origine in Sicilia, nel luogo dove ha vissuto mia nonna Margherita. Qui ho modellato il mio cuore, ho scavato dei profondi solchi per ritrovare i passi dei miei avi. Mia nonna è sempre stata presente e mi ha guidata a scoprire questi luoghi sacri di Sicilia».

Quali attività e progetti sta preparando per l’immediato futuro?
MP: «Nell’immediato mi sto diplomando come Docente e Acting Coach di Lucid Body (il corpo lucido, tecnica olistica attoriale basata sui canali energetici, i comportamenti umani, gli archetipi, il bisogno del bambino interiore, la propria ombra e molto altro). Stiamo lavorando sulla traduzione del libro in Italiano (per chi volesse informarsi, è possibile visitare il sito). Inoltre inizieranno a breve le riprese di un Docufilm sulla Musa di Luigi Pirandello, Marta Abba, produzione che toccherà la Sicilia, Roma e USA, produzione Fine Art con il sostegno della Film Commission Regione Sicilia».