Appunti per gli spettacoli in streaming

Anche se non abbiamo ancora parole per raccontare queste esperienze in modo adeguato, vogliamo provare a tuffarci in questa avventura, iniziando da tre spettacoli: Ozz, Dialoghi degli dei in DAD e Ma io non sono a Casa.

Non abbiamo ancora le parole per poter parlare e descrivere le esperienze di qualcosa che non sappiamo ancora come chiamare. Teatro online? A distanza? Visto che non è teatro senza presenza e corpo (questione su cui praticamente tutti concordano) non sarebbe utile, trovare un nome che non utilizzi la suo interno la parola teatro? Trovare un nome comune di cosa per indicare quelle esperienze che vengono fruite sullo schermo e che nascono con un’intenzione espressiva, artistica, di ricerca?

Dunque, si può comunque provare a fare alcuni commenti e annotazioni, narrare, da novelli spettatori online, questa nuova avventura con piccole note di cosa funziona e cosa no. Perché di fatto questa avventura è nuova, e chi ha deciso di mettersi in moto, lo fa in un campo sconosciuto e in esplorazione.

Una prima cosa che bisogna tenere presente è che, almeno qui in Italia, questa esperienza è stata più un rimedio e un adattamento che una vera e propria scelta estetica. E forse questo è uno dei motivi che ha messo così in crisi il settore, vale a dire l’utilizzare, in uno stato di emergenza. l’online come sostituto del dal vivo e vedere la trasmissione in streaming come minaccia al teatro “vero”, in una specie di concorrenza del tutto impari. Il teatro è condivisione di spazio e tempo, si fa in presenza e fine della questione, almeno a parere di chi scrive. Una volta stabilito e ribadito ciò si può ad esplorare le potenzialità dell’online.

Un esempio emblematico del dibattito in corso può essere offerto dalla quattro giorni di riflessioni sul teatro in streaming organizzato a inizio dicembre da Chille de la Balanza, Teatro in streaming no, si, forse, ma.., in cui critici, studiosi, teatranti, organizzatori, spettatori hanno espresso le loro idee, mostrando in modo esemplare la situazione. Una pluralità di posizioni che che si muovono fra i due estremi di “esploriamo e vediamo cosa si riesce a fare” e il risoluto giammai; fra il desiderio di ricerca espresso dalle Residenze Digitali e il pamphlet dell’attore Francesco Chiantese; fra le aperture verso l’esplorazione dell’online di Oliviero Ponte di Pino e l’attrice Ilaria Marcuccilli e l’opposizione di Spettatore Professionista e il forte scetticismo di Massimo Marino.

Eppure questa contrapposizione appare sterile se si parte dal presupposto che il teatro è in presenza e che una trasmissione online non può pensare di sostituirlo. E se nessuno sta creando o mostrando teatro in streaming con tale intento, molti si oppongono al teatro online senza se e senza ma.

Che non sia teatro e che non possa in alcun modo valere da surrogato è la posizione di chi scrive. Perché allora non passare oltre e guardare a questo fenomeno come fatto a sé, distinto dal teatro? Perché, superato lo shock iniziale e la reazione di emergenza, non sganciarsi definitivamente dall’idea di trasporre in qualche modo l’evento teatrale e cercare invece di creare qualcosa di peculiare e autonomo? Non tanto “rimediando” un precedente spettacolo teatrale, ma creando qualcosa di sostanzialmente diverso?

Concepire la trasmissione in streaming come semplice trasposizione di un fatto teatrale comporta un uso limitato e limitante del mezzo. Nell’online si è di fronte a una forma nuova, una forma che, anzi, è ancora tutt’altro che definita. Tutto ciò che si può dire è che il contenuto viene trasmesso in streaming e viene visualizzato dallo spettatore su uno schermo, senza dimenticare che l’universo online, fra YouTube, Social, Zoom, è complesso (basti pensare alla questione delle piattaforme, dei formati e del problema degli algoritmi) e con regole autonome peculiari (per ogni suo aspetto).

Personalmente ritengo che la creazione di contenuti da trasmettere online potrebbe diventare una pratica usuale, non solo (e non tanto) come tale eco, ma come opera autonoma e come parte di una strategia comunicativa più ampia con forme e modalità tutte da esplorare e che utilizzi in modo studiato i social.

Le righe che seguono non vogliono quindi essere una critica, ma un’annotazione di problemi, molti dei quali tecnici o legati al dispositivo e alla fruizione particolare, e delle cose belle, efficaci che abbiamo visto.

Fra primo e secondo lockdown si sono sviluppate diverse proposte di opere online differenti dal semplice riproporre una ripresa di spettacolo. Si tratta di esperimenti che in sé meritano un applauso per il coraggio di tuffarsi in questo mare sconosciuto e praticamente senza salvagente.

Ci occuperemo per iniziare di tre spettacoli, due appartenenti alla stagione online organizzata da Fondazione Toscana Spettacolo per il Teatro dei Servi di Massa: OZz di Kanterstrasse (15 novembre) e I dialoghi degli Dei in DAD di Sacchi di Sabbia/Civica (21 novembre). Il terzo appuntamento, che in realtà era stato il primo, veniva invece da un invito privato di una compagnia indipendente che presentava al pubblico per la prima volta l’esisto della ricerca di alcuni mesi, Ma io non sono a casa – 16 minuti e 26 secondi di intime distanze per la regia di Natalia Antonioli.

Iniziamo però da OZz. Misto di ripresa in teatro e registrazione in spazi aperti, è il racconto della storia del viaggi di Doroty da casa a Oz e ritorno, rivolto a un pubblico dai 7 ai 99 anni.

In teatro è girato l’inizio del viaggio, con la morte accidentale della strega dell’Est, e a teatro si torna alla fine per incontrare il mago e uccidere la strega dell’Ovest. Il teatro è anche il luogo del finale dello spettacolo, un finale che simboleggia dunque anche un auspicio, una speranza rispetto alla situazione attuale. Il resto delle scene è invece stato girato in esterna, in spazi aperti, con belle vedute di campi e boschi.

Molto frequentemente, in prossimità di uno snodo narrativo, la storia si blocca per lasciare al pubblico la possibilità di decidere in che modo far proseguire lo spettacolo, scegliendo/cliccando fra tre opzioni diverse (quella ovvia, che segue il plot tradizionale, e due originali – nel senso di inedite e curiose). Il tempo in queste fasi rimane sospeso, mentre i personaggi restano in attesa dell’elaborazione della risposta.

Questa idea presenta due problemi, il primo è che sembra del tutto fittizia; il secondo, che genera dei tempi morti difficilmente sostenibili per il pubblico a casa e che, in uno spettacolo streaming, diventano falle enormi per la concentrazione e l’attenzione dello spettatore.
Inoltre fa sorgere il dubbio che si intenda l’interazione con il pubblico come una caratteristica peculiare (la principale, forse l’unica?) del mezzo digitale. Questione discutibile. Se è sicuramente una via esplorata in produzioni di teatro multimediale e digitale, produzioni che possono permettersi i mezzi necessari per essere efficaci, in un teatro online più “povero” sarebbe meglio provare a battere una strada diversa, che non necessiti di collaborazioni esterne e tecnologie troppo avanzate e costose.

Si riscontra anche una certa debolezza nella narrazione, con buchi drammaturgici che vengono salvati con la semplice decisione dall’alto, con un narratore/deus ex machina che mette una pezza ai salti narrativi, puntando sul fatto che tanto la storia è nota. Convincono invece le parti coi disegni e la parte con lo scimmione volante. Un lato interessate di OZz è però proprio la preponderanza delle trovate libere e fantasiose, il gioco libero e fantastico delle soluzioni.

Dedicarsi all’online significa avere a che fare con una forma diversa. Nello sperimentare, quale bagaglio, quale eredità un teatrante può portare portare con sé? Per esempio, proprio l’abitudine a fare con poco, a non aver bisogno della verosimiglianza, a lasciare spazio alla fantasia e al gusto di giocare supplendo con l’immaginazione ai limiti tecnici, come insegnava Shakespeare nel Sogno di una notte di mezza estate.

Con I dialoghi degli dei in DAD ci troviamo di fronte alla riproposta in versione Zoom dello spettacolo omonimo in presenza (quindi senza DAD nel titolo) che abbiamo visto qualche anno fa al festival Inequilibrio.
L’ipotesi di partenza è che essendo costruito intorno a una lezione scolastica, lo spettacolo si presti perfettamente a una trasposizione in DAD, ma la supposizione si dimostra fallace e si scontra con i limiti del medium. Zoom non permette infatti la sovrapposizione e un fluido alternarsi delle voci ed è così che i ritmi, così essenziali in questo lavoro, vanno persi.

L’inizio infatti, privo di tensione, langue un po’, finché non iniziano a partecipare attivamente anche gli dei: compresenti nella stessa finestra in quanto congiunti, le due divinità mettono finalmente un po’ di pepe e movimento nella diretta. Interessanti anche gli avvicinamenti alla webcam che danno un senso di incombenza e di incalzare.

Dal momento dell’uscita di scena dei due, la tensione si smorza e lo spettacolo finisce sottotono, in modo brusco e senza la percezione di un percorso e di una chiusura, con la decisione dei due alunni di mettersi insieme, accompagnati dalla canzone in ottava rima della Dea.

Da qui sorgono allora alcune questioni: come pensare a un ritmo verbale e visivo, considerando che l’aspetto visivo è fondamentale su questo mezzo, almeno per fare scelte consapevoli? Come indicare la fine dello spettacolo?

Di sicuro in questa serata insieme si respira il senso del donarsi e del condividere il tempo, c’è un’offerta di sé ancora più ammirevole rispetto alla scena tradizionale: gli attori sembrano pesci fuor d’acqua in questa situazione, chiusi ognuno in una stanza diversa e lontana, senza la possibilità di sentirsi e sentire il pubblico. Essendo maggiore la fatica e la difficoltà, si apprezza ancora di più il tentativo e la ricerca di una soluzione per restare in contatto con il pubblico, anche in simili difficili condizioni.

Interessante e bello è stato l’ingresso degli “spettatori in scena” su Zoom, come se davvero non ci fosse distanza, come se tutti, attori e pubblico, fossero mescolati.

“Assurdo” il momento degli applausi, silenzioso e immaginario: ognuno probabilmente applaudiva, nella sua casa, senza possibilità di comunicarlo alla scena. Benché si trattasse di una diretta Zoom, infatti, era trasmessa su un canale YouTube.

Come curare, dunque, gli applausi? Il disorientamento che si prova a fine di un online ci fa riflettere su quanto sia fondamentale questo momento di ringraziamento e commiato teatrale paragonabile all’abbraccio e alla stretta di mano alla fine di un viaggio insieme.

Arriviamo a Ma io non sono a casa, lavoro andato in scena il 28 ottobre su Zoom e che ha posto uno standard piuttosto elevato riguardo alla possibilità di realizzare un evento in diretta online dove fosse viva l’emozione della condivisione del tempo e del rito collettivo.

Prima di proseguire, una precisazione, per onestà intellettuale: conosco la compagnia da molti anni. Antonioli (con cui abbiamo approfondito la natura del suo spettacolo in questa intervista) è stata mia insegnante, la regista a cui ho fatto da assistente per anni, mentore ed esempio su cosa sia il Teatro. Dopo anni di ricerca teatrale e di collaborazione, fra gli altri, con Riccardo Caporossi, si è allontanata dalle scene per dedicarsi all’insegnamento di Regia nelle Accademie di Belle Arti di varie città italiane.

Dunque, con emozione e stupore ho accolto la notizia del suo ritorno alla regia e il fatto che tale ritorno sia avvenuto attraverso uno spettacolo via Zoom.

Ma io non sono a casa, per 16 minuti, lascia incollati allo schermo e con il fiato sospeso, immersi in una profonda angoscia e in un enorme stupore. Ecco, allora, che sembra materializzarsi la forma online di un evento dal vivo sui generis, una forma che non solo non fa rimpiangere il teatro ma lo trascende.

Gli spettatori sono tutti collegati su Zoom, ma sono invisibili. Restano visibili solo tre finestre, tre spaccati di mondo, tre universi poetici molto diversi, a volte allucinati, dolorosi. La musica contribuisce a creare un magma sonoro in cui si immerge l’immagine, dando unità e un tono generale, un’atmosfera al video.

La cura dell’aspetto visivo è notevole: ogni quadro è un’opera a sé. Colpisce in particolare la finestra dell’attrice Alessandra Roselli, opera grafica fra suggestioni d’oriente, di pittura giapponese e anime, mentre nell’insieme ci si trova di fronte a una sorta di videoarte (termine rifiutato però dalla compagnia).

A fine spettacolo, in una chiacchierata col pubblico, i vari feedback registrano la forza di questo evento, in cui il senso di essere parte di un forte momento condiviso è sentito da tutti i partecipanti: creare un rito, peculiare a questo mezzo, in cui condividere un flusso sospeso di energia è possibile.

OZz
di KanterStrasse
Regia Lorenzo Donnini, Simone Martini
Drammaturgia Simone Martini con la collaborazione di Alessio Martinoli
Attori Elisa Vitiello, Simone Martini e Alessio Martinoli

Dialoghi degli Dei in DAD
A cura de I Sacchi di Sabbia
con Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Illiano,
Serena Guardone

Ma io non sono a casa – 16 minuti e 32 secondi di intime distanze
Regia Natalia Antonioli
Con Alessandro Conti, Riccardo Pardini, Alessandra Roselli
Musiche Alessandro Pizzin, Pierluigi Puglisi