“Piaga che l’uom sì crudelmente opprime, che la ragion gli offusca e l’intelletto, e lo tra’ fuori delle sembianze prime”

Al Tieffe Teatro va in scena l’adattamento tanguero di Otello a cura di Massimo Navone: la gelosia del “Moro” viene amplificata e contestualizzata nello spazio di una milonga degli anni 20.

Il titolo è una citazione da un canto dell’Orlando furioso, quel capolavoro al quale Ludovico Ariosto dedicò tutta la vita; non stupisce quindi che ogni canto sia perfetto nel concedere ogni volta uno sguardo avvincente sull’umanità, osservata dall’autore col sorriso bonario di chi sa che chiunque sia degno di essere chiamato uomo, non può sfuggire ai limiti, ai vizi, alle debolezze che sono innate nella nostra condizione.
E questo canto (il XXXIesimo per l’esattezza), dal quale è tratta la citazione, è una lunga digressione sulla gelosia che Shakespeare sembra aver letto: ci sono espressioni di Ariosto che si fanno carne nella figura di Otello. Non sappiamo se Shakespeare potesse conoscere Ariosto ma, al di là di questa analogia, c’è una differenza importante: lo sguardo dello scrittore inglese, che in molte opere è indulgente verso le debolezze umane quanto quello dell’emiliano, qui invece vira irrimediabilmente verso la tragedia: Otello è scritto tra il 1602 e il 1611, un decennio nel quale vedono la luce alcune tra le tragedie più nere della sua produzione (Re Lear, Machbeth, Antonio e Cleopatra, per citarne solo alcune).

La trama è nota a tutti e, quanto meno nei passaggi fondamentali, è lineare come pochissimi altri testi shakespeariani: Iago, adirato col Moro per non essere stato nominato suo luogotenente e geloso del suo matrimonio con la deliziosa Desdemona, ordisce un piano per rovinare il rivale Cassio (eletto luogotenente al suo posto) e per distruggere l’amore dei neo sposi, innestando nella mente di Otello sospetti lancinanti circa l’infedeltà della bellissima e giovane donna. Non esiste modo migliore per descrivere la gelosia di quello usato da Ariosto: una piaga che ci trascina fuori dalle “sembianze prime”, che ci offusca completamente la ragione e si innesta, il più delle volte, sul nulla, su indizi arbitrari, su sospetti minimi che trovano conferma in storie create dalla nostra stessa mente: Otello cambia radicalmente nel momento in cui Iago inizia a insinuargli dubbi che, fino a poco prima, non avrebbe mai avuto riguardo a Desdemona, e da quel momento il morbo è senza possibilità di guarigione.
E in quale realtà, se non in quella del tango, si possono iper-intensificare queste percezioni distorte; in quale contesto se non in questo, giocato su uno stringente contatto fisico, su sguardi d’intesa, su passi che nascono dall’ascolto del corpo dell’altro? In questo senso è geniale l’adattamento di Massimo Navone che sfrutta il contesto della milonga (così designato il luogo in cui si balla il tango) per ambientare il crescendo di sospetti e gelosie del Moro: cercare di attualizzare un classico è sempre un’impresa delicata ma avvincente quando riesce, e quanto meno nella scenografia e nei costumi – curati da Elisabetta Gabbioneta – si raggiunge la perfezione nel ricreare quell’atmosfera da Buenos Aires degli anni 20, contesto nel quale il tango visse i suoi anni d’oro.

Anche la fedeltà al testo shakespeariano è stringente, peccato che ci siano delle notevoli cadute di stile in alcuni passaggi del secondo atto che, addirittura, rendono ridicolo il personaggio di Otello, suscitando ilarità in momenti drammatici: l’eccessivo uso di epiteti ed espressioni che forse hanno senso nel contesto moderno della milonga, stonano parecchio con il resto del testo; inoltre, i due personaggi principali (Desdemona interpretata da Sara Bellodi, e Otello di Giovanni Rossi) non hanno abbastanza energia e presenza scenica per reggere le passioni di due protagonisti tanto forti – né se li si pensa nella versione originale shakespeariana, né se li si immagina come due porteñi sanguigni e passionali. Ottime invece le interpretazioni dei coniugi, Iago (Marco Maccieri) ed Emilia (Cecilia di Donato), che non solo reggono la giusta tensione per l’intero spettacolo, ma sono bravissimi a rappresentare tutte le sfumature ed evoluzioni dei loro personaggi: già nel testo originale si evince una netta preferenza dell’autore per questi due soggetti che – come in altre opere del Bardo – essendo ricchi di sfumature chiaroscurali, sono poi i veri cardini dello sviluppo della storia, superando in importanza quelli che, sulla carta, sarebbero i protagonisti.
Ogni tanto l’impressione è che il contesto tanguero sia più che altro un contenitore per concedersi divagazioni (che allungano la trama già di per sé estesa: lo spettacolo dura infatti quasi tre ore). Belle le scelte musicali e, comunque, interessante il mix di teatro e danza. La novità del tango affascina fino alla fine del primo atto, ma la trovata, purtroppo, non regala niente di nuovo proprio nel momento in cui si dipanano gli snodi più passionali del testo.

Lo spettacolo continua:
Tieffe Teatro Milano
via Ciro Menotti, 11 – Milano
fino a domenica 29 gennaio
Otello
testo William Shakespeare
adattamento e regia Massimo Navone
con Giovanni Rossi (Otello), Marco Maccieri (Iago), Sara Bellodi (Desdemona), Giusto Cucchiarini (Cassio), Luca Mammoli (Roderigo), Cecilia di Donato (Emilia), Caterina Luciani/Giulia Angeloni (Bianca), I tangueros di Otello
scene e costumi Elisabetta Gabbioneta
luci Mario Loprevite
movimenti coreografici e selezione musicale Marcella Formenti
produzione Tieffe Teatro e Centro Teatrale MaMiMò