Waiting for the revolution

Il Gruppo Teatrale nontantoprecisi ha presentato al Nuovo Cinema Palazzo Nonsense. Stati rivoluzionari transitori, uno spettacolo che paga una seconda parte piegata alla volontà di apparire rassicurante, ma che, nel suo complesso, riesce a offrirsi autentico «a tutti coloro che vogliano vedere, spogliarsi, vedersi e vestire il proprio abito».

Nel corso del Novecento, la questione del senso ha assunto una rilevanza epocale e, su di essa, a interrogarsi è stata certamente l’intelligenza, non solo in termini di riflessione filosofica.

Infatti, è stata la ricerca scientifica contemporanea, prendendo a colpi di martello l’idea stessa che esso esista con la maiuscola, dunque definito e definitivo, perché inscritto nella natura stessa della realtà, a testimoniare come la questione del senso sia radicale e di capitale importanza. Fu il più grande scienziato del secolo scorso e forse di tutti i tempi, Albert Einstein, a spiegare l’Universo nei termini di spaziotempo e relatività e, così, a demolire il common sense per eccellenza, quello relativo all’esistenza di un tempo cronologico omogeneo e universale sganciato da un osservatore di riferimento.

Tuttavia, il senso è un qualcosa che – se considerato assoluto e indipendente da uno specifico sistema di valori, ossia quale norma – si rivela non solo inconsistente, ma addirittura pericoloso per come piega a se ogni divergenza, dilania le attività rizomatiche della coscienza e sterilizza ogni creazione e tendenza al progresso. L’idea di un senso dispotico, che in maniera autoritaria sottomette tutto e tutti alla propria auto-declamata Santa Verità, allontana dalla possibilità di una relazione autentica con la complessità del mondo e con la profondità dell’essere umano. In una prospettiva assolutistica, ogni deviazione alla norma assume connotazioni disciplinari e, in passato, ha spesso condotto nella follia o comunque nella marginalità chi considerato disfunzionale al sistema (di potere culturale, economico e politico) dominante.

Accanto all’intelligenza matematizzante, anche quella artistica ha dato un contributo fondamentale a questa messa in crisi, per esempio, elaborando forme di teatro capaci di inscenare la realtà crudele (Artaud) e assurda (Ionesco), povera (Grotowski) e straniante (Brecht). Mai subalterno nelle proprie orgogliose rivendicazioni, parte di questo teatro rivoluzionario, per restituire la contemporaneità ed evitare accuse di elitarismo e intellettualismo, ha finito per edulcorare il proprio furore avanguardistico, cedendo quote della propria assoluta radicalità per ricercare comunicazione e, allora, una dimensione più popolare del fare e farsi comunità.

Questa evoluzione da un momento di contestazione dell’ordine costituito a uno di maggiore semplicità di fruizione, quindi di adesione a modalità canoniche di messa in scena, è riscontrabile nello spettacolo andato in scena al Nuovo Cinema Palazzo di San Lorenzo, Nonsense. Stati rivoluzionari transitori.

Inscrivendosi all’interno di un orizzonte polemico, il Gruppo Teatrale nontantoprecisi descrive con estrema lucidità la propria intenzione di lanciare una «sfida alla dittatura del senso, che elegge la logica della ragione e trascura le innumerevoli altre ragioni del corpo» e nel suo procedere scenico mostra momenti di inciampo, non riuscendo – ancora – ad assumersi fino in fondo le conseguenza di tale scelta.

Nonsense. Stati rivoluzionari transitori è un lavoro di decostruzione e ricostruzione delle pindariche potenzialità della creatività umana, un percorso dell’essere umano verso la propria autenticità. In tal senso, l’inizio è emblematico ed efficace, con l’intero ensemble di interpreti schierato di fronte al pubblico e un incipit verbale allusivo sull’alienazione dell’artista. La prima parte di Nonsense è un’esplorazione corporea dell’ambiente scenico, la trasfigurazione di un’indagine della natura umana senza l’apparato nobilitante di un ideale maestro (il Senso, la Norma). Il disordine, una ricerca perennemente interrotta e l’incessante ripresa di una forma sempre spezzata, l’impossibile emersione dell’individualità sono elementi che vanno via via costituendosi, disgregandosi e riplasmandosi, procedendo dal buio alla luce, dal continuo relazionarsi di una solitudine al gruppo.

Il tutto, dopo un quarto d’ora di completa assenza di impianto sonoro e fino all’ingresso dell’Intermezzo dal Piano Quintet in G Minor Op. 57 di Shostakovich, coordinato da un ritmo interno perfettamente autogestito in scena. In questa prima metà di allestimento, il protagonismo è diffuso, la responsabilità attorale gaiamente assunta da ogni interprete, la dialettica e i dilemmi della ragione banditi dall’esposizione fisica di un essere umano che, decidendo di resistere all’assurdo e pur riconoscendo l’assenza di ogni conforto metafisico o teologico, interroga la propria intricata e confusa pelle e indaga quella dello spazio che lo circonda, debordando – senza alcun rispetto – la fatidica e illusoria quarta parete. A volte didascalico, il disegno drammaturgico tende allora a interpretare e rivelare i segreti di una fatica di vivere, l’inspiegabilità della sofferenza e del dolore. Questo alfabeto, Nonsense lo depone al di qua di ogni verbo e lo colloca nel cuore stesso delle forme sceniche, che non potranno che essere allusive nel cercare un posizionamento distante dalla semplice e omologante rappresentazione descrittiva della realtà.

Rispetto a questa – a volte imperfetta, ma sempre omogenea – iniziale impalcatura, Nonsense cambia verso a partire dal momento di una ipotetica ripresa introdotta dal Concerto for piano, trumpet and strings in c minor, Op. 35 dello stesso Shostakovich e da un secondo intervento verbale composto di semplici suoni declamati e improvvisati, mentre i corpi dei performer, distesi sul palco, avvinghiati e intorcigliati tra loro, sono alle prese con un estenuante tentativo di liberazione verso la posizione eretta. Lo spettacolo ha, tuttavia, perso consistenza e quella che era una realtà non poetica, non visionaria, ma naturalistica e materialistica in ossequio al tentativo di appartenere  «fisicamente alla natura del tempo, alla materia dello spazio, alla reciprocità dei corpi vivi», diventa la formalizzazione di un Mondo fino ad allora caotico in un ordine drammaturgico più riconoscibile e canonicamente teatrale. Nonsense tralascia la dimensione simbolica di un teatro impastato di umanità, incastonato nella tenue dolcezza di un desidero di riscatto in cui abitava tutta la solitudine di una condizione umana – esposta e disperata – da contrastare, per virare verso una messa in scena stereotipata e citazionista, restando a livello di un tradizionalismo teatrale quasi di maniera, dal gioco di vestizione e svestizione con le sedie all’intonazione alternata di versi dall’opera surrealista I campi magnetici di Breton e Soupault (atto di nascita della cosiddetta scrittura automatica, scrittura capace di abbandonarsi volontariamente all’inconscio e agli automatismi psichici e di comporre versi di inaudita poesia), fino alla declinazione in voci naturali di una ipotetica orchestra umana.

Uno spettacolo che, al netto di queste sfumature di grigio, permette di partecipare, pur in maniera a volte traballante, a questioni spesso messe da parte della società e che, purtroppo, anche la cultura marginalizza e non riesce a porre nei termini cui invece abbiamo assistito al Nuovo Cinema Palazzo. Termini, i cui vizi e le cui virtù, si ritrovano compiutamente bilanciate (a favore delle seconde) in un finale in parte buonista, ma nella sua tenerezza e sincerità assolutamente disarmante, nonché in grado di recuperare lo spirito originario della performance e di ricomporne le sue parti in un discorso quasi del tutto unitario e coerente.

Lo spettacolo è andato in scena
Nuovo Cinema Palazzo

piazza dei Sanniti, Roma
23 novembre 2018, ore 21:00

Nonsense. Stati rivoluzionari transitori
uno spettacolo a cura del Gruppo Teatrale nontantoprecisi
in collaborazione con il Laboratorio CREAZIONI COLLETTIVE
costruzione scenica Nino Pizza
luci e fonica Giacomo Guerrini
una produzione Passepartout
con Alessio Dessy, Angela Prosdogemi, Arosh Roshan, Carmela Lavorato, Caterina Bonelli, Caterina Colaci, Emanuele Bernardo, Emanuele Cau, Euplemio Macrì, Fabio Fusco, Gaia Belardi, Giovanna Fagiani, Giulia La Camiola, Leonardo Viola, Luca Nisii, Marco Di Segni, Mariano Guida, Marta Reggio, Vincenzo Giorgi