Una danza espulsa direttamente dalle viscere di un tempo ancestrale

La Maison de la danse di Lione accoglie la compagnia giapponese Sankai Juku per una serata lieve e fluida. Meguri è uno spettacolo antico che utilizza un linguaggio contemporaneo, la danza butō, e che affascina senza mostrare una volontà totalizzante. Ma ci offre, semplicemente, un piccolo granello di assoluto

La danza butō nasce negli anni cinquanta del secolo scorso grazie all’incontro tra il geniale coreografo Tatsumi Hijikata e il danzatore Kazuo Ōno. Una danza minimalista, concepita per esprimere la contemporaneità (una contemporaneità che le classiche danze giapponesi non erano più in grado di interpretare) ed estremamente attenta alle avanguardie artistiche internazionali. Il butō rappresenta, quindi, la breccia attraverso la quale viene istituita una possibilità per una relazione comunicazionale universale, che infranga le barriere linguistiche e nazionali. Ushio Amagatsu porta in scena, insieme alla sua compagnia Sankai Juku, uno spettacolo che, fin dalla prima scena, palesa la completa appartenenza a questo stile di danza così lontano e così vicino. Diviso in sette movimenti, Meguri assume come valore estetico fondante la perfetta circolarità. Ogni movimento si apre e si chiude perfettamente in sé, formando una serie di sette cerchi disegnati l’uno sull’altro, per un continuo e ideale gesto senza interruzioni.

La danza del Sankai Juku è una danza che azzera totalmente il rumore. Lo stupefacente silenzio è la delicata carne nella quale indefinibili uomini/alberi/pesci prendono vita nel profondità del mare o sulla terraferma. Il silenzio non sembra nemmeno essere una scelta ricercata, ma bensì la necessità della danza di sottrarsi agli artigli degli accidenti della vita per mantenere solo l’essenziale, lo sviluppo della linea vitale. Siamo all’interno del mondo vegetale? Di quello marino? Animale, forse? L’indeterminazione fa sì che si tenda a nominare mondi non appena vi si notino delle forme riconoscibili. Ecco che, nel terzo movimento, ci sembra di assistere all’incontro tra la superficie terrena e quella acquea: la leggerezza dei gesti, unita alla dolcezza della scenografia, sembrerebbero contrastare con una musica tagliente, rumorosa, ripetitiva. Ma ciò non avviene, come se ciò fosse dovuto ad un incantesimo, ad un intervento magico che si assuma la responsabilità di risolvere una palese incompatibilità. L’ossimoro non disturba proprio perché la danza evita l’aspetto didascalico per consacrarsi totalmente all’evocazione.

Siamo pienamente all’interno dell’estetica orientale, dello zen, di una bellezza rara che non si lascia catturare e che rimane, sempre, nonostante tutti gli sforzi che possiamo intraprendere, leggermente lontana da noi, incomprensibile. Qualcosa ci sfugge. E ciò rappresenta una grande ricchezza. La danza butō è una danza che sembra essere espulsa direttamente dalle viscere di un tempo ancestrale che non si lascia definire. Ma che possiede anche una stretta disciplina. La caratteristica più riconoscibile di questo genere di danza è proprio la lentezza dei movimenti, come se si fosse intervenuti sui movimenti dell’umano per abbassarne i ritmi, fino a rendere il movimento quasi impercettibile. Qui, nel luogo dove avviene un quasi azzeramento totale della cinetica, si installa la disciplina del respiro, il prāṇāyāma, che mantiene i corpi in una tensione inattaccabile. I movimenti di Meguri sono composti di ritmi diversi, tempi che si dilatano e che si concentrano ma la sapienza compositiva, unita proprio alla tensione dei corpi, fa sì che non vi siamo mai interruzioni. La mancanza di pause non è pertanto un segno di un’opera opprimente ma, al contrario, una dichiarazione di una continuità vitale. Il settimo ed ultimo movimento vede il ricongiungimento con le immagini iniziali attraverso il movimento circolare dei danzatori che divengono animali roteanti che si ripiegano su se stessi per poi sbocciare come un fiore che si lascia trasportare dal vento in un movimento che potrebbe non finire mai. Un’allegoria della vita che, mentre scompare nel buio della scena oscura, lascia che il battito cardiaco continui a segnare il tempo.

La Maison de la danse de Lyon présente le spectacle Meguri de la compagnie japonaise Sankai Juku. Un souffle circulaire et ininterrompu qui provient directement des entrailles d’un temps ancestrale. Une allégorie de la vie qui prend les formes d’un pas léger, discret et presque imperceptible mais aussi celle de la bouche noire de la mort. La danse butō comme évocation du mouvement vital.

Lo spettacolo va in scena:
Maison de la danse
8 avenue Jean Mermoz – Lione (Francia)
fino a sabato 21 gennaio 2017
orari: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.30, giovedì ore 19.30

La Maison de la danse ha presentato
Meguri
della compagnia Sankai Juku
coreografia, concezione e direzione Ushio Amagatsu
musiche Takashi Kako, YAS-KAZ, Yoichiro Yoshikawa
con Ushio Amagatsu, Semimaru, Toru Iwashita, Sho Takeuchi, Akihito Ichihara, Dai Matsuoka, Norihito Ishii, Shunsuke Momoki
direttore di scena Kazuhiko Nakahara
assistente del direttore di scena Keisuke Watanabe
tecnici delle luci Satoru Suzuki, Satoko Koizumi
tecnico del suono Akira Aikawa
realizzazione del fondo scenografico Roshi
realizzazione dei costumi Masayo Lizuka
amministrazione Midori Okuyama, Yasuko Takai

in coproduzione con il Théâtre de la Ville di Parigi, il Kitakyushu Performing Arts Center di Fukuoka, l’Esplanade / Theatres on the Baydi Singapore e il Sankai Juku di Tokyo

durata 1 ora e 20 minuti

www.maisondeladanse.com