L’arte di mettere il naso

Al CAMeC di La Spezia, per la stagione di Fuori Luogo, Andrea Cosentino presenta Not here not Now – ovvero, la schermaglia con la “nonna” della performance art, Marina Abramovic. Eppure qualcosa continua a sfuggire.

Nel 2010 Marina Abramovic presenta, al MoMA di New York, la performance The artist is present: per tre mesi resta seduta otto (talvolta dieci) ore al giorno su una sedia. Davanti a sé ha un tavolo e una sedia vuota, pronta a essere occupata da chiunque abbia voglia di sedersi di fronte a lei, per stare lì a guardarsi, in silenzio. In un video l’artista descrive l’esperienza come una profonda rivelazione, qualcosa che ha cambiato la sua vita al punto da farle decidere di creare dei centri (i MAI – Marina Abramovic Institute) in cui il visitatore possa sperimentare il suo metodo, dando la sua parola d’onore di donare sei ore del proprio tempo per diventare attivo in una serie di esperienze. Lo scopo? Ritrovare la semplicità nella propria vita. Gli esercizi prevedono, dopo aver abbandonato tutti gli apparati elettronici, azioni come bere dell’acqua, guardarsi negli occhi, massaggi, attività di ascolto e di pulizia della percezione – come potremmo definirle (Cosentino racconta di aver partecipato a due ore d’immersione nel metodo Abramovic a Milano).

Not here not Now si apre con un video in cui, citando l’evento del MoMA, l’Abramovic-nasona di Cosentino e Cosentino stesso stanno uno di fronte all’altro per la performance The Artist is serious. Ma che cos’è lo spettacolo/evento presentato da Cosentino? Una serie di personaggi (che parlano dialetti rigorosamente diversi, tanto per chiarirci sul significato dei termini rappresentazione e personaggio); quindi, il “vero” Cosentino in scena; poi, il critico d’arte; per finire l’Abramovic-nasona e, da ultimo, un ritorno a se stesso. Come accennato, per diventare la Abramovic l’attore indossa una parrucca e un naso finto – come un clown. Forse qualcuno è clown? Si sa, non è cosa facile essere pagliacci: è un’arte difficile. Chi è il pagliaccio, lui, Cosentino, o l’Abramovic che sta rappresentando? C’è forse un significato nascosto o è solo una nuova presa in giro, questa volta a livello fisico e personale – insieme alla storpiatura dei nomi? Quale sia la risposta, lo spettacolo procede con oltre un’ora di presa in giro della Abramovic e del suo fare, ma anche di alcuni must dell’arte contemporanea, da Duchamp a Fontana (mancava qualche riferimento alla merda d’autore di Manzoni per completare la triade dei cliché sull’arte). Argomenti degni di una discussione da bar, dal classico “il taglio sulla tela bianca lo posso fare anch’io” a un più commovente – livello terza media: «Io dico cose intelligenti, o più intelligenti della Abramovic. Per sembrare intelligenti basta fare una pausa a fine frase».

Pausa. Ecco, mi fermo anch’io mentre scrivo. È chiaro che mi trovo di fronte a una serie di espedienti per far ridere. E allora, trascorse due ore a ridere e sghignazzare, tutto finisce, in una perfetta esemplificazione di intrattenimento, senza esperienza diretta, e con scambio di denaro. Simpatica presa in giro della performance, delle strane dinamiche dell’arte contemporanea (di certa arte contemporanea, per lo meno). Eppure qualcosa continua a sfuggire. A parte questo, l’operazione solleva per lo meno alcune domande. La prima: Cosentino afferma che gli piace fare spettacoli su cose che non capisce – come è avvenuto il trattato sull’economia. Perché? Lui non capisce ma, sinceramente, neanche noi capiamo. Forse perché più che la capacità di dare risposte, il comprendere riguarda la capacità di fare domande, di scandagliare, di sollevare dubbi. In questo caso, però, i dubbi sollevati sono pochi, e i luoghi comuni un po’ troppi. Eppure basta leggere un buon manuale universitario per scoprire che il mondo dell’arte contemporanea, con le sue assurdità e stranezze (almeno per lo sguardo dell’uomo comune), con l’orinatoio di Duchamp e i tagli di Fontana, riserva sorprese e battaglie dello spirito – da un punto di vista estetico ed etico. Seconda domanda: Cosentino punta il dito, perché c’è sempre meno arte e così tanti sedicenti artisti? Questione innegabilmente interessante, che fa ripensare a un meme uscito ai tempi della performance al MoMA: l’artista è presente, ma l’arte dov’è? È facile pensare e credere di essere intelligenti, difficile e faticoso arrivare a padroneggiare la tecnica necessaria a realizzare qualcosa di materiale, in concreto. Non solo, anche tante altre questioni impellenti e sempre valide sono richiamate, dalla definizione di cosa sia arte alla nostalgia del bello (concetto decisamente smantellato nell’ultimo secolo).

Esilaranti i video presentati. Struggente quello col pesce in boccia sulla riva del mare: immagine parlante, intensa metafora (ma chi è poi questo pesce? E chi è colui che parla?); così come quello con la Abramovic-nasona dentro una nicchia su un muro, sottoposta al tempo che passa, all’edera che abbraccia il suo corpo. Ci parla del legame fra performance, esperienza di vita e ascetismo, un legame che il metodo Abramovic sembra incaricarsi di portare in giro per il mondo.

Bel colpo di teatro, il finale. Percorrendo la linea di confine fra teatro e performance, così come li definisce l’Abramovic e come sono esplorati in scena dall’attore per l’intero spettacolo: la trasformazione di Abramovic-nasona in Cosentino è un gesto che mette in luce quel particolare non essere qui e ora dell’interprete, che rifugge il suo corpo e la sua esperienza per vivere quella di un altro. Fenomeno che, collegandosi al racconto sul comportamento della figlia di Cosentino sullo scivolo, rimanda a un narcisismo che porta a compiere azioni se, e solo se qualcuno guarda – o solo per lo sguardo dell’altro. Dimostrazione non tanto del fatto che un istinto di rappresentazione è insito in ognuno di noi, ma che si fa presto a perdere se stessi, i propri bisogni, la propria verità, cercando di compiacere qualcun altro. Anche sotto questo punto di vista si crea tensione con l’arte della Abramovic, con quel suo sottoporre il proprio corpo ai limiti, quello spingere l’esperienza di sé sempre oltre. Quella presenza in sé nel momento della performance, che negli ultimi anni, come ricorda Cosentino stesso, è diventata consapevolezza e si è trasformata in desiderio di far vivere un’esperienza al pubblico. Fermo restando, ovviamente, il punto nodale della questione, ovvero il credere o meno nella buona fede dell’artista, o nella sua serietà.

Divertente la performance di chiusura, con Bua e Fat Boy Slim: sempre un’ottima scelta.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito della Stagione di Fuori Luogo:
CAMeC
piazza Cesare Battisti, 1 – La Spezia
venerdì 12 gennaio

Not Here Not Now
di e con Andrea Cosentino