Varia umanità al Caffè del porto

Dal Teatro Parioli in Roma parte un bastimento carico di sogni. Sal Da Vinci canta Napoli e il suo Viviani, come trent’anni fa.

In un rinnovato e accogliente Teatro Parioli – oggi intitolato a Peppino De Filippo e diretto dall’ottuagenario figlio Luigi – sull’onda del successo riscosso a Napoli arriva a inaugurare la prima stagione di prosa della celebre sala romana, da poco uscita dal rischio chiusura, il fortunato spettacolo Napoli chi resta e chi parte per la regia di Armando Pugliese.
Una riedizione molto moderna – e decisamente ben riuscita – di un epico lavoro firmato dal noto Raffaele Viviani, ora reinterpretata dal valentissimo e versatile Sal Da Vinci con la partecipazione di un impeccabile Gigio Morra e un cast affiatatissimo di tredici attori e cantanti.
Si tratta di uno spettacolo musicale composto da due atti unici. Il primo, Caffè di notte e giorno, è un verace e irriverente spaccato della realtà napoletana del secolo scorso. Nel misero contesto notturno di un caffè malfamato e sempre aperto si incrociano le tragiche esistenze di personaggi di ogni genere e il più vario campionario di povertà umane, degradate dalla fame e dall’ignoranza.
A pochi passi, una possibilità di redenzione che nessuno afferra, preferendo restare attaccato al proprio ineluttabile destino.
Il Caffè Notte e Giorno è uno di quei “non luoghi” di perdizione e trasgressione che ha sempre caratterizzato i porti di tutto il mondo nei quali si dava appuntamento, fino all’alba e oltre, una fauna di sbandati e derelitti, dove la tragedia latente si legge nella quasi coatta obbligatorietà dello stare assieme, con la vicinanza del mare a funger da deterrente a ogni sorta di violenza.
Il secondo atto, Scalo Marittimo, è il corale e oleografico affresco in esterno giorno di un molo del porto di Napoli da cui si stacca, con il suo carico di spiantati, cafoni e avventurieri, il piroscafo per il nuovo continente.
Vi si descrive la triste condizione di chi, costretto dalla miseria, vede nell’emigrazione l’unica, inevitabile possibilità di sopravvivenza. Un’altra folla variegata, che si accalca questa volta sul molo davanti al transatlantico “Vuascenton” (leggi Washington) in partenza per l’Argentina, mentre la commistione fra cinici e faccendieri la spoglia sino all’ultimo spicciolo prima che salga a bordo.
È il mare che accomuna le storie dei due atti: viene quasi da pensare che il chiuso e l’angusto del Caffè del primo si affaccino su quella stessa banchina da cui si percepisce l’immensità insondabile delle miserie umane trattate dal secondo. Il mare fa piazza pulita del caffè, sommerge ogni cosa per lasciare il posto alla vastità della banchina in cui si muovono, con disinvoltura solo apparente, nuove figure sospese, mentre il tutto è pervaso da un’eco che ne polverizza i contorni. È ancora il mare che infine lascia i passeggeri dell’incombente transatlantico – scomodo e inquietante spartiacque tra chi resta e chi parte – preda del vuoto, ancor più che della partenza. Una metafora della luce di un mondo nuovo, non si sa se migliore o peggiore ma certamente diverso.
Il tentativo è quello di restituire la feroce ironia delle descrizioni di Viviani a una Napoli nobile e plebea che non c’è più ma che è sempre prigioniera del suo destino, come se gli esseri umani fossero partoriti ad ogni ondata, risucchiati via ad ogni risacca.
Napoli, chi resta e chi parte è un vero e proprio cult degli anni Settanta che ha consacrato al successo attori e musicisti del calibro di Massimo Ranieri e Angela Luce.
L’impressione di una profonda diversità rispetto all’originale del grande Giuseppe Patroni Griffi – rappresentato per la prima volta il 3 Luglio 1975 al XVIII° Festival dei Due Mondi a Spoleto – già dotato di una sua singolare modernità, è palpabile e balza all’occhio anche degli spettatori meno esperti.
Allo stesso tempo, però, la nuova, grande contemporaneità e attualità di questo allestimento, dotato di una propria spiccata personalità – che nulla toglie al tragico e trascinante senso di giustizia e alla vibrante denuncia civile che permea il mondo del grande Viviani – emerge con graffiante evidenza, trovando divertite e ammirate conferme da parte degli eminenti ospiti, napoletani e non, presenti in sala.
Come Eduardo sta al dramma di Napoli, così Viviani sta alla sua tragedia. L’impossibilità di cambiare è al contempo la sua forza e la sua dannazione. Ma in Viviani non si coglie l’approccio intimista delle coscienze edoardiane. Non si ha il tempo di inquadrare una figura che essa subito svanisce per lasciare il posto al nuovo entrato e così di seguito. Eppure, alla fine, si ha il senso dell’unità del tutto, di un’unica grande figura, quella del popolo napoletano.
Il tempo passa e il mondo che ha prodotto quell’espressione è molto cambiato. Ma valori e disvalori universali non si modificano nel tempo, al massimo si travestono, come i vizi e le virtù dell’uomo.
Potrebbero sembrare datate le immagini, le azioni e le figure proposte da Viviani ma, in verità, nulla sembra mutato nel codice genetico di questa città.
E così, Mariano Rigillo (già sul palco nell’edizione di Spoleto con Gigio Morra, trait d’union tra passato e presente), Vittorio Marsiglia, Mimmo Liguoro, Gigi Marzullo, solo per citarne alcuni, ne lodano al termine attualità e fruibilità. Certamente richiamati da solidali vincoli di stima e amicizia al “Direttorissimo” e alla Compagnia, la presenza di tanti amici testimonia, di per sé, il rilievo dell’opera di Viviani oltre che dello scenografo Andrea Taddei, dell’orchestrazione dal vivo di Adriano Pennino – cimentatosi nel ruolo che fu di Fiorenzo Carpi – e dei costumi di Daniela Ciancio (David di Donatello), firmati all’epoca dal premio Oscar Gabriella Pescucci, donando alla Prima una piacevole aria familiare.
Un omaggio all’amicizia, insomma, sembra voler annotare Pugliese nei suoi appunti sulla pièce. Una dedica alla grandezza di Patroni Griffi e Scarano, nomi storici del teatro italiano, nella speranza di bissarne il successo.
D’altra parte, assistendo oggi alla rilettura di scritture di questo tipo, godendo della forza e della straordinaria attualità che in lingua – e solo in lingua – esse sanno trasmettere, ci si convince della verità nelle parole del Direttore Artistico Luigi de Filippo, quando afferma che la tentazione di togliere la lingua napoletana a un’alta prova dell’arte partenopea, pure perseguita oggi, è propria di chi pensi di poter offrire «una bella rosa senza profumo».

Lo spettacolo continua:
Teatro Parioli Peppino De Filippo
via Giosuè Borsi, 20 – Roma
fino a domenica 18 dicembre
orari: da martedì a sabato ore 21.00, secondo giovedì e domenica ore 17.00

Napoli chi resta e chi parte
da Caffè di Notte e di Giorno e Scalo Marittimo
di Raffaele Viviani
regia Armando Pugliese
con Sal Da Vinci, Gigio Morra, Tonino Taiuti, Patrizia Spinosi, Giuseppe Mastrocinque, Antonio Fiorillo, Pino L’abbate, Rino De Luca, Gaetano Amato, Mario Aterrano, Federica Aiello, Lalla Esposito, Lello Radice, Pina Giarmana’, Ciro Capano, Sergio Celoro
orchestra dal vivo Ciro Cascino (pianoforte), Michele Bone’ (mandolino), Salvatore Dell’Aversano (chitarra), Gaetano Diodato (basso), Gianluca Mirra (batteria)
luci Valerio Tiberi
coreografie Ettore Squillace
produzione KOMIKO Production (Francesca Scarano)