Giungere alla crasi fra dolcezza e fatalità

Lo scorso 10 luglio, il festival gardesano Tener-a-mente ha accolto un concerto-evento dai contorni tanto oscuri quanto mitici. Mark Lanegan, l’impenetrabile e torturato artista statunitense ha deciso di fare tappa anche nella dimora del Vate per la presentazione della sua ultima fatica. Per offrire, con una delicata generosità, un concerto d’eleganza e di malinconia

Avevamo accolto l’annuncio del concerto di Mark Lanegan al Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera con grande entusiasmo ed un pizzico di timore, quel timore che si presenta costantemente quando ci si avvicina a un artista non particolarmente  espansivo ed indulgente come il cantante americano. Una sorta di Keith Jarrett. Ma ornato da una voce rauca che condanna. Ed invece non solamente tutto è andato incredibilmente liscio, ma Lanegan si è dimostrato straordinariamente disponibile a stringere mani e a firmare autografi (l’annuncio che ha preceduto il concerto e che informava il pubblico di questa possibilità, è stato accolto con un sospiro di sollievo).

Ed eccolo giungere sul palco. Torvo, nero, nerissimo. Magnifico. E senza alcun complimento, la musica inizia a scorrere. Il lunghissimo set (venti saranno le canzoni suonate durante la serata) si apre con Death’s Head Tattoo, brano che apre anche Gargoyle, l’ultimo album, il decimo da solista, uscito a fine aprile per la Heavenly Recordings. Siamo nel 2017 e Lanegan non è più quello degli anni Novanta, ma in questa traccia ritroviamo tanto di quell’artista, ovviamente con una sonorità più contemporanea: eleganza, una voce che non schiaccia al muro e che afferra le nostre interiora, ma che, molto più subdolamente, entra nella struttura stessa del sangue, modificandone la composizione e tingendola di nero.

Pausa.

Respiro.

Ecco Gravedigger’s Song, la “canzone del becchino”. Apre una chitarra molto QOTSA (ovviamente, non è un caso), l’atmosfera è costantemente ruvida e la batteria marziale appare come battito vitale, in questa cavalcata senza fine. Dallo stesso album (Blues Funeral del 2012) ecco la tempestosa Riot in My House, dove il chitarrista Jeff Fielder fende il mondo sonoro della band senza alcuna pietà: capolavoro nel capolavoro. Se Lanegan è ombra, Fielder è senza dubbio luce: nessuna negazione, perfetto completamento.

Pausa.

Respiro.

Un paio di brani che appaiono quasi come gai in questo oceano di melanconia (che non volge però mai alla tristezza) con una Hit The City che, malgrado titolo e testo, trasporta e porta via. Ma il passaggio attraverso il nuovo album è necessario, doloroso, magnifico. Se la sussurrata Nocturne possiede echi terrificanti dei Joy Division, la successiva Emperor mostra una dualità tra una chitarra che disegna libertà e l’aspetto vocale che fa precipitare i corpi a terra. E anche un po’ più in profondità. E se Goodbye to Beauty si apre su di una spiaggia hawaiana, l’intervento di Lanegan fa assumere i contorni di una ninnananna d’addio. Un Lanegan così dolce non l’avevamo mai sentito. Chiude il quartetto di Gargoyle, Beehive, che si impernia su un delay vorticoso prima di gettarsi in un sound so nineties.

Pausa.

“Thank You”.

I sintetizzatori riappaiono in Ode To Sad Disco, dove creano un wall of sound saturo dove il dialogo tra la voce greve e la chitarra ariosa, mentre nella successiva Harborview Hospital il suono si fa più delicato, fino a posarsi sulla dolcissima Deepest Shade. L’album del 2014, Phantom Radio è particolarmente gettonato dal cantante statunitense e il suo côté elettronico inonda spesso l’anfiteatro gardesano, senza però dimenticare l’incredibile dolcezza che questo lavoro è in grado di presentare (Torn Red Heart) e che ben si sposa con il lungo corteggiamento che Mark attiva nei confronti del pubblico solo ed esclusivamente attraverso le sue canzoni (pensiamo anche solamente a One Hundred Days). Il set si chiude con la bellissima Methamphetamine Blues, molto meno cattiva e ruvida rispetto al disco.

Pausa.

Asciughiamoci le lacrime.

Ecco tornare Lanegan e la sua band per un paio di bis. The Killing Season avanza sonorità molto Joy Division e ciò prepara l’omaggio alla vita e alle opere di Ian Curtis, con l’ultimo brano: Love Will Tear Us Apart cesellata e magnificata dal trattamento vocale laneghiano.

Fine.

Respiro, finale.

Lo spettacolo è andato in scena:
Anfiteatro del Vittoriale
Via Vittoriale, 12 – Gardone Riviera (BS)
lunedì 10 luglio ore 21.15

Il festival Tener-a-mente ha presentato
Mark Lanegan Band in concerto

Set
Death’s Head Tattoo
Gravedigger’s Song
Riot In My House
Wish You Well
Hit The City
Nocturne
Emperor
Goodbye To Beauty
Beehive
Ode To Sad Disco
Harborview Hospital
Deepest Shade
Harvest Home
Floor Of The Ocean
Torn Red Heart
One Hundred Days
Head
Methamphetamine Blues

Encore
The Killing Season
Love Will Tear Us Apart

www.anfiteatrodelvittoriale.it