Miseria urbana e ingiustizia sociale senza Marx

Al Teatro Sala Uno di Roma è in scena un’opera poco conosciuta di Bertolt Brecht, scritta negli anni giovanili e prima della folgorante scoperta del socialismo.

Nel 1921 la Germania weimeriana si nutriva di quell’insofferenza e di quell’inquietudine che avrebbero posto le basi della catastrofe europea nel giro di una decina di anni; negli anni fra le due guerre, infatti, gli ambienti delle moderne metropoli assumevano l’aspetto infernale della miseria sociale, luoghi claustrofobici spesso sottratti alla legiferazione civile, dove dominavano le regole ancestrali dell’homo homini lupus e l’avidità e l’ipocrisia si proponevano essere i soli mezzi di sopravvivenza. Nel mondo della modernità industriale, basato all’epoca come non mai sullo sfruttamento del prossimo e sull’asservimento delle classi lavoratrici e subalterne, la filosofia economica di Marx e i principi del comunismo andavano diffondendosi in Europa e proprio negli anni ’20, all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, i partiti socialisti accoglievano la lezione russa per promuovere un’inedita interpretazione delle leggi della produzione e dei rapporti sociali secondo criteri scientifici e teorici solidi ed efficaci. Gli intellettuali più brillanti di quella generazione colsero nella diffusione del marxismo lo strumento privilegiato per comprendere e per promuovere il mutamento del mondo e in Germania tra questi intellettuali spicca il nome di Bertolt Brecht. Sempre nel 1921, Brecht aveva appena 23 anni e aveva avviato la propria carriera di scrittore, ma ancora non era venuto a contatto con la teoria del plusvalore e con gli altri principi della filosofia marxista; d’altro canto, il connubio con Kurt Weill, decisivo per la teorizzazione e l’applicazione della tecnica dello straniamento, sarebbe stato avviato solo qualche anno dopo. Il Brecht giovanile perciò non aveva ancora maturato il suo stile tipico, la sua epica didattica e metatestuale e affrontare un’opera del 1921 come Nella giungla delle città risulta illuminante proprio per mettere in luce il salto qualitativo, estetico e concettuale che il suo teatro avrebbe avuto all’indomani della folgorazione comunista.

Lo spazio affascinante del Teatro Sala Uno sembra quanto mai adeguato a portare in scena il dramma brechtiano; la regia di Alessandro De Feo sfrutta lo spazio e i pochi elementi scenografici rinnovando di volta in volta la scena grazie a pochi e accorti spostamenti; l’accompagnamento della tastiera rende l’ambientazione fumosa della Chicago anni ’20 ancora più tagliente e la dinamicità delle luci contribuisce a scandire gli spazi dello sviluppo narrativo.
La recitazione appare spesso troppo sopra le righe: le urla e le “false” parole in cinese urlate dai protagonisti tentano di proporre al pubblico uno straniamento ante litteram, nel senso che – come detto – nel 1921 Brecht era ben ancorato al realismo di inizio secolo e i tentativi di far sorridere il pubblico attraverso la macchietta della mafia cinese fanno parte dello stesso quid pro quo, oltre a esprimere la fastidiosa pratica diffusa in molti spettacoli di stabilire un rapporto accondiscendente col pubblico (farlo ridere per fargli piacere lo spettacolo).

In fondo e in realtà da ridere c’è ben poco: come diventerà ben più chiaro e potente nell’Opera da tre soldi, Brecht ci mostra l’infamia della vita suburbana della metropoli degli anni ’20, tra sfruttamento e ricatti, povertà e anime perdute. Tuttavia, rispetto alle opere successive, Brecht senza Marx si dimostra ancora impreparato, trascinato da un pensiero confuso, che in questo testo pretende di essere metafisico e che invece resta irrisolto e sospeso. Chiaro è lo schema metafisico della contrapposizione dialettica tra primitivismo della foresta e modernità cittadina, spontaneità delle emozioni e ricerca spasmodica per il guadagno, fino all’ossimoro della coincidenza di giungla e città, come il titolo attesta. I limiti dello spettacolo, però, coincidono con le pecche di un testo fin troppo acerbo, non a caso quasi dimenticato e poco rappresentato. Lodevole la decisione di affrontarlo, contravvenendo al canone brechtiano tradizionale, ma al di là di un buon spettacolo, qualora l’intenzione fosse stata (come sembra) quella di scuotere la coscienza del pubblico, di prendere posizione sulla realtà, di criticare il presente, allora la messa in scena sarebbe dovuta essere in grado di adempiere all’impresa titanica di compensare le mancanze di un testo che da solo (a differenza dei capolavori brechtiani) non riesce a risultare graffiante.

Lo spettacolo continua:
Teatro Sala Uno
Piazza di Porta S. Giovanni, 10 – 00185 Roma
dal 25 al 30 aprile

Nella giungla delle città
di Bertolt Brecht
regia Alessandro De Feo
musiche eseguite dal vivo Valerio Mele
con Caterina Casini, Chiara Condrò, Eugenio Banella, Guido Goitre, Irene Vannelli, Lorenzo Garufo, Luisa Belviso, Marco Usai, Maurizio Greco, Stefano Flamia