Prima e dopo Basaglia

Lemurate LogoAlle Murate di Firenze va in scena Memorie dal Reparto n. 6. Per non dimenticare

Sono trascorsi quarant’anni dall’approvazione di una tra le leggi più importanti del nostro ordinamento che, unitamente al diritto all’interruzione volontaria di gravidanza e al divorzio, all’abrogazione della legge sul delitto d’onore e al nuovo diritto di famiglia, in una manciata d’anni, cambiarono radicalmente il volto dell’Italia, elevando il nostro comune senso di umanità. La legge che chiuse i cosiddetti manicomi (ma non gli ospedali psichiatrici giudiziari, per i quali si è dovuto aspettare il 2017 perché fosse finalmente attesa la normativa del 2015) e che prese il nome dal suo ideatore, lo psichiatra e neurologo Franco Basaglia, non è solamente un pilastro di civiltà per il nostro Paese dato che il trattamento della malattia mentale è tuttora argomento spinoso in molte parti d’Europa. Come dimostra anche l’installazione di Christian Fogarolli, Krajany, attualmente alla Tenuta dello Scompiglio di Vorno, che racconta la tragica fine di una quarantina di malati (o presunti tali), provenienti dal Trentino e deceduti – nel giro di un paio d’anni, o meno – durante la Prima guerra mondiale nell’ospedale psichiatrico di Bohnice (a Praga). Una situazione, quella delle strutture sovradimensionate e alienanti, che continua ad affliggere i Paesi dell’ex Europa orientale, in generale, e la Repubblica Ceca, in particolare.

Ecco, quindi, che a quarant’anni dall’approvazione della Legge Basaglia, alle Murate di Firenze va in scena un racconto di Anton Čechov che pare quasi profetico, sia nella sua denuncia di un sistema di internamento che, spesso, aveva fini altri (l’allontanamento di mogli melanconiche, figlie isteriche, figli scapestrati, membri della società con idee destabilizzanti per l’ordine sociale, etc.), sia in quella di un sentire comune – a livello politico ma anche di gerarchie sociali – che ammetteva solamente l’accettazione passiva dello status quo; un adeguarsi senza convinzione – ma prono – al comune senso del pudore, del dovere o dell’onore. Memorie dal Reparto n. 6 è tratto da Палата № 6, ossia Corsia N° 6, una perla tra i racconti di Čechov – spesso e ingiustamente meno conosciuti delle sue opere teatrali – pubblicato nel 1892 e che ebbe un enorme successo appena uscito. Ripensato per la scena da Teatro Nucleo, regge bene il palco grazie alla capacità dell’autore russo di ricreare immagini vivide, personaggi complessi, situazioni credibili con poche parole dal tratto preciso. Daniele Giuliani, in scena, restituisce la complessità tragica del manicomio e dell’universo sociale che lo creava e lo ergeva a difesa dei suoi privilegi. In particolare, spiccano due momenti in cui l’interpretazione si fa autentica, quella in cui il vecchio paziente chiede spasmodicamente una cicca/sigaretta e che rimanda ad altri volti e gesti – visti nei film, nei documentari di mamma Rai, o nella nostra realtà, ad esempio milanese, quando aprirono le porte dell’allora ospedale psichiatrico Paolo Pini – e il finale, quando intona La cammesella.
Unico neo l’uso pleonastico del gesto che, a volte, nella sua ridondanza appesantisce troppo un testo già di per sé sufficientemente chiaro e pregnante.

Lo spettacolo è andato in scena:
Complesso delle Murate
piazza Madonna della Neve, 6 – Firenze
giovedì 1° novembre, ore 21.00

Teatro Nucleo Memorie dal reparto n°6 in collaborazione con Sfumature In Atto hanno presentato:
Memorie dal Reparto n. 6
tratto da un racconto di Anton Čechov
regia Cora Herrendorf
con Daniele Giuliani

https://cultura.comune.fi.it/