Le Operette Morali “alla lettera” di Martone

In scena, a Teatri di Vita, il capolavoro leopardiano sulla morale: un classico della letteratura che inciampa sulle travi del palcoscenico.

Quasi a termine della stagione 2011/2012, in attesa della chiusura con le repliche di Biglietti da camere separate del regista Andrea Adriatico, riproposte nell’ambito delle manifestazioni di Bologna Pride, Teatri di Vita ospita il Premio Ubu 2011 per la regia, le Operette Morali di Mario Martone.
Scritte a cavallo tra gli anni 20 e 30 del 1800 da Giacomo Leopardi, dei ventiquattro componimenti iniziali il regista napoletano ne scarta ben pochi e, con l’aiuto della dramaturg Ippolita di Majo, ne fa una messa in scena “letterale” e statica, la cui sequenzialità dei racconti è legata dalla stessa catena di materia e fili ossessivi che ricorrono morbosamente nelle novelle e nei dialoghi del giovane recanatese.
Prodotto dal Teatro Stabile di Torino e successivamente presentato al Teatro Argentina di Roma, ha subíto, per questioni logistiche, un ridimensionamento della struttura drammaturgica e scenica che ne ha diminuito – non bruscamente – la durata e la potenza scenografica impressa allo spettacolo dalla mano di Mimmo Palladino: un allestimento scarno e per nulla d’impatto, con pochi oggetti in scena e qualche trovata costumistica – affidata a Ursula Patzak – che concorrono a definire i contorni e i contenuti dei quadretti narrativi delle operette.
Il pubblico, disposto ai tre lati della scena, accerchiato dalle improvvise entrate e inavvertite uscite dei personaggi, si ritrova immerso in quella che appare essere una pedissequa trasposizione scenica della lettura dell’opera leopardiana: una fedeltà piatta di immagini che, a tratti, sembra violentare l’anima morale e filosofica racchiusa nell’opera, resa innocua dall’eccessiva superficialità dell’azione e da una recitazione corale tradizionale, spesso fuori fase da parte di alcuni attori. Talvolta, la tendenza all’ironia o al grottesco cade nel ridicolo: come l’ingresso, nel secondo Dialogo d’Ercole e di Atlante, di un Ercole caricaturale e poco convincente o, nel Dialogo della Natura e di un Islandese, di un viaggiatore scout, munito di cartina e zaino da viaggio d’avventura, che incontra e dibatte con una Natura passiva e apatica, adagiata dentro un’enorme statua africana.
Indiscutibile la bravura dei maestri Renato Carpentieri e Paolo Graziosi, pilastri attorici dello spettacolo e veri dicitori della parola leopardiana. Quest’ultima però non arriva, o per lo meno fa molta fatica a colpire lo spettatore: sembra diluirsi nello spazio al di sopra della platea, senza che si percepisca neppure lo sforzo di voler prendere qualche direzione. Fluendo come inutile abbondanza d’acqua, non fa annegare lo spettatore – che rimane a galla sull’oceano della noia.
Lo spettacolo sembra non possedere impronte inconfondibili – e questo delude un po’, tanto che, all’inizio del secondo tempo, molte sedie si liberano. Nonostante ciò, il pubblico che rimane è molto generoso e dona un lungo applauso a chi ha portato fino in fondo una scelta, cosciente di tutte le crepe che quest’opera, forse, si è portata dietro nella sua vita sul palcoscenico.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatri di vita
via Emilia Ponente, 485 – Bologna
martedì 15 e mercoledì 16 maggio, ore 21.00

Operette morali
di Giacomo Leopardi
adattamento e regia Mario Martone
con (in ordine alfabetico): Renato Carpentieri, Marco Cavicchioli, Roberto De Francesco, Paolo Graziosi, Giovanni Ludeno, Paolo Musio, Totò Onnis, Franca Penone, Barbara Valmorin
dramaturg Ippolita di Majo
scene Mimmo Paladino
costumi Ursula Patzak
luci Pasquale Mari
suoni Hubert Westkemper
la musica per il Coro di morti nello studio di Federico Ruysch è di Giorgio Battistelli (Casa Ricordi – Milano), eseguita dal Coro del Teatro di San Carlo, diretto da Salvatore Caputo
aiuto regia Paola Rota
scenografo collaboratore Nicolas Bovey
foto di scena Siomona Cagnasso
produzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino