Uno, nessuno, centomila

PerformazioniPrimo appuntamento scenico a Performazioni Festival. Sold out per la restituzione, partecipata ed emozionante, del workshop diretto da Instabili Vaganti, In the Cities

Di fronte a un folto pubblico che lentamente affolla la sala del LABOratorio San Filippo Neri, edificio barocco restituito alla collettività grazie ai restauri finanziati dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, le e i partecipanti al workshop In The Cities, seduti ai lati del palco, tradiscono l’attesa osservando gli spettatori che entrano e tormentando il cellulare che tengono in mano (e che solo successivamente assumerà un suo proprio ruolo all’interno della performance).

Lo spettacolo al quale assistiamo, intitolato Megalopolis#Bologna, è costituito da un nocciolo tematico e stilistico che Instabili Vaganti stanno costruendo da alcuni anni e che debutterà in autunno a Genova, e dall’apporto site-specific dei performer che, qui a Bologna, hanno vissuto un percorso pedagogico in grado di restituire un contribuito originale alla narrazione, raccontando uno spaccato del mondo che si va concentrando nelle megalopoli – visto da giovani e meno giovani alle prese con le proprie, intime paure, con le effettive mancanze di prospettive lavorative, con l’insofferenza per una società sempre più egoistica ed egotistica, e con il bisogno di affermare la propria individualità come atto di liberazione e non di sopraffazione.

La piramide sociale che ormai caratterizza la nostra società, dal vertice si allarga a una moltitudine di individui che, qui, appaiono come semplici elementi di un meccanismo di sfruttamento capitalistico (interessante la scena della fabbrica) e che, a livello stilistico, sono ben rappresentati da una coralità che si fa carne malleabile, marea umana, riflesso delle nostre, comuni, angosce.

Colpiscono una serie di immagini che si fanno emblematiche di quel connubio tra arti che Instabili Vaganti persegue, come Compagnia, da anni. L’apparizione dei personaggi che, come lucciole, a inizio spettacolo, ricompongono le immagini abbacinanti della nostra contemporaneità (che, nel contempo, allettano e spaventano, creando bisogni fittizi ma impellenti), rimandano ad esempio a un’installazione di Marthine Tayou, Daily Life (in questi giorni esposta alla Galleria Continua di San Gimignano: quasi che le arti siano tanto sincroniche quanto le religioni).

Anche il fluire del tempo ha un suo valore all’interno dello spettacolo: il loop di panoramiche filate induce lo spettatore a sentirsi trascinato verso un viaggio interminabile, dove case, volti, strade, ponti assumono una fisionomia sempre più simile a se stessa, dove i panorami scorrono senza soluzione di continuità in un mare di cemento.

Il coro, in questo spettacolo, assurge a protagonista: massa incontrollata e foriera di scontri, nugolo di fan adoranti, gruppo coeso che rivendica il bisogno di respirare liberamente, insieme di paure ma anche di individualità che, nella comunione e condivisione, assume maggiore forza. Il coro è altresì una massa fisica, in grado di comporsi e ricomporsi nello spazio scenico come geometria quasi coreografica, ma anche come simbolo delle forze contrastanti in campo in ogni agire e vivere sociale. I contributi drammaturgici dei diversi performer sono interessanti anche a livello tematico. Si avverte in questi giovani la disperata voglia di denunciare un sistema e uno status quo che non li corrispondono: il terrore di ridursi a cyborg, piccoli ingranaggi di una macchina produttiva alienante – e la consapevolezza che il colletto bianco si venda esattamente come qualsiasi altra merce, umana o produtto.

L’amalgama tra musica, canto, visioni filmiche, recitazione restituisce bene il clima della megalopoli e la sua vorticosa perniciosità. L’esperienza del presente è sempre mediata e si sovrappone alla massa dei ricordi. L’esigenza dei performer di comunicare ed esprimere se stessi a livello umano e artistico si intreccia, in questo spettacolo, con la visione registica di Anna Dora Dorno a un tale grado che, nonostante il workshop sia durato meno di dieci giorni, il risultato mostra la sintonia e la partecipazione creatasi nell’ensemble.

Il finale, che si ricongiunge anche esteticamente, all’incipit, permette di annodare i fili di un discorso che, partendo dalla poetica propria di Instabili Vaganti ha trovato sviluppo in un progetto formativo coerente che, a sua volta, ha regalato alla scena una performance molto fluida con momenti ben calibrati di pathos. Una resa finale ove nulla sembra superfluo, pur nella sua ricchezza di messi espressivi (video, rumori, canto, danza, narrazione), in quanto gli stessi, ben calibrati e dialoganti gli uni con gli altri, hanno creato un veicolo che ha permesso al pubblico di viaggiare, per una sera, ai quattro confini del mondo.

La performance è andata in scena nell’ambito di Performazioni 2019:
LABOratorio San Filippo Neri
via Manzoni, 5 – Bologna
giovedì 30 maggio 2019, ore 20.30

Megalopolis#Bologna

regia Anna Dora Dorno
con Nicola Pianzola e i performer del workshop In the Cities