Il mercato del sesso e della follia

All’interno della Notte della Follia di Catania, Vuccirìa Teatro presenta Nel nome di questo nostro sacro corpo, un’opera teatrale di denuncia ispirata a Preciado.

Chissà se la bolgia all’ingresso del Castello Ursino di Catania immaginava di dover assistere a una denuncia sessuale conturbante. Lo spettacolo ha registrato il sold-out ed è iniziato con un corpo a corpo dei prenotati in trepidante attesa di attraversare le porte e finalmente raggiungere la corte del castello. Tanta gente e poca organizzazione sul varco degli spettatori.
Il tutto è poi continuato con i corpi degli attori che hanno portato in scena la follia del dover essere maschio e del dover essere femmina.
Tra le righe proiettate sui muri della fortezza si legge quanto pericolosa sia stata l’ossessione etero come unica via per la salvezza, di un modello che ha seminato stereotipi – ancora resistenti – e pratiche, abusi e universi semiotici di controllo sociale.
In definitiva, ieri come oggi, i mondi possibili sono due.
Quello dell’eleganza, della seta, del saper aspettare, del sapersi contenere, dell’amore prima del sesso, della necessità del tanga, della depilazione perfetta, del tampax, del make-up, del sorriso, della danza, dell’igiene per la casa, dei sacchetti di lavanda che sanno di buono, dell’essere una mantenuta, della certezza della maternità.
E quello della pistola giocattolo, dell’attaccare e del sapersi difendere, della cravatta, del calcio, della forza, degli orologi grandi, della barba di tre giorni, dell’alcol, della spalle larghe, del sesso per il sesso, delle risate fragorose, del potere, della formula uno, della misoginia, del non avere i figli accanto a sé dopo il divorzio.
Ecco gli stereotipi semiotici di genere. Vuccirìa ha enunciato questi paletti senza fare sconti agli spettatori, le sfumature non sono ammesse, niente mezzi termini, o di qua o di là. Altrimenti sei deviato/a.

I dettagli scendono in profondità, sfociano nei ricorrenti pensieri sessuali, i più occultati, quelli mai detti e bramati, quelli praticati dal quel corpo che in teoria dovrebbe essere sacro. Quante voglie urlate dagli attori ad alta voce a quel pubblico di maschi e femmine presenti, le stesse voglie che in molti avranno silenziosamente concesso e fortemente anelato, pur di sentirsi più maschio o più femmina.
Secondo la filosofia portata in scena il sesso viene socialmente imposto come un dettato e le tendenze omosessuali degli individui vengono corrette sulla base delle forme del corpo in cui abitano. Se le loro forme non sono quelle più appropriate possono essere modellate, purché si definiscano una volta per tutte.
Il corpo dovrebbe essere per tutti una dimora sicura. Eppure gli attori ne fanno uno racconto storico e fisico di violazione. Gli individui diversi dalla regola, i cosiddetti deviati sessuali, nei contesti coloniali sono diventati oggetti usati e detenuti nelle istituzioni penitenziarie, correttive, psichiatriche. Sono serviti alle persone cosiddette normali per risolvere i loro problemi ormonali. Venivano definiti «pazzi» ed erano soggetti a esperimenti clinici. Non hanno sempre avuto possesso esclusivo dei loro corpi. E le parole a quanto pare non potevano bastare al regista di Vuccirìa per spiegarlo.
Per denunciare la verità di questa follia niente veli sugli organi sessuali degli attori, i seni erano nudi e i peni erano imbrattati di nero, gambe e braccia tremavano e sudavano freddo, colava sofferenza, angoscia e paura.
Quella del nudo è stata una lunga scena provocatoria, schiaffeggiava la morale con la carne dei «deboli di mente», dei «subordinati», degli individui «incapaci di gestire la loro possibilità riproduttiva». Sono stati abusati, mai creduti, inascoltati, intimiditi, sfruttati, sterilizzati, rinchiusi, corpi senza pace.
Questo è accaduto nelle ore della più tarda Notte della Follia all’interno della Corte del Castello Ursino di Catania durante la performance della compagnia siciliana Vuccirìa Teatro che ha messo in relazione le pagine di Testo Tossico del filosofo transgender Paul B. Preciado con alcune opere presenti all’interno del Museo.
Lo spettacolo ha denunciato anche l’attuale imposizione dei canoni biopolitici maschio e femmina che oggi si avvale di sistemi più evoluti. Le parole ispirate a Preciado spiegano che la definizione sessuale moderna sia diventata digitale e farmacodipendente. All’alba di questa nuova era appartengono l’uso diffuso delle pillole anticoncezionali e del viagra utili a regolare e migliorare la vita sessuale. Sulla scia della farmacopornografica proliferano le dipendenze da droghe sessuali e si sviluppano nuove agevolazioni progettate dallo stato, dalla scienza e dalla tecnologia per costruire e definire, una volta per tutte, il corpo femminile e maschile.
Svariate sostanze chimiche e operazioni chirurgiche vengono già prescritte per uniformare tutti i corpi alla regola, sono metodi sintetici e all’avanguardia, ma percorrono la tradizionale strada maestra, danno una precisa direzione.
Il tentativo di Vuccirìa Teatro è quello di dare giustizia a tutti quei corpi che hanno subito e subiscono soprusi e che si auto-infliggono punizioni per il semplice fatto di non trovare posto dentro una eterogenea collettività.

Ai posteri l’ardua sentenza.

Lo spettacolo è andato in scena
Corte del Castello Ursino

Via Castello Ursino, Catania
domenica 9 ottobre alle 00.30

Nel nome di questo nostro sacro corpo
di Vuccirìa Teatro
regia di Joele Anastasi
con Renato Vinciguerra, Enrico Sortino, Francesco Bernava, Alice Ferlito, Elisa Gallucci, Nicolò Giacalone, Martina Giuliani, Rossella Guarneri, Victoria Mariani, Lelio Naccari, Federico Raffaelli, Mirko Russo, Sebastiano Sicurezza, Azzurra Sottosanti
musiche di Cavalli, Giacomelli, Hendel, Ezio Bosso
costumi di Giulio Villaggio, Joele Anastasi
video di Francesco Di Mauro
light designer Segolene Le Contellec
aiuto-regia Enrico Sortino