«Io sono la carne che sempre afferma»

Luci soffuse, un letto e un cuscino in legno messi di sghembo, pochi ma significativi rumori fuori scena e il continuo germogliare di pensieri ad alta voce, i pensieri di Molly Bloom, la voce di una splendida Chiara Caselli. Al Teatro Argot Studio.

In Italia, gli artisti senza una pubblicità, fuori dal girone dei talk show, assenti sui periodici da sala d’attesa hanno sicuramente una vita difficile, il pubblico tende a dimenticare, distratto com’è, se non ipnotizzato, dal bailamme. Capita così che attori di talento, premiati e anche apprezzati all’estero non sempre ricevano la giusta attenzione. Chiara Caselli ne è un esempio. Diplomata allo Stabile di Bologna, ha avuto una carriera cinematografica internazionale e torna oggi a teatro, dopo l’esperienza con Orlando e Virzì, in un monologo diretto da Maurizio Panici, presentato al Festival dei Due Mondi 2012, tratto da un testo più che classico, uno di quei libri il cui titolo è sempre accompagnato dal nome dell’autore, Ulisse di James Joyce. Un’autentica prova d’attrice. Se ancora ce n’era bisogno.
Affrontare l’ultimo capitolo di un testo tanto complesso è impresa impegnativa e ardua, quanto efficace il risultato. Il personaggio di Molly si rivela perfettamente compatibile alla fisicità della Caselli. Voluttuosa, ammiccante, vibrante. Attenta a ogni sfumatura di questo monologo interiore famoso perché privo di punteggiatura, simile all’oralità e perciò teatrale, teso a inseguire i pensieri notturni di una donna che fatica a prendere sonno, stesa accanto al marito dormiente, semi-cosciente lei stessa e preda di pensieri, immagini, desideri, senza reticenza. Nessun contegno nel dominio della mente, ma anche nessuna formalità (Super-Io li chiamerebbe Freud). Non necessari. Si rivela così ai nostri occhi una donna libera, anche dal rimorso e dal pentimento, spregiudicata, al di là del pudore e della morale. E osserva. D’altra parte lo scrive Aristotele, noi non vediamo con gli occhi, ma attraverso il pensiero. Nel dormiveglia, però, il pensiero scorre secondo una libera associazione di idee, selezionate a caso nella memoria, una memoria spesso sensoriale. Ecco quindi che l’esperienza individuale di Molly diventa l’archetipo femminile. Sebbene da “copione” il personaggio sia originario di Gibilterra, sposata a un marito che ama, Leopold (Poldy) Bloom, ma con il quale ha perso ogni complicità anche a seguito della tragica perdita di un figlio, e sia incapace di reprimere la gelosia nei confronti della figlia adolescente in boccio, Molly incarna ogni donna, la Donna, santa e puttana.
Bisogna pur dirlo, Joyce non andava tanto per il sottile e difatti ogni suo testo ha avuto un travagliato iter di pubblicazione, compreso l’Ulisse, troppo audace e volgare. E complesso. La conclusione dell’odissea modernista joyciana ha una protagonista femminile (più volte nominata nel corso del libro, ma di cui era stata descritta solo una mano alla finestra), una Penelope intenta a tessere e a disfare la sua tela, intrecciando fatti e riferimenti, uomini e relazioni, in un perpetuo fluire. Significativamente, Molly è costretta ad alzarsi nel cuore della notte per l’inizio delle mestruazioni. Il sangue che scorre rappresenta la nostra doppia eredità di uomini generati dalla carne e purificati dal sacrificio di Cristo, in questo caso, riuniti nella figura di Molly che si eleva a corpo mistico e salvifico, la soluzione universale, in un colpo solo. Lo scrittore epifanico per eccellenza ha interpretato la filosofia della claritas dando luce e quindi corpo alla verità, Molly. Sono effettivamente teorie che mettono i brividi. Eppure, queste terribili speculazioni accademiche non devono lasciarci stesi a tappeto se si tiene sempre a mente l’iniziale volontà dell’autore di interpretare l’epica come un poema eroicomico in prosa. Fa sorridere sapere che la giornata in cui si svolge l’intera odissea di Leopold Bloom, Stephen Dedalus e Molly è il 16 giugno 1904, il giorno del primo appuntamento di James Joyce e la sua futura moglie e musa, Nora Barnacle, così come appaiono comici i rimandi interni al monologo chiaramente estrapolati dalla corrispondenza privata dei coniugi Joyce, irriverente e, a tratti, pornografica.
Perciò a prescindere dai vari esercizi di critica testuale possibili, cui Joyce si presta e volentieri, lo spettacolo basato sulla nuova traduzione dell’Ulisse a opera di Gianni Celati per le edizioni Einaudi è tutt’altro che una rappresentazione cervellotica o concettuale, anzi spesso ironica e divertente. Gli accenni alla trama del libro ci sono quando strettamente necessari, ma non ha importanza conoscere o meno i dettagli. Il significato resta forte e chiaro, proprio perché immediato, disinibito e umano. Chiara Caselli aggiunge poi un valore a Molly, pronuncia oscenità conservando una naturale grazia, insiste sulla fisicità senza apparire goffa e offre l’impressione di parlare realmente di lei, autenticamente.

Lo spettacolo continua:
Teatro Argot Studio
via Natale Del Grande, 27 – Roma
fino a domenica 2 dicembre
ingresso riservato ai soli soci
(durata 1 ora circa senza intervallo)

ArTè Teatro Stabile d’innovazione
in collaborazione con Spoleto55 Festival dei Due Mondi presenta
Molly
da Ulisse di James Joyce
regia Maurizio Panici
con Chiara Caselli
traduzione Gianni Celati
adattamento Chiara Caselli
scena e costumi Barbara Bessi
luci Roberto Rocca