Ritratti d’autore

In occasione del ritorno alla ribalta della sua storica rassegna, Massimiliano Caprara tira le somme, per Persinsala, sulla conclusione della terza edizione de I Corti teatrali.

Dopo un’attesa di diciotto anni, la sua rassegna torna nella prestigiosa cornice del Teatro dell’Angelo: da quali motivazioni nasce questa decisione?
Massimiliano Caprara: «Nasce dal fatto che i Corti Teatrali sono una rassegna ancor prima che un concorso, una vetrina che vuole dare risalto a ciò che si può trovare sulla scena contemporanea e quindi non possono che tenersi in un luogo teatralmente prestigioso».

Un bilancio di questa terza edizione della rassegna in termini di pubblico, qualità degli spettacoli. Rispetto alle sue aspettative, è andata come pensava o c’è qualcosa che avrebbe fatto diversamente?
M.C.: «Direi che aldilà dei diciotto anni di distanza dalla prima rassegna, sono stati fondamentali gli otto di teatro all’estero. Mi accorgo ora, al ritorno, che il pubblico è portato o coinvolto a teatro da compagnie ormai stremate, sfiduciate, apatiche, rassegnate, che fanno questo lavoro nella totale indifferenza culturale (oltre che ovviamente istituzionale a tutti i livelli) e questo è evidente rispetto al grande entusiasmo collettivo, alla febbre che aveva pervaso tutti diciotto anni fa e senza la quale non staremmo a parlare dei corti teatrali a così tanta distanza. C’è un clima di vittimismo, di resa e di sciatteria insopportabile e alcune compagnie sicuramente pagheranno un forte scotto per quest’atteggiamento. Faccio solo notare che i diciotto anni corrispondono alla parabola berlusconiana, le cui dimissioni sono avvenute due anni fa. Il richiamo storico sta per indicare la vergognosa vicenda italiana che è ricaduta su tanti sfortunati giovani che fanno questo lavoro sfiniti e alcuni senza profonde motivazioni. Dato estremamente interessante che solo una mappatura come quella offerta dai veri Corti Teatrali poteva far risaltare. Le altre attività che si ispirano ai corti in tutta Italia sono infatti brutte copie nate per speculare proprio su questo sbandamento teatrale presente».

Le sue introduzioni alle giornate di rassegna sono sempre molto sentite e concorrono a far parte di quel clima di coinvolgimento che un corto teatrale, per la sua brevità e immediatezza, vuole creare tra gli astanti: come si sente a far tornare protagonista un progetto nato diciotto anni fa?
M.C.: «È un po’ la continuazione della risposta precedente. Mi sento come chi ha lasciato un progetto incompiuto che in molti sono accorsi a scopiazzare snaturandolo. Vedo che ci si è aggrappati per mancanza, per povertà di idee proprie. Ma dopo questi diciotto anni torna a ridisegnare la rotta e le finalità autentiche della sua creazione».

Quali sono le differenze più grandi rispetto a quelle prime edizioni?
M.C.: «Una delle differenze più clamorose è l’assenza quasi di un voto alla regia, che si riflette anche sull’assenza, quasi, di una regia nelle diverse messe in scena italiane. Sociologicamente la crisi della regia corrisponde alla crisi della percezione rassicurante di stabilità e governabilità e indica, inoltre, un profondo vuoto cognitivo da parte di pubblico e artisti rispetto le basi fondamentali del teatro. Cosa che in un periodo ancora culturalmente normale, prima della catastrofe e del fascismo cattolico e spudorato con cui si sono allevati quasi tutti questi giovani, non c’era.Tant’è vero che il voto alla regia era il più copioso e licenziò una vera e propria generazione di registi di chiara fama. Questo è senz’altro il dato più saliente in assoluto».

La composizione del pubblico ha visto anche la partecipazione di un buon numero di nuovi spettatori: pensa sia dovuta alla giovane età delle compagnie o che possa essere strutturale, in relazione alle ambizioni della rassegna? Avete previsto una quarta edizione?
M.C.: «Penso che la composizione di pubblico nuovo dipenda dall’effetto traino della rassegna. La rilevanza sta, più che altro, nell’evidenziare il fatto che c’è stata assai più gente che non ha mai messo piede in un teatro rispetto a gente che lo ha fatto almeno una volta. E questo spiega anche la giovane età del pubblico partecipante. A questo punto una quarta edizione è più urgente di quanto temevo!»