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In occasione di Presunta morte naturale_un dramma pubblico, andato in scena al Centrale Preneste all’interno di Attraversamenti Multipli, storico festival multidipliscinare organizzato da Margine Operativo nelle periferie urbane della Capitale, intervistiamo i deus ex machina dello spettacolo, Pako Graziani e Alessandra Ferraro, e il suo protagonista, Tiziano Panici.

Come nasce il progetto di Presunta morte naturale?
Pako Graziani e Alessandra Ferraro: «Presunta morte naturale è spettacolo nato da una necessità: che non si ripeta più quello che è successo già troppe volte. Molte sono le storie “simili” a quella di Stefano, la storia di Federico Aldrovandi, quella di Davide Bifolco solo per ricordarne alcune. Presunta morte naturale nasce sia dalla consapevolezza che quello che è successo a Stefano potrebbe succedere a ciascuno di noi, a un nostro fratello o a un nostro amico, se non a noi stessi, sia come contributo al coraggio incredibile non solo della famiglia di Stefano, ma anche di tutte quelle famiglie e di quei cittadini che non hanno accettato le versioni ufficiali e hanno intrapreso lunghe battaglie per chiedere verità e giustizia.
La storia di Stefano ci ha colpito anche perché viviamo a Torpignattara il quartiere di Roma dove Stefano Cucchi abitava e dove tuttora vive la sua famiglia. I muri del quartiere dove viviamo, le strade che attraversiamo quotidianamente sono piene di scritte per Stefano, è una memoria pubblica che ci interroga. Il nostro spettacolo è il nostro “piccolo” contributo perché nessuno più muoia come Stefano per presunta morte naturale».

Com’è ricaduta la scelta del protagonista su Tiziano Panici?
PG/AF: «Conosciamo da molti anni Tiziano, Margine Operativo è in network con alcuni progetti del Teatro Argot (che Tiziano dirige) e abbiamo condiviso molte battaglie sui diritti dei lavoratori dello spettacolo, ma è la prima volta che condividiamo così profondamente un progetto artistico. Come abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto abbiamo subito pensato di proporlo a Tiziano. I motivi di questa scelta sono molteplici: in primis perchè stimiamo le sue capacita attoriali e, soprattutto, perché è un artista e una persona sensibile a queste tematiche, con una grande predisposizione a mettersi in gioco. La sua età biografica, quasi coetaneo di Stefano, è stato un altro elemento di questa scelta come anche la sua capacità di assumersi questa responsabilità».

Era la sua prima volta con Alessandra Ferraro e Pako Graziani, che hanno firmato regia e drammaturgia dell’opera, cosa si prova a portare in scena una storia così recente, così fresca e soprattutto irrisolta, davanti alle stesse persone che l’hanno vissuta direttamente sulla propria pelle?
Tiziano Panici: «Con Pako e Alessandra di Margine Operativo ci conosciamo ormai da diversi anni. Come operatore culturale e responsabile dello spazio Argot Studio, ho condiviso con loro molte battaglie sulle politiche culturali in questa città e nella regione Lazio. Siamo stati insieme fondatori di quel lungo e complesso percorso che è C.Re.S.Co. – coordinamento delle realtà della scena contemporanea.
È la prima volta che mi propongono di affrontare insieme un percorso artistico e allo stesso tempo politico. Ero molto insicuro all’inizio: la tematica era davvero forte e attuale ed è molto difficile riportare su un palcoscenico una vicenda così complessa e ancora irrisolta. Mi sono subito convinto quando Pako mi ha esposto la sua idea drammaturgica, ovvero che non dovevo interpretare un personaggio, non dovevo essere Stefano Cucchi. Dovevo, invece, diventare un testimone, prestare voce alle molte vittime di ingiustizia sociale e a diversi testimoni che negli anni hanno cercato di contribuire per far emergere verità spesso taciute o stravolte dai media.
La sera di domenica è stata la prova del nove: per quanto a oggi possa contare su dieci anni di esperienza in palcoscenico, quella sera l’emozione è stata fortissima.
Sapere che i familiari avrebbero assistito allo spettacolo ha caricato tutti noi di una responsabilità che sicuramente non era facile da gestire, ma ha anche nutrito quella serata di una grande emozione, che sono sicuro ha coinvolto tutto il pubblico presente. L’intervento di Ilaria Cucchi, alla fine dello spettacolo, era la risposta più bella che si poteva avere».

Parafrasando in senso lato la prospettiva pirandelliana: si può dire che il personaggio in scena fosse uno, nessuno e centomila, ovvero che chiunque potrebbe essere la vittima di un tentativo di oblio fisico e “istituzionale” come sono stati Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e tanti altri (alcuni citati in scena)?

PG/AF: «È profondamente esatta questa prospettiva pirandelliano che intravedete: Tiziano non interpreta Stefano, è semplicemente un “portatore” della storia di Stefano, un testimone. Questa è stata una scelta molto precisa che ha accompagnato tutta la creazione dello spettacolo e il lavoro drammaturgico e di regia: l’attore in scena è uno, nessuno, centomila. Il corpo e la voce del performer in scena è un ponte, un punto di raccordo tra tante storie, testimonianze… È anche il nostro stile, ci muoviamo in un territorio ibrido e meticcio tra teatro e teatro fisico in cui facciamo convergere e mescoliamo azione fisica e drammaturgia, temi ed emozioni».

Da ognuna delle vostre diverse prospettive, ci raccontate un aneddoto di questo lavoro estremamente fisico e, allo stesso tempo, di complesso incastro testuale?
TP: «Sono rimasto molto colpito dalla volontà di Pako e Alessandra di far passare alcuni messaggi non soltanto attraverso la parola, ma anche grazie al corpo dell’attore e a un grande sforzo fisico.
Ha reso il lavoro molto performativo, ma soprattutto ha reso giustizia al corpo: vero oggetto conteso nel caso Cucchi e grande vittima della violenza e delle disattenzioni giudiziarie o mediche.
Trovo inoltre che la violenza non sia mai stata rappresentata nel lavoro, piuttosto suggerita dalle azioni che Pako mi ha chiesto di provare.
I ricordi più belli sono che al termine di ogni giro di prova dovevo inseguire i raggi del sole nel cortile del Kollatino per cercare di far asciugare la camicia nel più breve tempo possibile e cominciarne un altro».

PG/AF: «Eduardo De Filippo diceva che l’attore deve essere stanco. Per noi è lì nel punto di rottura: quando il sudore diventa vero si crea un punto di contatto potentissimo tra realtà e finzione, uno squarcio che permette di raccontare una storia drammatica, ancora tutta aperta come quella di Stefano. Il sudore, la fatica vera di Tiziano in scena, quella di Pako di confrontarsi drammaturgicamente con gli atti processuali, la nostra difficoltà di confrontarci con una storia così atroce e drammatica, le testimonianze per arrivare ad asciugare tutta questa mole in un testo breve, sono stati questi gli elementi che hanno accompagnato tutto il lavoro, ma è questa fatica, che secondo noi rende forte questo spettacolo. È la fatica che, tutti i giorni, le famiglie di queste persone uccise in questo modo devono affrontare per cercare di veder affermare i proprio diritti. È la fatica che chiunque affronta nel nostro tempo se si assume la responsabilità di cercare di trasformare l’esistente. Ma la storia nella storia più importante di questo percorso per noi è stata l’assoluta fiducia della famiglia Cucchi. Quando abbiamo comunicato loro che stavamo lavorando a questo spettacolo, ci hanno subito detto che sarebbero stati presenti alla prima, mostrando un rispetto e una fiducia incredibile nel nostro lavoro, non ci hanno mai chiesto cosa stessimo facendo. Troviamo stupendo questo atteggiamento di rispetto sull’ autonomia dell’arte».

Ovviamente, vale per qualsiasi evento artistico, tuttavia quando la componente sociale e politica è così fondamentale, l’esigenza di interrogarsi sul riscontro diventa urgente: cosa pensate della ricezione che Presunta morte naturale ha avuto presso il numeroso pubblico presente al Centrale Preneste Teatro? Sono già previste repliche?
PG/AF: «A Centrale Preneste Teatro, all’interno del festival Attraversamenti Multipli, il 4 ottobre, lo spettacolo è stato presentato per la prima volta. Noi eravamo molto emozionati. Non era la solita prima, era qualcosa di più. C’era una grande emozione che ha attraversato tutto il pubblico e ci ha coinvolto tutti. E questa emozione comune ci ha colpiti profondamente. Per noi è stato molto importante il fatto che in sala ci fossero la sorella e i genitori di Stefano. La loro presenza, il loro sguardo, i loro feedback positivi, le parole di Ilaria alla fine dello spettacolo, la risposta e la reazione estremamente positiva del pubblico ci hanno confermato che lo spettacolo sta riuscendo a muoversi in bilico ma agilmente tra la comunicazione, il racconto e le emozioni. Dopo questo primo step, stiamo incominciando a costruire un percorso di date per lo spettacolo. Potete seguire i nostri progetti dal sito Margine Operativo.