I Proci del Caucaso

Groznyj, nuova Itaca. Un paese in cui il totalitarismo russo cerca di umiliare e distruggere un popolo e una cultura.

Fantasmi vestiti di stracci si aggirano sul palco, mentre qualcuno si arrangia come può a raccattare scarpe, oggetti, a mendicare sigarette: scenario devastante in cui si può riconoscere qualsiasi popolo dilaniato da una guerra. E poi, in mezzo allo sconforto, in mezzo ai giovani “già vecchi dentro”, emerge la figura di un ragazzo ancora propositivo e speranzoso, che decide di lottare insieme ai ribelli, di raggiungerli sulle montagne del Caucaso per conquistare la libertà, salvare il proprio Paese dal genocidio promosso dai russi: è Telemaco, il figlio del ministro Ulisse, ormai da tempo in esilio.

Questo lo scenario di una Itaca che viene presa dal giovane Mario Calvani come modello per raccontare la drammatica realtà della Cecenia, per anni straziata dal totalitarismo russo: come suo figlio, anche Penelope – sola – si comporta da scaltra contro il nemico, decidendo di assecondare i Proci/russi senza mai piegarsi, prostituirsi, senza mai soccombere alle violenze e alle torture ma, al contrario, costantemente forte nell’infondere al suo popolo la speranza e la voglia di resistenza. Come nel mito classico, Penelope attende di rivedere il figlio e il marito, ma al loro ritorno si renderà conto di quanto la guerra possa cambiare anche l’animo più giusto.

Momenti di violenza, soprusi, angherie, sottomissioni aberranti, sono la norma in una città ormai abitata da corpi senz’anima, senza dignità; sono momenti molto forti ma fortunatamente l’autore ha la decenza di non sconfinare mai nell’eccessivo e, anzi, di raggiungere un maggior pathos lasciando le scene più forti fuori dal palco, facendole intuire allo spettatore “solo” attraverso le urla strazianti delle vittime dietro le quinte; in questi momenti tante sono le citazioni interessanti che sovvengono allo spettatore: il piacere della violenza dei drughi di Kubrick in Arancia meccanica; le logiche crudeli del nazismo ne La caduta degli dei di Visconti; il gusto dell’umiliazione, figlio della perversione sadomasochistica tipica di Sodoma e Gomorra o le 120 giornate di Salò di Pasolini.

In tutto questo, si fa giustamente anche riferimento a una questione scottante: le false aspettative dei migranti nei confronti del nostro “Bel Paese”. Non a caso, Elena ha ormai divorziato da Menelao e decide di sfruttare al massimo la sua avvenenza per scappare clandestinamente in Sicilia, perché lì, si sa, “non si fa altro che bere vino e mangiare salame”.

Una realtà molto delicata da portare in scena, che attraverso il caso particolare della Cecenia vuole denunciare con amarezza la bruttura e l’insensatezza di tutte le aberrazioni dei totalitarismi, delle discriminazioni razziali e dei conseguenti conflitti etnici; ma la difficoltà dell’argomento e il contenitore solido entro il quale l’autore inscrive la sua opera (il mito di riferimento da cui parte, nonché i grandi modelli cinematografici che cita) portano in qualche modo a pensare che non ci sia nulla che possa provocare un’emozione significativa nello spettatore – ormai avvezzo a tutto.

Gli intenti di Marco Calvani sono però lodevoli, il tema è posto bene – senza eccessi o autocompiacimenti – e alcuni momenti sono di grande intensità per la bravura e la forza comunicativa degli interpreti: degno di nota il fatto che lo spettacolo abbia debuttato a Berlino nel 2009 e che tutti i testi di Calvani siano tradotti e rappresentati in più lingue.

Lo spettacolo continua:
Teatro Out Off
via Mac Mahon, 16 – Milano
fino a domenica 29 maggio
orari: da martedì a sabato ore 20.45, domenica ore 16.00

Penelope in Groznyj
drammaturgia e testi Marco Calvani
con Alberto Alemanno (Anfinomo), Elisa Alessandro (Attoride), Luca Celso (Telemaco), Karen Di Porto (Elena), Filippo Gattuso (Pireo), Giovanni Izzo (Antinoo), Letizia Letza (Ippodamia), Nicola Mancini (Leocrito), Roberta Mastromichele (Afrosine), Marta Pilato (Animone), Gianluca Soli (Teoclimeno), Emilia Verginelli (Melanto), Francesca De Sapio (Euriclea), Nicolà Hendrik (Cassandra), Bing Taylor (Laerte)
musiche originali Diego Buongiorno
costumi Beatrice Zamponi
luci Emiliano Pona
coproduzione Mixò, Kunsthaus Tacheles, in collaborazione con MTM, RT studio