Quando il risultato è una sottrazione

Non sempre il multidisciplinare moltiplica le possibilità espressive. Un esempio, il concerto di Africa Unite, Offline, in scena al Teatro Verdi di Pisa.

Spazziamo subito il campo da ogni fraintendimento. Nonostante questo fosse il secondo appuntamento della Stagione Danza del Teatro Verdi (ideata dal direttore artistico Silvano Patacca, con Fondazione Toscana Spettacolo onlus), di danza se n’è vista decisamente poca. Più simili agli stacchetti televisivi che ad autentiche coreografie espressive del mood del brano, la serie di passi standard – con diverse inesattezze nella coordinazione – è stata resa, oltretutto, poco visibile a causa del telo per le videoproiezioni, che è rimasto calato per l’intera rappresentazione.
Un concerto degli Africa Unite, quindi (e non una performance di danza su musiche dal vivo della band), questo il format – come dimostra anche la scelta, a fine spettacolo, di un doppio bis della stessa band con Architorti.
Chiarito l’equivoco, spostiamoci sulle altre discipline che si sarebbero fuse nello spettacolo. Innanzi tutto, si notano le videoproiezioni (autentiche protagoniste a livello iconografico). Purtroppo va detto che le stesse alla lunga tendono ad annoiare, rendendo la visione complessiva del palco difficile e sovrapponendosi ai messaggi delle canzoni in maniera non sempre comprensibile. Sebbene sul comunicato stampa si legga che le stesse permettano ai “diversi linguaggi artistici [di misurarsi] con i loro cloni virtuali proiettati su schermi”, in realtà le gigantografie di Bunna, Madaski o degli Architorti finiscono solo per rendere ridondante la presenza scenica, mentre le distorsioni anamorfiche iniziali e gli arabeschi astratti sul finale restano le immagini più pregnanti dell’intero percorso metaforico – da un’umanità sempre più disumanizzata all’agognato stato offline, ossia alla disconnessione dal virtuale che permetterebbe una riconquista della creatività più immaginifica e propriamente umana.
Il concerto in sé, con arrangiamento per archi, non convince del tutto. I ritmi reggae non riescono a mantenere la propria specificità, dovuta all’uso del basso, e tendono a trasformarsi in composizioni melodiche più vicine al minimalismo musicale di Wim Mertens o Michael Nyman. Senza quella ritmica anche ipnotica che ha reso famoso Bob Marley (non a caso, l’autore del rastafariano Africa Unite), persino Il partigiano John risulta depotenziato.
Ora, sempre di più sembra che il teatro per continuare a giustificare la propria esistenza debba rivolgersi a mezzi altri (e, soprattutto, al piccolo schermo). In questo caso va in scena, al Verdi di Pisa, un concerto che potrebbe essere trasmesso in prima serata dalle reti Mediaset o Rai. Ma se è vero che il teatro deve aprirsi alla contemporaneità, dovrebbe farlo con i propri mezzi: testi che parlino del qui e ora, e il linguaggio originalissimo del teatro. La multidisciplinarietà spesso è una somma di specificità che non si fondono ma risultano posticce sovrapplicazioni a un contenuto povero.
In Offline si avverte questa sovrabbondanza di tentativi di “mascherare” un concerto che, con il teatro, ha poco a che fare. Ovviamente, anche altri musicisti in passato si sono presentati su un palco all’italiana. Ma si trattava di unplugged o di concept album (per fare un esempio, pensiamo al Lou Reed che recitava/cantava Magic and Loss, nel lontano 1992).
Il reggae è un genere musicale che va suonato in uno stadio, un campo, una piazza, con un pubblico che si lascia ipnotizzare dai suoi ritmi, bevendo una birra, fumando e danzando quella libertà che Marley rivendicava, chiedendo al suo stesso pubblico: “Won’t you help to sing / These songs of freedom? / ‘Cause all I ever have / Redemption songs” (Non mi aiuterai a cantare / Queste canzoni di libertà? / Perché tutto quello che ho avuto / Sono i Canti di redenzione, n.d.g.).

 Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Verdi

via Palestro, 40 – Pisa
sabato 6 gennaio, ore 21.00

Africa Unite / Architorti / MM Contemporary Dance Company presentano:
Offline
in tempo reale
concerto-spettacolo multidisciplinare
Africa Unite
Bunna, Madaski
Architorti Marco Robino, Marco Gentile, Paolo Grappeggia, Efix Puleo ed Elena Saccomandi
MM Contemporary Dance Company Paolo Lauri, Fabiana Lonardo, Enrico Morelli, Giovanni Napoli, Nicola Stasi, Gloria Tombini e Lorenza Vicidomini
musiche e testi Africa Unite
rielaborazione per quintetto d’archi Marco Robino
produzione artistica Architorti Marco “Benz” Gentile
elettronica Madaski
coreografie Michele Merola
coordinamento progetto Anna Abbate, Madaski, Marco Gentile e Marco Robino
light designing Giorgio “Josh” Geromin
sound engineering Simone Squillario
video making Alex Caroppi
produzione Unione Musicale, Africa Unite, Architorti e MM Contemporary Dance Company
coproduzione Fondazione I Teatri, Reggio Emilia
in collaborazione con TorinoDanza Festival

Foto: Alfredo Anceschi