Giunta alla tredicesima edizione, Teatri di Vetro si conferma una rassegna di indubbio interesse per coloro che desiderano assistere al processo creativo degli artisti e alla genesi di formati scenici diversi (spettacoli, performance, dispositivi poetici). Sotto la sagace direzione artistica di Roberta Nicolai, la sezione Oscillazioni – ospitata al Teatro India – offre un quadro avvincente delle tendenze teatrali in atto nel nostro presente, dove il «fare scena» si dice in molti modi, colto in statu nascenti.

Teatri di Vetro è un laboratorio in cui il gesto inventivo dei performer e lo sguardo del pubblico si incrociano, dando vita a scambi di idee e di emozioni. L’atmosfera è amichevole e frizzante, informale; gli spettatori incontrano gli attori e i registi degli spettacoli, prima e dopo che si frapponga tra loro la barriera della rappresentazione. Gli uni e gli altri si rispecchiano, in una sorta di «infinito intrattenimento», con il vantaggio di maneggiare prodotti scenici ancora in fieri: unico caso in cui l’incompiutezza non viene percepita come un difetto, ma come fonte di un inedito senso di comunità.

Il teatro torna a essere un’impresa collettiva: cornice che contiene e rilancia il chiasma tra chi vede e chi è visto, regalando feedback sulla fisionomia che la propria opera o il gusto di osservatori ed esperti stanno assumendo. Lo spettatore continua l’opera dell’autore che – trasformandosi in spettatore degli spettatori – mette alla prova se stesso e il proprio lavoro: si produce così una feconda oscillazione tra ruoli diversi, una generosa contaminazione di pensieri, strutture e tessuti sociali.

In questo quadro in movimento, si distingue Oscillazioni, una delle quattro sezioni in cui si articola l’architettura progettuale di Teatri di Vetro, ospitata negli spazi del Teatro India. Un tempo sede della fabbrica Mira Lanza, sulle rive del Tevere, questo teatro della capitale è un fortunato esempio di patrimonio archeologico industriale, ristrutturato in modo da rispondere alle moderne esigenze artistiche e teatrali.

Muovendoci liberamente tra gli spiazzi esterni, i luoghi di ritrovo e gli edifici adibiti agli spettacoli, ci imbattiamo nel suo genius loci: accogliente e formativo, sembra indicarci il futuro. Formare «significa “fare”, ma un tal fare che, mentre fa, inventa il modo di fare. Si tratta di fare, senza che il modo di fare sia predeterminato e imposto, sì che basti applicarlo per far bene: lo si deve trovare facendo, e solo facendo si può giungere a scoprirlo, sì che si tratta, propriamente, di inventarlo» (L. Pareyson, Estetica. Teoria della formatività).

Portare in scena un’opera, dunque, è scoprire il modo in cui va rappresentata, e ciò è possibile solo a condizione di inventarlo: ogni esecuzione è – al tempo stesso e indivisibilmente – invenzione. Il genius loci della formatività si è appalesato come lo spirito protettore di questo festival.

Carlo Massari e C&C Company hanno dato corpo e voce a Les Miserables, performance drammatica sugli stereotipi, i già visti e i già detti della nostra contemporaneità: dall’immigrazione alle intolleranze religiose e razziali, dallo sfruttamento del lavoro all’evasione fiscale, dalla crisi economica a quella ambientale. Il lavoro debutterà nella sua forma compiuta nella stagione corrente, ma si preannuncia come un’indagine ironica, a tratti disperata, sull’attualità, in cui la carellata di miserie umane non suscita scalpore o rivolta, ma impotenza e rassegnazione.

I cori e le coreografie si alternano, sfiorando il nonsense, di fronte allo sguardo assonnato di un re in carrozzina, fatto entrare all’inizio dello spettacolo e accompagnato fuori al suo termine. «Il re è nudo» (o quasi), come nella fiaba di Andersen: tutti lo vedono, ma nessuno lo dice, ad eccezione di un bambino che – con la sua innocenza – spezza così l’incantesimo dell’omertà. Si tratta, forse, di un modo per ricordarci che – pur conoscendo la verità – preferiamo tacerla, per compiacere il potere? La forclusione della realtà appare come la via più facile: ne consegue una bouffée delirante, com’è quella portata in scena da Carlo Massari, fatta di improvvisi scollamenti allucinatori e di brusche alterazioni della personalità. L’esigenza illuministica di trasformare il mondo attraverso la diffusione della Cultura e dell’Arte è stata abolita dal frastuono postmoderno, in cui «i fatti non sono altro che interpretazioni»: ecco allora che la solidarietà diventa buonismo, l’amor di patria sovranismo, la libertà una questione di sicurezza.

In I broke the Ice and saw the Eclipse, Giovanna Velardi – che ne è l’ideatrice – esegue insieme a Federico Brugnone una performance originale e coinvolgente, in cui i codici della danza contemporanea si mescolano a quelli della parola d’amore. I loro corpi si cercano o si respingono? Le loro anime si toccano o si ignorano? È amore o crisi? È un lavoro decisamente convincente sui significanti, sui gesti e sui fonemi di diverse lingue, quello che Giovanna e Federico propongono al pubblico, avvalendosi anche della consulenza drammaturgica di Matteo Finamore e di Andrea Milano, selezionati per il presente progetto nell’ambito del concorso Esercizi di Regia 2019.

Per conoscersi, occorre dapprima “rompere il ghiaccio”: i passaggi di stato di questo materiale solido, ma solubile, capace di farsi acqua e vapore o di tornare ghiaccio, e quindi mai uguale a se stesso, costituiscono il frame metaforico di fondo attorno a cui ruota l’esibizione. Quello che viene narrato in una sequenza di immagini e suoni è il gioco, a un tempo eccitante e tormentoso, dell’assenza amorosa, dove è sempre l’altro che parte, mentre sono io che resto: «all’assente, io faccio continuamente il discorso della sua assenza; situazione tutto sommato strana; l’altro è assente come referente e presente come allocutore» (R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso). Il mio cuore si scioglie, esponendosi al rischio di essere amato di meno di quanto io ami: in fondo, che cos’è il mio amore, se non rivolgermi a te, che sei sempre sul punto di metterti in viaggio, di eclissarmi?

Teatro Rebis di Macerata ha presentato al pubblico Chant d’amour, l’allestimento più promettente della serata. Sullo sfondo i terribili fatti accaduti nella città marchigiana tra gennaio e febbraio 2018, ovvero l’omicidio e il dissezionamento del corpo della giovane romana Pamela Mastropietro a opera del nigeriano Innocent Oshegale e il successivo attentato di matrice razzista del maceratese Luca Traini. Una produzione trascinante e ambiziosa che, nelle intenzioni del regista Andrea Fazzini, assumerà la forma compiuta con l’innesto di un teatro di burattini, in cui ogni attore incarnerà icasticamente una delle varie figure coinvolte nelle vicende di cronaca appena ricordate (Pamela, Innocent, il Disoccupato, il Politico anti-immigrazione, il Criminologo e opinionista televisivo, ecc.).

Chant d’amour si avvale di una scrittura scenica complessa e sinuosa, sebbene non ancora definitiva, che lascia presagire un ordito raffinato dove le visioni tratte da I negri di Jean Genet (1958) si amalgamano con reperti audiovisivi e testimonianze dal vivo, i documenti d’epoca con i commenti sulla pagina fb Sei di Macerata se…. Un’atmosfera ipnotica e poetica pervade la rappresentazione, in sintonia con la tenera composizione di Genet, intitolata appunto Un chant d’amour (1946) e con l’aura voyeuristica dell’unica omonima opera cinematografica dello scrittore francese (1950).

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro India

Lungotevere Gassman, 1 – Roma
sabato 21 dicembre, ore 20.00
Les miserables #1
creazione originale di Carlo Massari/C&C Company
con Carlo Massari, Alice Monti, Stefano Roveda, Nicola Stasi
coaching vocale Chiara Osella
coproduzione Triangolo Scaleno Teatro/Teatri di Vetro, TCVI/Danza in Rete
Produzione 2019/2020 (attualmente in fase di ricerca e creazione)

sabato 21 dicembre, ore 21.00
I broke the Ice and saw the Eclipse
concept Giovanna Velardi
coreografia Giovanna Velardi
interpreti Giovanna Velardi Federico Brugnone
costumi Dora Argento
coordinamento progetto drammaturgia Roberta Nicolai
consulenza registica Luciano Colavero
consulenza drammaturgica Andrea Milano Matteo Finamore
organizzazione Danila Blasi
comunicazione Benedetta Boggio
produzione PINDOC con il sostegno di MIBAC e REGIONE SICILIANA con la collaborazione di Triangolo Scaleno/Festival Teatri di Vetro, Rosa Shocking/Festival Tendance, Armunia/Festiva Inequilibrio, Spazio Franco

sabato 21 dicembre, ore 22.00
Un chant d’amour
regia Andrea Fazzini
con Meri Brancalente, Massimiliano Ferrari, Fernando Micucci, Francesca Zenobi
prototipo di scena Frediano Brandetti
produzione di Teatro Rebis in collaborazione con Marche Teatro, Festival Inteatro, Kilowatt Festival, Festival Teatri di Vetro, Festival Nottenera, L’Appartamento, La Corte Ospitale