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Le Nuvole di Aristofane: una riflessione politica sulle insidie del lógos, messa in scena da Antonio Calenda al Teatro Greco di Siracusa con Nando Paone e Antonello Fassari.

La cinquantaseiesima stagione dell’Inda si chiude con Nuvole di Aristofane diretta da Antonio Calenda, che festeggia così la sua ottava regia al Teatro Greco di Siracusa con uno spettacolo intelligente ed elegante, in cui la sua conoscenza del mondo classico e l’eclettismo stilistico hanno modo di esprimersi.

Certo, non è facile mettere in scena questa commedia perché la creatività fantastica di Aristofane si muove con invenzioni poetiche irresistibili tra sogni utopici e rimpianti del tempo passato (con un fondo di conservatorismo), operando un ribaltamento carnevalesco (dionisiaco?) dei valori culturali e sociali: il cielo al posto della terra, il corpo e la sua fisiologia al centro del mondo. Tutto questo è poi realizzato proprio grazie a una lingua polimorfica, ricca di riferimenti alla realtà quotidiana, che non esita a passare dal livello più volgare e scatologico al sublime poetico. Tradurlo significa sempre tradirlo e Nicola Cadoni lo fa proprio bene: godibile musicalità, giochi di parole efficaci, ritmi teatrali e doverosi richiami all’”innominabile attuale”: “reddito di contadinanza” è ineguagliabile, ma anche le citazioni di Leopardi, Manzoni funzionano bene.

Antonio Calenda sceglie di leggere l’inafferrabile testo di Aristofane con lo sguardo rivolto al teatro che sarebbe venuto. Non cerca di ricostruirne filologicamente la natura, non insegue i significati antropologici, ma ritrova nel grande ateniese l’origine di molti generi teatrali che conosciamo e pratichiamo usualmente anche oggi: l’opera buffa rossiniana e donizettiana, l’avanspettacolo, la commedia brillante, la drammaturgia brechtiana.
Sente inoltre il bisogno di storicizzare e per questo fa precedere il testo da una presentazione (non proprio necessaria) dello stesso Aristofane, interpretato da Stefano Santospago, ripresa dalla parabasi: conscio di essere “poeta di rango superiore” il drammaturgo si rivolge direttamente al pubblico, rammaricandosi di essere stato bocciato nelle Dionisie del 423. E così resta presente ai margini dell’orchestra, sorvegliando l’azione, ma i suoi interventi sono radi: magari solo per mettere in capo al protagonista una paglietta da avanspettacolo.

Al centro della storia abbiamo un contadino di nome Strepsiade, che negli anni della guerra del Peloponneso si trova in ristrettezze economiche e non sa come pagare i debiti che ha contratto a causa delle spese pazze del figlio bamboccione Fidippide, appassionato di cavalli. Ha saputo che al pensatoio del filosofo Socrate s’insegna a stravolgere il lógos per piegarlo al proprio tornaconto e vuole apprendere proprio quel Discorso peggiore che potrebbe aiutarlo a liberarsi dai suoi creditori. Aristofane stravolge il personaggio storico del filosofo, grossolanamente confuso con un sofista di bassa lega: lo rappresenta sospeso in una cesta, irrispettoso degli dei, con la testa fra le nuvole. E nuvole sono le coriste della commedia a cui sono affidati i versi più belli: «Andiamo, eterne nuvole,/ e splendide libriamoci/ dal cupo risonante padre Oceano/ alle alte vette chiomeggianti d’alberi».

Elementi della natura, divinità, segni dell’inafferrabilità del lógos, inizialmente strumento di una ragione capziosa e utilitaristica, e – alla fine del testo – la restaurazione della tradizione e del culto degli dei, Calenda le fa apparire dall’alto con un ampio cappello azzurrino “nuvoloso”, un po’ Belle Époque, un po’ varietà televisivo, ma poi essenzializza il costume in tunica e copricapo a caschetto, tutto rigorosamente candido.

Il piano di Strepsiade però fallisce perché il vecchio è troppo scervellato e non resta che mandare a scuola di Socrate proprio Fidippide, che impara presto e anche troppo bene: non solo licenzia i creditori in quattro e quattr’otto, ma bastona anche il vecchio genitore dimostrandogli con un ragionamento impeccabile che le bastonate sono una manifestazione d’affetto. Nel finale la commedia improvvisamente vira nel tragico: Strepsiade dà fuoco al pensatoio di Socrate e con questo gesto disperato e terribile contraddice e nega quella fiducia nella parola che, nonostante tutto, ha animato ogni singolo verso.

Bruno Buonincontro, autore anche dei raffinati costumi, allestisce una candida scena funzionale: due bianchi propilei ai lati, un gran fondale cinematografico sullo sfondo e poi un cavalluccio su ruote, letti, globi terrestri: tutto molto tradizionale, ma giusto. Confrontando questa scenografia con quella delle Baccanti o delle Coefore/Eumenidi non si può non notare come qui i rapporti siano proporzionati: l’attore è davvero misura di tutte le cose, un cittadino che si rivolge agli spettatori della polis che lo circondano. La dimensione politica dello spettacolo diventa così esplicita: le Nuvole parlano del nostro tempo sofferente, della malattia del linguaggio, della corruzione del potere e si interrogano sugli inganni della parola pubblica. Con la lingua demistificano gli inganni insidiosi della lingua: una vera e propria “cura parlante” (come talvolta viene definita la psicanalisi) efficace sia se applicata alla società ateniese straziata dalla guerra contro Sparta sia alla nostra società stremata da due anni di pandemia.

La forza dello spettacolo è nei ritmi incalzanti, sostenuti dalle musiche di Germano Mazzocchetti, che passano dall’opera buffa al varietà, dalla marcetta al valzer e si rarefanno nel canto delle Nuvole. E naturalmente negli attori: Nando Paone è un perfetto Strepsiade: fisico allampanato, pantaloni alle caviglie, scarponi da bifolco. Mette insieme la tradizione napoletana e quella brechtiana con particolare naturalezza e nella caratterizzazione fa capolino perfino Beckett. Gli fa ottimamente da spalla il burbero e asciutto Socrate di Antonello Fassari, ispirato a Petrolini, mentre Massimo Nicolini è un po’ meccanico nel ruolo di Fidippide, il figlio di papà dall’erre moscia. Galatea Ranzi e Daniela Giovanetti sono due corifee di lusso, bravo Stefano Galante (il Discorso Migliore), come Jacopo Cinque (Discorso Peggiore), Alessio Esposito e Matteo Baronchelli (rispettivamente il primo e secondo creditore). Jacqueline Bulnés firma gli eleganti movimenti del coro, Luigi Biondi le efficacissime luci. Pubblico entusiasta.

Lo spettacolo continua
Teatro Greco
Via Paradiso, 14 Siracusa
fino al 21 agosto

Nuvole
di Aristofane
regia Antonio Calenda
traduzione Nicola Cadoni
scene e costumi Bruno Buonincontri
musiche Germano Mazzocchetti
coreografia Jacqueline Bulnés
light designer Luigi Biondi

interpreti
Aristofane Stefano Santospago
Strepsiade Nando Paone
Fidippide Massimo Nicolini
Socrate Antonello Fassari
Corifee Galatea Ranzi, Daniela Giovanetti
Discorso Migliore Stefano Galante
Discorso Peggiore Jacopo Cinque
Primo creditore di Strepsiade Alessio Esposito
Secondo creditore di Strepsiade Matteo Baronchelli
Discepoli di Socrate Antonio Bandiera, Matteo Baronchelli, Alessio Esposito, Giancarlo Latina, Jacopo Cinque, Stefano Galante, Alessandro Mannini, Damiano Venuto
Xantia Rosario D’Aniello
Coro di Nuvole Noemi Apuzzo, Rosy Bonfiglio, Luisa Borini, Verdiana Costanzo, Laura Pannia
Coro Giulia Acquasana, Valentina Brancale, Victoria Blondeau, Virginia Bianco, Irasema Carpinteri, Federica Cinque, Valentina Corrao, Carolina Eusebietti, Caterina Fontana, Giorgia Greco, Rosaria Salvatico, Francesca Trianni, Gaia Viscuso