David Lynch e Gershom Scholem? Tutti insieme nella pineta

La performance Nella casa c’è un pino che brucia brucia, effettivamente, le sue potenzialità. Alla Tenuta dello Scompiglio di Vorno, in provincia di Lucca, il simbolo della foresta diventa, tuttavia, realtà.

La performance fa fede al nome dell’Associazione Culturale che ha prodotto lo spettacolo: la Tenuta Dello Scompiglio. Scompiglio è la sensazione evocata da questo tentativo artistico dal sapore ribelle e adolescenziale, che smells like a teen spirit – anche se porta con sé un’idea matura.
Veniamo ai lati positivi di quanto visto lunedì 1° giugno a Vorno. Lo spettacolo Nella casa c’è un pino che brucia si è svolto in un posto incantato e sospeso, immacolato, dotato di due anime. Se da un lato è facilmente raggiungibile a piedi, dall’altro esso appare come un luogo lontano, selvaggio, una selva oscura semi-illuminata dagli ultimi raggi del sole. Si tratta della pineta della Tenuta. In silenzio, o poco più, gli spettatori sono giunti alla meta guidati da quelli che poi si sono rivelati essere gli stessi attori/performer: Hélène Gautier, Simone Evangelisti, Sara Leghissa, Elena Cleonice Fecit, Daria Menichetti, Francesco Michele Laterza, Leonardo Delogu – quest’ultimo ideatore e regista dell’opera. Gli alberi mossi dal vento, poche farfalle arrampicatesi fin là, animali che non si vedono ma la cui presenza è percepibile, costituiscono di per sé lo spettacolo, a cui si è aggiunta l’apparizione di un personaggio con occhiali da sole che avanza verso il pubblico, fissandolo con un sorriso enigmatico, per poi scomparire. Una voce registrata ha avvolto l’aria, spargendo le parole tratte da un racconto di Gershom Scholem: “…Non sappiamo più accendere il fuoco, non siamo capaci di recitare le preghiere e non conosciamo il posto nel bosco, ma di tutto questo possiamo ancora raccontare la storia, e ancora una volta questo bastò”.

La tensione e l’incanto provocati dal bosco reale, le frasi amplificate e il misterioso personaggio fra gli alberi, sono spazzati via con l’arrivo del resto della Compagnia, i cui membri sono palesemente abbigliati come un gruppo di studenti universitari in gita di piacere nella foresta. L’effetto subito evocato è quello del film The Blair Witch Project e lo svolgersi degli eventi, da lì in poi, appare pilotato e scontato. Quasi si intuisce cosa succederà in seguito, come si trattasse di una pellicola già vista. La prevedibilità è uno dei punti deboli della performance, prevedibilità che si incatena di momento in momento, da quando a una delle ragazze sanguina il naso; i due fidanzati litigano; tutti iniziano a fissare un punto nel vuoto; poi si addormentano, scappano, si rincorrono, si trasformano in uomini e donne posseduti da pulsioni ancestrali. L’intento dell’opera appare fin troppo didascalico. La voce suadente e ipnotica del personaggio comparso all’inizio (uomo dai capelli lunghi e dalle forme femminili), torna di volta in volta a parlare – con un microfono – del contatto profondo con il nostro io e con il tempo, della violenza e del furore di essere noi stessi. Gli atti performativi equivalenti sono invece talmente esasperati da rasentare il fastidio, o da suscitare ilarità (sentimento opposto a quello che sembrano voler trasmettere). L’intento appare quasi quello di indottrinare lo spettatore su un tema importante, certo, ma anche abusato, quello della perdita del contatto con la natura, con la terra, con lo spazio. Ma alla domanda: può una donna nuda che finge di essere morta, e un’altra semi-vestita che mima un attacco epilettico, riportare sulla strada che conduce al proprio bosco interiore, la risposta, probabilmente, è no.

Il richiamo cinematografico continua nel corso dell’opera, quando, a un tratto, in un momento in cui i performer non sono in scena, il pubblico ode la voce registrata di David Lynch, che narra di Laura Palmer e di una foresta misteriosa, sulle note della famosa colonna sonora di Twin Peaks. Non solo: la scena più delirante dello spettacolo sembra citare Altman e il film America oggi, o comunque un videoclip Made in Us. La musica che esplode è bella, stride con lo scenario, colpisce i nostri sensi. Ogni movenza incarna l’aggressività occidentale, la volgarità dei nostri tempi. Dalla spogliarellista, al fanatico giocatore di football, al giovane scapestrato, ciascun attore afferra un pezzo contorto della società e lo impersona fino in fondo, fino a nauseare la vista. Mentre si dispiega questo marasma di suoni e gesti, due personaggi sullo sfondo costruiscono a ritmo sostenuto una casa di legno, dalla quale, nel finale, uscirà il fumo del pino che brucia.

Si avverte un dispendio di energia, che poteva essere meglio dosata, ed è sfociata in un atto creativo che vuole a tutti i costi scioccare, perdendo in questo modo la sua semplice e ricca essenza. La ricerca che si cela dietro questo spettacolo è stata infatti lunga, pensata, vissuta da Leonardo Delogu e dal cast, ma è risultata sfocata, dalla forma confusa. Si intravedono tuttavia l’osso, la mineralità, l’intento profondo della performance – annebbiati da troppo fumo.

foto di Fabio Artese

Lo spettacolo è andato in scena:
Tenuta Dello Scompiglio
via di Vorno, 67 – Vorno (Lucca)
da sabato 30 maggio a martedì 2 giugno, ore 18.15

Una produzione Associazione Culturale Dello Scompiglio:
Nella casa c’è un pino che brucia
ideazione e regia di Leonardo Delogu
con Hélène Gautier, Simone Evangelisti, Sara Leghissa, Elena Cleonice Fecit, Daria Menichetti, Francesco Michele Laterza e Leonardo Delogu
luci e oggetti di scena Giovanni Marocco
costruzione architettonica Mael Veisse
suono Michele Bertoni