Ritratti d’Autore

Martina Galletta, attrice premiata, poliedrica e versatile, sarà Giulietta Masina in Permette? Alberto Sordi, una coproduzione Rai Fiction – Ocean Productions con Edoardo Pesce protagonista, da oggi al 26 febbraio sul grande schermo e presto su Rai Uno.

Oltre che di rivelarci le proprie emozioni e aspettative su questa nuova avventura, le abbiamo chiesto di volgere il proprio sguardo di artista ancora giovane e già esperta sull’intricato e fantastico mondo oltre lo specchio dell’arte scenica italiana.

Attrice di teatro diplomata alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi, da tempo frequenta con successo anche il piccolo e il grande schermo. Ci racconta come è avvenuto il passaggio e quali sono – ammesso che esistano – le principali differenza tra questi mondi?
Martina Galletta: «Ritengo che recitare in teatro e recitare dietro una macchina da presa siano due lavori completamente diversi. Innanzitutto è differente l’interlocutore: in teatro è il pubblico, che è lì con te, davanti a te, in quel preciso momento. È come un muro che ogni sera devi abbattere, per fare presa nelle menti e nei cuori degli spettatori, e non ci sono seconde occasioni.

Al cinema bisogna essere capaci di abbandonarsi completamente e di comunicare con la macchina da presa, eliminando dal campo visivo tutte le distrazioni che ti circondano in quel momento; è un modo di utilizzare la propria emotività completamente diverso.

Inoltre è differente il tipo di linguaggio, il modo di usare la voce, il corpo, il volto. Ma la Verità che si cerca, anche se magari con modalità differenti, è la medesima. Io sono una donna di Teatro: il mio percorso e i miei studi partono da lì. Quindi il cinema e la televisione sono una sfida che mi impegna ogni volta.

La soluzione, come sempre nell’arte, secondo me, sta nello studio matto e disperatissimo, e nell’osservazione della realtà».

Qual è il ruolo che più ha amato e quale quello che vorrebbe assolutamente fare? Se possiamo permetterci, c’è qualcosa nella sua carriera che non rifarebbe, che farebbe diversamente … ?
MG: «Recentemente ho interpretato Tamora nel Tito Andronico al teatro Argentina, con la splendida regia di Gabriele Russo. Dire che ho amato quel ruolo sarebbe riduttivo.

Per qualsiasi attore Shakespeare è sempre una sfida estremamente stimolante, sia a livello intellettuale sia emotivo; in particolar modo il Tito, opera giovanile di Shakespeare, permeato di una crudezza quasi horror che lo rende a mio parere molto moderno, molto emozionante e anche molto… divertente!

Il mio sogno sarebbe interpretare Blanche de Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, è tutta la vita che inseguo questo ruolo!

Per quanto riguarda le cose che rifarei oppure no. Non so. Probabilmente sono stata molto fortunata nel corso della mia carriera, ma rifarei tutto esattamente come è stato».

… o che vorrebbe consigliare di fare/non fare alle nuove generazioni di artisti?
MG: «Quello che mi sento di consigliare alle nuove generazioni è di ascoltare i consigli e di prendere il buono, ma di non lasciarsi limitare dai giudizi facili: io agli esordi ero stata proposta come un’attrice comica. E ormai sono anni che, oltre alle commedie che ovviamente amo, mi strazio di pianto nelle tragedie!

Scherzi a parte, credo che si debbano riconoscere i propri limiti, ma anche cercare di superarli, perché dentro di noi abbiamo le risorse per fare tutto».

Oltre – o accanto – al teatro, al cinema e alla televisione, lei si occupa di progetti trasversali, culturali e sociali per le scuole e il territorio. Cosa significa, quanto è complicato, gratificante e/o necessario, come artista e come donna, impegnarsi affinché i binari dell’arte e della vita quotidiana non rimangano paralleli, ma si intreccino e influenzino a vicenda?
MG: «Ho sempre pensato che Il Teatro e l’Arte non possano prescindere dal sociale e da un pensiero politico. Nel mio piccolo ho sempre cercato di utilizzare questo strumento per rendermi utile, soprattutto per quanto riguarda la causa delle donne maltrattate e sfruttate.

Con le mie carissime amiche e colleghe Nastassia Calia, Gabriella Italiano e Alice Protto abbiamo portato in giro per anni uno spettacolo contro lo sfruttamento della prostituzione (regia L. Tassi e C. Belgioioso), visitando le case-famiglia e ascoltando le testimonianze delle vittime. Immergerci nella realtà di queste donne e portare la loro voce in giro per l’Italia ci ha dato un senso di utilità. Speriamo di poter fare ancora, di poter fare meglio, di poter fare di più».

Esiste veramente una questione di genere nel panorama dell’arte italiana o la questione è più ampia e, genericamente, investe l’intero settore della cultura?
MG: «Non c’è dubbio che in Italia, in tutti settori, in tutti campi, ci sia un enorme problema di genere. È evidente, a mio parere, che le donne vengano ancora sottopagate, ricattate, messe in condizioni di dover scegliere tra maternità e carriera, sottostimate, sfruttate.

Nel nostro campo questa discriminazione esiste e si fa sentire, inutile negarlo. La prevaricazione può essere subdola, ma c’è. Quello che spero è che uniti, donne e uomini, possiamo superare questa situazione, che ormai stagna da troppo tempo, con la cultura, lo studio e l’intelligenza».

Crede che la sofferenza che lamentano tanti suoi colleghi dipenda principalmente da una cattiva gestione pubblica delle economie o c’è un mea culpa che gli stessi artisti dovrebbero recitare, abbandonando un controproducente corporativismo? Per essere più specifici: non crede che le lamentele (per un problema comunque reale: i fondi sono pochi e mal gestisti) possano nascondere una sostanziale mancanza di idee o un professionismo pressappochista?
MG: «Spesso si sente dire che in Italia non ci sono talenti: io vorrei invitare chiunque pensi questo a fare un giro nei teatri italiani per ammirare i tantissimi talenti che abbiamo la fortuna di avere.

Esiste indubbiamente una cattiva gestione dei fondi, come è altrettanto vero che spesso ci sono situazioni viziate e favoritismi che impediscono una sana meritocrazia. Per quanto riguarda la mancanza di idee. Io ultimamente di idee ne ho viste e vissute tante; l’essenziale sarebbe avere lo spazio e la visibilità per dare loro vita».

Nella sua biografia leggiamo: «candidata come miglior attrice drammatica ai Golden Graal 2012 e ha vinto il premio Landieri 2014 come miglior attrice». Quanto contano i premi per spingere la carriera di un artista?
MG: «Credo che i premi, più che “spingere” la carriera di un artista, arrivino come una gratificazione importantissima, come un segnale che si è sulla strada giusta, che il lavoro svolto fino a quel momento è di pregio. La nomina ai Golden Graal è stata un grande onore, soprattutto perché condiviso con artisti di calibro elevatissimo.

Anche il premio Landieri mi ha resa particolarmente felice, sia per la gratificazione in sé sia per l’importanza sociale e umana del premio stesso (Antonio Landieri era un ragazzo con disabilità, ucciso dalla camorra nel 2004)».

Martina Galletta Ph Eolo Perfido
Martina Galletta Ph Eolo Perfido

Dall’esordio al cinema nel 1946 con una piccola parte in Paisà di Roberto Rossellini al doppio trionfo agli Oscar con il marito Federico Fellini, l’attività di Giulietta Masina è andata ben oltre, nonostante abbia vissuto il proprio periodo d’oro durante lo stretto sodalizio con il marito.

Andando a memoria, ricordiamo solo la Trilogia di Caterina Gramaglia, nulla al cinema o in televisione in grado di omaggiarne l’assoluta statura, come se la sua fosse stata semplicemente una carriera vissuta all’ombra di un grande compagno regista.

Non pensa che la sua storia debba essere adeguatamente valorizzata nella sua autonomia e individualità?
MG: «Come si dice spesso, non ci sarebbe stato Sordi senza Fellini. Ecco, io credo che non ci sarebbe stato Fellini senza Masina. Credo che siano stati due geni che si sono creati a vicenda, che hanno tratto ispirazione l’uno dell’altra.

Giulietta era indubbiamente è un artista completa, che il marito ha saputo valorizzare egregiamente, ma che poi ha proseguito la sua carriera con ruoli fortissimi e indimenticabili anche senza di lui (mi basta ricordarla in Nella città d’inferno di Castellani per avere ancora i brividi).

Quindi, per tornare alla domanda, sì, credo che la figura di Giulietta andrebbe valorizzata a prescindere da quella di Federico, sarebbe un tributo più che giusto a questo piccolo grande genio».

Come si è preparata al ruolo e cosa dobbiamo aspettarci dalla sua Giulietta?
MG: «Quando mi hanno confermato per il ruolo, ho avuto sicuramente un bel po’ di paura. Volevo essere certa di restituire non una parodia di Giulietta, quanto un ritratto il più possibile fedele della donna, prima ancora che dell’artista.

E per fare questo, l’unico modo è stato rivedere tutti i suoi film, ma anche e soprattutto tutte le interviste che Giulietta ha rilasciato nel corso degli anni, peraltro in varie lingue.

In quelle interviste infatti emerge il ritratto di una donna pacata, estremamente intelligente, con una grande proprietà di linguaggio e una gestualità raffinata ed elegante.

Ho cercato di rievocare la sua voce, così particolare, la sua peculiarissima mimica facciale, il suo modo di ridere, di guardare, persino di fumare.

Rivedendo i suoi film e le testimonianze video, mi sono fatta l’idea di una donna piena di allegria, un piccolo clown che però si caricava sulle spalle un portato emotivo e drammatico enorme. Il “mio piccolo scricciolo”, come la chiamava Fellini, che racchiudeva in sé una grande potenza. È questa l’inarrivabile Giulietta che ho tentato, nel mio piccolo, di raccontare».

Prossimamente la vedremo in una serie internazionale su Sky: può darci qualche anteprima?
MG: «Ho avuto la fortuna di vincere questo piccolo ma intrigantissimo ruolo in una serie Sky molto importante. Non posso parlarne per il momento, è tutto top secret. Posso solo accennare che si tratta di una serie in costume, ambientata in un’altra epoca. Un altro sogno che si realizza! Spero di poter svelare presto altri dettagli.
Per ora…sssst! Segreto!».