Il connubio tra musica, teatro e cinema

Una prima assoluta mondiale quella di venerdì 23 febbraio 2018 presso il teatro Carlo Felice di Genova. Miseria e nobiltà: opera in due atti liberamente tratta dall’omonima commedia di Eduardo Scarpetta su libretto di Luca Rossi e Fabio Ceresa con le musiche di Marco Tutino.

Grandi aspettative, immensa curiosità, preoccupazione per il risultato e adrenalina delle maestranze teatrali, questo si palpava all’ingresso del teatro gremito di autorità, abbonati e curiosi. Quando si va a teatro, per lo meno a Genova, ma come in altre città, generalmente si è preparati: i melomani magari conoscono a memoria musica e libretto, gli amanti del teatro solitamente le arie più famose, i novizi hanno letto su wikipedia la trama. Tutto questo succede, però, quando in cartellone si leggono i nomi di Verdi, Rossini, Bellini, Mozart e via dicendo, ma in questi giorni, all’ingresso del teatro genovese, sulla locandina si legge Tutino, Miseria e nobiltà. La reazione è molto particolare se si pensa che, rispetto ai soliti titoli, sarà possibile conversare con i librettisti e il musicista nel foyer. Ma procediamo con ordine.
Composta in napoletano nel 1887 da Eduardo Scarpetta, sarà la coppia Totò-Loren, nel 1954, diretta da Mattoli, a rendere celebre quest’opera che parla di contraddizioni sociali, povertà, ingiustizia, fame e spaghetti.
E sulla scena operistica gli ingredienti ci sono tutti. Il primo atto si apre su una piazza di un povero quartiere napoletano nel quale l’ex maestro Felice Sciosciammocca (Alessandro Luongo, Baritono) cerca di guadagnare del denaro per nutrire il povero figlio Peppiniello (Francesca Sartorato, Mezzosoprano); la madre di questi, sostiene Felice, è in America. La scena è gremita di popolani ed è resa viva dall’arrivo di una bellissima ballerina, Gemma (Martina Belli, Mezzosoprano) corteggiata da un uomo più grande di lei, il principe Ottavio di Casador (Andrea Concetti, Basso). Si apprende poco dopo che in realtà la giovane, figlia di un borghese arricchito durante la guerra, Don Gaetano (Alfonso Antoniozzi, Basso – Baritono), è innamorata e ricambiata da Eugenio (Fabrizio Paesano, Tenore), figlio nobile del principe Ottavio il quale però è assolutamente contrario alle nozze.
Il primo atto, momento di presentazione dei personaggi, ha un andamento oscillatorio: un inizio spumeggiante, denso di momenti corali movimentati seguito dalla comparsa dei protagonisti, quindi l’incontro tra una donna di nome Bettina (Valentina Mastrangelo, Soprano) e Peppiniello, infine l’incontro tra i due futuri sposi e Felice. Questi è stato insegnante di Eugenio in passato, lo conosce e gli vuol bene nonostante un torto subito dal di lui padre, del quale però non è dato sapere se non al secondo atto. Eugenio chiede aiuto a Felice affinché, fingendosi suo padre il principe, incontri il futuro consuocero, padre di Gemma, autorizzando così l’unione tra i ragazzi. Felice per principio è contrario, ma in una Napoli affamata e, sino a quel punto, dopo il momento concitato iniziale, ammutolitasi (è stato il momento di maggior calo drammatico), l’opera si rialza nella conclusione dell’atto. Eugenio e Gemma promettono innumerevoli cibi e bevande (elevato momento sia sul piano musicale che su quello librettistico) ma l’unico a poter permettere quell’abbondante pranzo è Felice: se accetterà di aiutare gli innamorati, tutto il quartiere potrà mangiare dimenticando la fame di cui soffre dai tempi della guerra.
Insomma, convinto più di pancia che di cuore, Felice accetta.

Ecco allor uno dei più ben congeniati momenti drammatici e registici del teatro moderno: una lunga tavola di legno imbandita di scodelle stracolme di spaghetti al sugo, dietro la quale, come un’ultima cena biblica, si stagliano i poveri napoletani pronti a saltare letteralmente sulla tavola per divorare il cibo. La celebre scena di Totò è riportata sul palcoscenico raggiungendo davvero l’apice espressivo ricercato.
Il secondo atto è il momento che rappresenta la parabola ascendente dell’opera per musica, testo e messinscena.
Felice, nei panni del principe, si reca a casa di Don Gaetano nella quale si compirà il piano per far maritare i giovani. Durante la cena però Felice incontra Bettina: ecco il torto subito dal principe in passato. Bettina era la moglie di Felice e quando questi, rifiutando la tessera del partito fascista, perse il lavoro, la moglie chiese aiuto al principe che in cambio volle avere la donna stessa. Felice non ottenne il lavoro ma seppe solo dell’ultima parte del piano della moglie, quella in cui aveva avuto una relazione con il principe.
Intanto viene messo in atto l’inganno. Tutto sembra filare liscio sino all’arrivo del vero principe.
La scena che si svolge è forse una tra le più interessanti: il principe e Felice, allo stesso tavolo, cercano di convincere Don Gaetano della propria sincerità. Tutto si risolve subito dopo la lettura che la radio dà dei risultati del referendum Monarchia-Repubblica: l’unico a esultare è infatti Felice che con questo gesto palesa di non esser il principe. La nobiltà ha, però, perso e dunque per Don Gaetano il parere di un principe non ha più valore: il borghese ha il denaro e il nobile le terre e dunque quale legame migliore per mantenere la supremazia se non quella di unire le due famiglie con il matrimonio dei figli?
Ecco la conclusione: i due si possono sposare e Felice, scoperta tutta la storia, perdona Bettina e insieme abbracciano Peppiniello. Il grandioso finale corale vede tutti i napoletani festeggiare per il referendum e lieti per le nozze venture. A tutto c’è una morale: in questo Paese, nel cuore di ognuno, c’è un po’ di Miseria e di Nobiltà.

Uno spettacolo nel complesso grandioso: regia, scene e costumi sono perfettamente congeniali all’idea musicale e testuale. Testo moderno e davvero apprezzabile, la sfida per i librettisti era davvero dura ma hanno ottenuto un eccellente risultato. La musica, che in sé conserva molto di Puccini e del Novecento, ha comunque una tinta e un colore totalmente nuovi, rendondo l’opera innovativa nonostante il soggetto sia parte ormai della tradizione nostrana. Applausi quindi per la conduzione del maestro Francesco Cilluffo: si è percepito l’immenso studio necessario alla direzione di una melodia totalmente nuova. Appalusi scroscianti anche per gli attori, da Francesca Sartorato, Nicola Pamio e Valentina Mastrangelo agli acclamatissimi protagonisti Martina Belli e Fabrizio Paesano. In parte i tre padri: Alessandro Luongo, Alfonso Antoniozzi e Andrea Concetti dominano il palco, ma del resto, da questi nomi si attendevano questi perfetti risultati.

Il pubblico genovese, generalmente restio alle novità e agli stravolgimenti, nonostante un iniziale spaesamento, alla fine del I atto e al concludersi dell’opera ha apprezzato sinceramente la novità.
Noi di Persinsala siamo davvero onorati di aver avuto la fortuna di assistere ad un evento così importante per la cultura internazionale: una prima delle prime dalla quale ci aspettiamo grandi cose.

In questo Paese, nel cuore di ognuno, c’è un po’ di Miseria e di Nobiltà.
(Atto II,6 Felice)

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Carlo Felice
passo Eugenio Montale 4, Genova
venerdì 23 febbraio ore 20.30
domenica 25 e martedì 27 febbraio ore 15.30
giovedì 1 marzo ore 20.30

Miseria e Nobiltà
Opera in due atti liberamente tratta dall’omonima commedia di Eduardo Scarpetta
Libretto di Luca Rossi e Fabio Ceresa
Musiche di Marco Tutino
Direttore d’orchestra Maestro Francesco Ciluffo
regia Rosetta Cucchi
con
Valentina Mastrangelo – Bettina
Francesca Sartorato – Peppiniello
Martina Belli – Gemma
Fabrizio Paesano – Eugenio
Nicola Pamio – Cameriere/Contadino
Alessandro Luongo – Felice Sciosciammocca
Alfonso Antoniozzi – Don Gaetano
Andrea Concetti – Ottavio
assistente alla regia – Stefania Panighini
scene – Tiziano Santi
assistente alle scene – Alessia Colosso
costumi – Gianluca Falaschi
assistente ai costumi – Nika Campisi
luci – Luciano Novelli
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice e Teatro Verdi Salerno
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Durata 135 minuti ca.