La parabola psichica del Re Lear è protagonista della controversa messa in scena di Lear (desaparecer) al Teatro Corral de Comedias de Alcalá de Henares.

La vicenda è nota. L’ormai anziato sovrano di Britannia decide di abdicare e, probabilmente per vanità, decide di spartire il proprio regno in relazione all’amore incondizionato (sic!) che le sue figlie sapranno dimostrargli. Deluso dall’inaspettato celebre nothing dell’adorata Cordelia e accecato dalla rabbia per non aver ricevuto l’affetto che pensava di meritare, Lear si trova a covare odio con la stessa intensità con cui voleva essere amato e a implodere in una fine tragica e senza alcuna possibilità di catarsi.

La questione è però più complessa di come appaia: l’amore di Cordelia è sì minuto ma è allo stesso assoluto nella sua sincerità e Shakespeare, intrecciando vicende familiari e politiche, le ragioni del cuore e la Ragion di Stato, dà forma a una drammatica e lucidissima sovrapposizione/contrapposizione tra natura e civiltà.

In Re Lear, l’essere umano vuole titanicamente l’assoluto, ma si scopre fatalmente destinato al nulla: ecco che l’amore – quale miglior metafora di un’eternità possibile? – assume un significato profondamente contemporaneo nel presentarsi “doppio” in un intrinseco legame con il proprio opposto (l’odio).

Le possibili letture sono, come è evidente, vastissime e quello che interessa alla compagnia [los números imaginarios] e alla produzione bellabatalla è utilizzare a pretesto il capolavoro shakespeariano – anche sacrificandone la valenza prettamente tragica – per condurre emotivamente il pubblico a una riflessione sul valore del tempo nelle relazioni umane.

Pur essendo nato da momenti di creazione collettiva con finalità di inclusione sociale tra attori professionisti e persone con diversi gradi di disfunzione psichica (Diálogo Posible con el Alzheimer) e pur prevedendo la partecipazione di quest’ultimi da parte dei primi su invito durante le scene di ballo (invito esteso anche a ogni spettatore), Lear (desaparecer) è un allestimento ibrido che non intende assumere una funzione solamente terapeutica.

Quello che interessa alla compagnia [los números imaginarios] non è proporre una rivisitazione o una riduzione del concetto di potere nella sua violenta relazione con la follia e con l’amore, quanto guidare didatticamente la riflessione individuale e originare, a seconda di ogni astante, la presa di consapevolezza su una tematica ben precisa che Carlos Tuñón sintetizza in «¿Qué es desaparecer para nosotros? ¿Cómo acompañar al otro si deja de “ser”?». Lear (desaparecer) «no habla únicamente de la vejez, sino de cómo una sociedad se relaciona con la ancianidad y sobre cómo se establece el diálogo entre las diferentes generaciones. Shakespeare lo expuso en su momento a través de un rey al que repudian sus propias hijas cuando ya no les sirve para nada. Nosotros hemos pensado en el alzhéimer como el punto de partida que nos pone hoy sin remedio en ese disparadero».

Caratterizzato da una struttura drammatica libera con ampi momenti di improvvisazione e da una modalità pseudo immersiva di interazione tra palco e platea, lo spettacolo si organizza fondamentalmente su due assi, il primo dei quali è relativo alla scomposizione dello spazio.

L’azione si svolge infatti in una platea liberata da sedie e poltrone e accerchiata dal pubblico (che alterna, senza soluzione di continuità, osservazione e partecipazione nei momenti in cui si danza) e al suo interno i confini tra attori e spettatori sono labili e onirici, sospesi tra realtà e fantasia, anche se il disegno luce non appare particolarmente raffinato, mentre le musiche risultano ricercate (da Alle prese con una verde milonga di Paolo Conte alla preghiera di Scott Walker Farmer in the city). Nel suo complesso, l’allestimento comunque riesce a esaltarsi nelle naturalmente suggestive atmosfere interne del Teatro Corral de Comedias.

Il secondo asse è quello della prossimità al testo. Lo fedeltà al testo corrisponde cronologicamente a circa la prima metà dello spettacolo (la durata può variare a seconda del contributo del pubblico e delle improvvisazioni) e va dall’ingresso in sala, quando ci si vede consegnato un quotidiano con la cronaca del giorno dell’abdicazione da sfogliare collettivamente e si viene invitati a completare al microfono la frase «en mi reino veo» (ognuno può decidere se e quando prendere parola, e cosa leggere) e si conclude quandoLear interroga le figlie – e in realtà, con esse il pubblico. Successivamente Lear (desaparecer) decide di oltrepassare lo specchio, di abbandonarsi totalmente e liberamente alle suggestioni sensoriali, immaginifiche e ludiche ed entrare a gamba tesa sulla questione delle conseguenze e della condizione di chi, persa la memoria, rischia di vedere compromessa, se non fosse per l’intervento e la cura dei propri cari, anche la propria dignità.

Alcune soluzioni appaiono intriganti, in particolare l’utilizzo plastico e scenografico della carta di giornale con cui il cast e il pubblico si trovano a giocare dopo averlo lacerato in straccetti in una riuscita allegoria della crisi della memoria («la memoria para nuestro Lear no es algo compacto, sino fragmentado, es un conjunto de recuerdos a veces inconexos, un nido de palabras que el protagonista intenta desenredar»).

Altre soluzioni rientrano nel canone di un allestimento che, posta sottotraccia la propria costruzione narrativa, si annuncia quale esperienza integrale di danza, musica e partecipazione provocata e non organizzata del pubblico. Da questo punto di vista, Lear (desaparecer) inizia a palesare pesanti segnali di fragilità drammaturgica e scenica, tanto sul piano della scrittura quanto su quello dell’interpretazione.

La percezione di un utilizzo non coerente del testo originario non è ovviamente dovuta alle libertà che Carlos Tuñón propone, ma al modo in cui piega Shakespeare all’esigenza di dilatare i tempi in una durata apparsa del tutto ingiustificata (ricordiamo meravigliosi esempi di teatro esperienziale di soli 7 minuti) e alla poca convinzione e qualità con cui gli attori – non gestendo la dialettica tra l’essere persona e l’essere personaggio – danno luogo a una stucchevole sensazione di falso realismo intriso di un manierismo poetico in cui semplicemente si “folleggia” tra sguardi sognanti e si ricerca sarcasticamente la complicità con il pubblico.

Ma se Carlos Tuñón appare colpevole nel lasciar sovrastare la stessa rappresentazione in un eccesso di meta-teatralità, è stata l’interpretazione forzatamente spontanea degli interpreti a risultare ben lontana dal saper plasmare nei toni e nei gesti l’auspicata composizione a-razionale di quello spazio-soglia vissuto da chi esperisce simultaneamente una mancanza (ciò che si è perso e di cui ormai non ha più memoria) e una resistenza (ciò che si ha ancora ma chissà per quanto).

Lear (desaparecer) non è più la tragedia esistenziale del singolo, del sconfitto in sé (come sovrano) e per sé (come padre), ma purtroppo non è ancora la restituzione fenomenologica del declino di un essere umano che, perso il passato, intende non rinunciare all’aspettativa del futuro per aprirsi a una esistenza non ai margini nel presente, ma immersa nella drammatica consapevolezza di quanto sia ardua la lotta per conservare il proprio anelito vitale di affetti e solidarietà, vicinanza ed empatia.

 

Teatro Corral de Comedias
Plaza de Cervantes 15, Alcalá de Henares (Madrid)
21 y 22 de febrero, 2020, horas 19:00

Lear (desaparecer)
versión y dirección Carlos Tuñón
ayte. dirección Mayte Barrera
reparto Nacho Aldeguer, Jesús Barranco, Enrique Cervantes, Irene Doher, Pablo Gómez-Pando, Marta Matute, Alejandro Pau, Gon Ramos, Patricia Ruz, Nacho Sánchez, Irene Serrano, Luis Sorolla
adjunta dirección Paula Amor
pieza Leviatán Luis Sorolla
dramaturgia Gon Ramos y los intérpretes del Ensamble
espacio y pllástica Antiel Jiménez
vestuario Paola de Diego
iluminación Miguel Ruz Velasco
sonido Nacho Bilbao
jefe técnico Jesús Díaz
movimiento Patricia Ruz
fotografía Luz Soria
diseño gráfico Daniel Jumillas
vídeo Ales Alcalde
estudiante en prácticas Leyre Morlán
coordinadora del taller Diálogo Posible con el Alzheimer Paula Amor
terapeuta taller Diálogo Posible con el Alzheimer Alberto Sánchez
familias taller Diálogo Posible con el Alzheimer Mercedes Ponce, Luis Bataller, Antonio Olmo, Carmen García López, José Luis Salán Gallego, María López, Jaime Pérez Lloret, María del Carmen de la Cruz, Javier Fernández Domínguez, Rosa Calatayud Ruiz de Zuazu, Consolación Alonso Herrero, Fernando Rojo López
produce Bella Batalla y Teatros del Canal
productor Nacho Aldeguer
jefa producción Rosel Murillo
ayte. producción Mayte Barrera
comunicación Amanda H C (Proyecto Duas)
prensa Josi Cortés
distribución Isis Abellán