L’amaro in bocca non è solo quello del sarcasmo in scena

Opera interessante del 2015, N.E.R.D.s di Bruno Fornasari  arriva al Brancaccino con tutto il suo disturbante carico di vetriolo rivolto alla società borghese contemporanea.

Spesso si sottolinea come l’attuale generazione di neo-adulti – i trenta-quarantenni disillusi alle prese con un universo simbolico da cui ormai sono stati espiantati i principi che per secoli avevano regolato l’esistenza dell’essere umano – sia lontana anni luce da quella dei propri genitori; più responsabili e più eticamente rigorosi, gli adulti di una volta credevano nella famiglia, nel rispetto reciproco, e se violavano i vincoli coniugali si preferiva sacrificare il godimento edonistico del presente per il bene dei figli e del marito/moglie.

Nella nostra contemporaneità qualcosa è cambiato, e ciò concerne le nostre modalità di interrelazione sociale, il modo in cui costruiamo legami affettivi, perché i neo-adulti sono disorientati tanto nei confronti del proprio passato, quanto soprattutto nei confronti di una eventuale progettualità del futuro. La letteratura teatrale in diverse occasioni ha deciso di mettere in scena queste idiosincrasie “postmoderne”, e tra gli autori che hanno deciso di indagare il caos della società attuale c’è anche Bruno Fornasari, autore e regista di N.E.R.D.s Sintomi, pièce in scena al Brancaccino di Roma fino al 22 aprile che declina questo orizzonte tematico in chiave humour dalle tinte scure. Sarcastico, a tratti spietato e incisivamente cinico, N.E.R.D.s è un’opera costruita per “quadri” che si susseguono come tanti flash, scorci di esistenze che si perseguitano dubbiose del loro posto nel mondo. Il gioco di parole del titolo allude ai sintomi del reflusso dello stomaco, patologia spesso psicosomatica che si combatte a suon di medicinali, un po’ come si fa per le nostre crisi psichiche troppo spesso arginate a suon di benzodiazepine e psicofarmaci, ma dei Nerd nella dizione comune del linguaggio odierno l’opera presenta ben poco, così come ben poco ha a che fare col dibattito cui il testo allude spesso relativo al postmodernismo e alla trasfigurazione del senso delle relazioni umane al tempo dei social e di internet.

Il testo sembra voler fare riferimento a questo, ma in realtà il referente ideale resta l’orizzonte tipico della modernità teatrale e cinematografica nordica: c’è tanto Festen e tanto livore scandinavo, di derivazione strindberghiana e bergmaniana. L’inferno che emerge è quello infatti della famiglia borghese benestante, apparentemente felice e conciliata, ma che dietro tale apparenza nasconde tradimenti, viltà e oscenità: dinamiche tipiche del Kammerspiel appunto, così come da lì provengono gli accenti taglienti dei dialoghi e i profili dei personaggi. La buona interpretazione dei quattro attori, impegnati in un continuo cambio di identità tra maschile e femminile, inscena intriganti elementi legati al rapporto con la sessualità omo ed eterosessuale, per arrivare allo stupro e al rancore malcelato che caratterizza molte famiglie contemporanee. Forse alcuni temi, così forti e decisivi, rivendicano un ulteriore sviluppo narrativo, forse non è sufficiente concentrare tutto questo materiale esplosivo nella cornice di una mezza giornata segnata dal festeggiamento per un anniversario. Detto questo, all’interno di questa camera delle torture, claustrofobica ma al contempo irriverente, gli attori come detto si destreggiano dando dinamicità alle scene, con un piglio degno del realismo classico ibseniano e cechoviano; primo tra tutti l’ottimo Riccardo Buffonini, ragazzo gay libertario e dandy, ma anche donna piacente contesa tra due fratelli e vittima di abuso da parte di uno di loro.

L’amaro in bocca che questa bagarre ironica lascia allo spettatore non è solo quello dovuto al proprio riflesso rintracciabile nello spettacolo, che esibisce quella miseria che connatura l’uomo da sempre, ma è dovuto alla mancanza di originalità e innovazione contenutistica perché l’ammiccamento a certo cinema anni ’90 (e anche precedente) è palese: si tratta infatti di questioni che non sono pertinenza specificatamente dell’oggi, o meglio, se riguardano il nostro mondo, in realtà erano tipici anche di un’epoca già passata. Sono problemi e questioni certo ancora salienti, ma forse raccontare la contemporaneità più prossima richiedeva una cura a particolari ulteriori (dove sono gli smartphone? E i social? Dove sono la precarizzazione professionale e il nomadismo? E, appunto, dove sono i Nerd?). Un’opera perciò interessante e positiva, ma che sembra riguardare un tempo vicino al nostro, ma comunque passato anche se di pochi decenni.
Sono da segnalare un paio di componenti assai intriganti dello spettacolo: gli sketch nei quali gli attori si presentano con un’enorme maschera da papero, forse i più riusciti perché i meno didascalici, i più visionari e a loro modo inquietanti per quanto grotteschi (il pensiero viene proiettato ai conigli di Lynch per esempio, o ai topi di Mio zio d’America di Alain Resnais), ma anche la decisione di tornare sulla scena dopo il primo finale, quando si decide di raccontare velocemente le vicende di quattro personaggi appena accennati nel corso della commedia. Tra questi personaggi persino Charles Darwin e la teoria dell’evoluzionismo, alla quale l’approccio socio-biologico del testo si rifà spesso: la dissacrazione di un gigante della modernità e l’ironia nei suoi confronti è la dimostrazione che le teorie socio-evoluzionistiche non sono mai state in grado di ridurre a spiegazione logico-scientifica il contorto mistero dell’animo umano, ieri come oggi.

Lo spettacolo continua:
Teatro Brancaccino
via Merulana, 244 – 00185 Roma
dal giovedì al sabato ore 20.00; domenica ore 18.45
dal 12 aprile al 22 aprile 2018

Teatro Filodrammatici di Milano presenta
N.E.R.D.s Sintomi
testo e regia Bruno Fornasari
scene e costumi Erika Carretta
allestimento Enrico Fiorentino, Andrea Diana
assistenti alla regia Emanuela Caruso, Chiara Serangeli
con Tommaso Amadio, Riccardo Buffonini, Michele Radice, Umberto Teruso