Te piace ‘o Latella?

Al Teatro Stabile di Napoli va in scena Natale in casa Cupiello di Antonio Latella, testo di Eduardo De Filippo. «Pate bello ca ‘mmano me tiene/tieneme astritto e nun me lassà/ca pe’ ‘na penna d’auciello grifone/fratemo è stato nu traditore/e m’ha acciso e m’ha ammazzato/dint’ ‘a nu fuosso m’ha menato».

In questa riflessione non si parlerà di Eduardo De Filippo perché il drammaturgo, regista, attore, sceneggiatore e senatore a vita non era presente sul palco del Teatro San Ferdinando di Napoli. Se poi si considera che la pièce, voluta dal Teatro di Roma in occasione del trentennale della morte del sopracitato, è entrata in fase gestazionale nella mente di Antonio Latella, pluripremiato attore e regista contemporaneo, senza alcuna conoscenza previa del testo eduardiano («Sì, perché è proprio partendo così che sono riuscito a non farmi condizionare dal testo e da quello che lui ne faceva»), questa considerazione sembra alquanto ben fondata. Il confronto con un mostro sacro, infatti, non è mai un duello ad armi pari. C’è da tener conto dell’eredità – spesso e volentieri impossibile da onorare –, del lascito nell’immaginario collettivo e, soprattutto, dell’affetto del pubblico. Questo misurarsi con un classico è indubbiamente difficile, ma tra il modernizzare e il soffocare un padre per poi ricoprirlo di un ortaggio a foglie verdi non meglio definito, c’è un mare interpretativo sconfinato che sommerge il pubblico e lo pone di fronte a un pretesto per fare sfoggio di un cervello pensante (che, però, dipinge il moderno con un paio di uomini in tacchi e spacco vertiginoso e una donna bionica).

Non si parlerà di Eduardo De Filippo perché Latella mette in scena le sue didascalie, qui cantilenanti e sproporzionate, per riempire tutto lo spazio tolto alla scenografia (e colmare un horror vacui contenutistico figlio di un barocco deprivato della propria essenza: l’eccesso calibrato), per mantenere almeno una parvenza dello humor del testo originale (giacché la regia lo vieta per diktat interpretativo, visto che la «stella cometa non porta nessuna buona notizia, non mi interessano i buoni sentimenti») o, forse, soltanto per snervare e compiacersi della propria, estenuante, fastidiosità. La decostruzione, probabilmente volta a spiegare l’ingarbugliata lettura fatalistica del testo, impone quindi di spogliare la scena di tutti quei contenuti “inutili” che fanno da corollario imprescindibile a una parabola di vita decadente sì, ma col sorriso in bocca, smorzando così la possa partenopea tutta incentrata sulla beffa tragicomica. La decontestualizzazione che ne consegue (operazione spesso e volentieri felice, a patto che il testo sia poi ricontestualizzato in un altroquando perlomeno identificabile), però, priva la casa dei Cupiello di quelle fondamenta sociopolitiche che legavano a filo doppio il testo al popolo che sbeffeggiava, tramutando il Natale eduardiano in una banale sperimentazione dei limiti registici.

Perché trasformando il nostalgico, fanciullesco Lucariello in un meschino ometto uscito fuori più da una caliginosa penna vittoriana che da un’arguta disamina dei nostri tempi come quella del fu De Filippo, Latella mette in scena una dittatura dei sognatori (presente nell’originale, ma con toni decisamente meno tirannici) in cui a ogni parola, gesto e accento (grave, acuto, circonflesso o pleonastico che sia) del kapò famiglia corrisponde uno spasmo, un «colpe e’ revolvere» che stende e vince tutti, rammentando quel sempre attuale fantasma del Natale passato. Il realismo spesso associato a Eduardo cede il posto a un simbolismo esasperato ed esasperante che costringe i bravissimi attori a indossare la camicia di forza imposta loro dalle scelte drammaturgiche, ritrovandosi a diventare delle frenetiche allegorie umane. Prendiamo ad esempio la voce di Eduardo che risuona a più riprese ed esorta (in primis se stesso) a fare quel benedetto presepe, sconcertando i personaggetti in cerca non di un autore (visto che lo zelante regista si è già arrogato anche questo titolo), bensì di una spiegazione circa l’irruzione della carrozza brechtiana di Madre Coraggio nella loro pièce. O il napoletanissimo sfarzo tapino di una borghesia costretta a vendersi pure le scarpe per tirare a campare che si riduce simbolicamente a gigantesche oche, caproni e maiali presepiali che razzolano, brevi manu umana, sul palcoscenico con movimenti lubrici nella loro corpulenza.

Perché aggiungendo poi una singolar tenzone a colpi di stupro (che strappa un applauso compiaciuto ai più, per qualche motivo), un momento “rock” – che permette al pubblico piacente e saccente di crogiolarsi nella propria fissazione autoreferenziale di avere sempre ragione –, canti più o meno popolari (spaziando dall’Auciello Grifone alla Calunnia rossiniana), una scimmietta abbastanza ridicola e decisamente indiscriminata e una nenia da prefiche che sconquassa le battute del terzo atto (unica rilettura forse davvero interessante) il demiurgo, a differenza di Grotowski, non ne vuole sapere di smetterla con l’autoassoluzione per qualsiasi opera d’ingegno messa in scena ed esegue in definitiva un lavoro autoriale sul testo, accomiatandosi per sempre dall’originale. La cazzimma latelliana, però, non molla la greppia eduardesca, giacché quello che potrebbe benissimo definirsi teatro sperimentale (per quanto anacronistico oramai sia il termine) non vuole, un po’ come Tommasino, recidere il cordone ombelicale e mollare il seno di mammà, rimanendo nel porto sicuro (?) del “regia di” in cui il Teatro di Roma l’aveva relegato e diventando, in ultima analisi, un esperimento di teatro di regia non riuscito.

Non si parlerà di Eduardo De Filippo perché con il suo Natale in casa Cupiello Latella suscita tutte le emozioni possibili e immaginabili (facendo scappare, indignati e fumanti di rabbia, non pochi presenti), ma non riesce mai, mai, a muovere a compassione. E senza empatia, che Natale è?

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Stabile di Napoli – San Ferdinando
piazza Eduardo De Filippo 20 – Napoli
dal 16 al 27 novembre 2016

Natale in casa Cupiello
di Eduardo De Filippo
regia Antonio Latella
con Francesco Manetti, Monica Piseddu, Lino Musella, Valentina Acca, Francesco Villano, Michelangelo Dalisi, Leandro Amato, Giuseppe Lanino, Maurizio Rippa, Annibale Pavone, Emilio Vacca, Alessandra Borgia
drammaturga del progetto Linda Dalisi
scene Simone Mannino e Simona D’Amico
costumi Fabio Sonnino
luci Simone De Angelis
musiche Franco Visioli
assistenti alla regia Brunella Giolivo, Irene Di Lelio
assistente alla regia nella prima edizione Michele Mele
produzione Teatro di Roma