Al Teatro della Cooperativa, una disincantata analisi della realtà e del mondo del lavoro.

L’inizio dello spettacolo è spiazzante: il palco è vuoto e risuona la voce degli attori dagli altoparlanti fino a che si sente:«sono qui, ehi sono qui, mi vedete?». La protagonista si trova sul fondo della sala e comincia a parlare con tono allegro e spensierato della modernità: si scaglia contro i Suv, contro le condizioni dei treni di cui simula l’affollamento passando all’interno di una fila di poltroncine tra gli spettatori, schiacciandoli. «Noi, oggi, siamo come un treno che corre veloce, corre, corre…ma dove va? Dove va questo treno? Dove stiamo andando?», si interroga. Sale poi, finalmente, sul palco. È una sorta di presentatrice–valletta quella che si presenta agli spettatori e rappresenta la frivolezza di un mondo spettacolarizzato che ha dimenticato i veri problemi, rappresentati, invece, dai sei personaggi (tutti interpretati dalla versatile Federica Fracassi), veri protagonisti della pièce, tratta dal libro omonimo di Aldo Nove. Ognuno di loro è contraddistinto da una giacca di colore diverso.

Da notare come la successione dei colori delle ultime tre giacche sia rosso, verde e bianco: i colori della bandiera italiana posti in disordine a simboleggiare il disordine di una nazione in preda a una crisi dalla quale sembra non si riesca, e forse non si voglia, uscire. I brevi racconti dei sei protagonisti portano alla ribalta il problema degli allevatori e degli agricoltori in Sardegna, il lavoro precario, l’impossibilità di trovare un lavoro o, al contrario, la necessità di svolgere più lavori per sopravvivere, la disperazione che talvolta porta a gettarsi nelle scommesse o all’alienazione – «compilo moduli» ripete in maniera ossessiva l’uomo dal giaccone bianco –, il problema di una maternità impossibile senza sicurezze lavorative, la solitudine.

I racconti sono accompagnati e intervallati dalla musica della fisarmonica suonata dal bravo Guido Baldoni che, oltre che musicista, recita come spalla della Fracassi e si dimostra abile e a suo agio curiosamente quando si trova ai lati del palco in posizione semi nascosta e più legato nei momenti in cui si trova in piedi e al centro della scena nel ruolo di intervistatore della donna dal giaccone arancione.

Gli intervalli tra un monologo e l’altro, nei quali torna in scena l’attrice in versione valletta, appaiono dissonanti e sono sicuramente i meno efficaci, ma dimostrano bene quanto il problema del lavoro precario sia sottovalutato al giorno d’oggi. È in questi momenti, però, che emergono alcune riflessioni significative, ad esempio quando la ragazza rivela di aver visto un idraulico che, coperto di una pelliccia di visone, usciva sul balcone e lanciava i resti del suo sushi agli studenti di scienze politiche assiepati in basso al freddo; «ma era solo un sogno», rivela. Il problema è che non è solo un sogno, ma un incubo reale, in cui il mostro della disoccupazione, della crisi, della paradossale inutilità dello studio stanno avendo il sopravvento. Speriamo quindi di svegliarci il prima possibile, anche di soprassalto, perché il treno sta arrivando al capolinea e non c’è nessun capotreno a farci da sveglia.
Uno spettacolo per mantenere desta l’attenzione.

Lo spettacolo continua
Fino al 5 dicembre
Teatro della Cooperativa
Via Hermada 8, Milano
Orario degli spettacoli
Martedì-sabato ore 20.45, domenica ore 16.
Produzione Teatro i

Mi chiamo Roberta, ho quarant’anni guadagno duecento euro al mese
Dal libro di Aldo Nove
Drammaturgia Federica Fracassi, Renzo Martinelli, Aldo Nove
Con Federica Fracassi
Musica dal vivo Guido Baldoni
Progetto e regia Renzo Martinelli
Aiuto regia Francesca Garolla
Scene Renzo Martinelli