‘Like a child, but pardon me’

Teatro-Politeama-viareggioPinocchio. Opera Rock, martedì 17 dicembre, Viareggio, Teatro Politeama. Il tempo, signori, il tempo è passato e ciò è innegabile. Cresciamo, ahinoi. E non siamo gli unici.

Il mondo. Questo è il mondo?
Sicuramente non è cosa per i bambini. Non portate bambini, non fatelo. Se amate di loro la tenera inconsapevolezza, non portateli. Abbiatene pietà. Certo, citare Pinocchio nel titolo è fuorviante. E altri sono precipitati nel tranello e i bambini hanno riso, sì, hanno riso terribilmente. Ma questo è il mondo, signori. Seriamente, non portateli.
C’è tanta musica in questo spazio corroso da amplessi – tra luci e fumo. Qui musica, là frastuono. Soltanto mostri sacri: Beatles, Deep Purple, Queen, Doors, Pink Floyd, Radiohead. Motore cardiaco, questo è il mondo. E questo il suo cuore. Sei ancora a tempo, ragazzo. E nessuno, nella spietata realtà dell’uomo, ha avuto, prima di te, la possibilità di scegliere di non venire alla luce. Pensaci, seriamente. Pensaci.
Una miscellanea di idee per descrivere le sensazioni suscitate da Pinocchio. Opera Rock. Il burattino che scappava, mentiva, si profondeva nelle più ignobili beffe. Tanto eversivo, profondo nella propria ribellione, che Collodi stesso tentò più volte di emendarlo con la morte, impietoso persino della sua età. Tutto ciò è memoria, nulla più. Anche Pinocchio, alla fine, si risolve a crescere.
Il sipario si apre su un contrasto: la jungla del mondo da un lato, Pinocchio, ancora innocente, se mai lo è stato, dall’altro. Ecco il teatrino, le marionette: impacciato annuire, colori. Geppetto a destra, vecchio alcolizzato in cerca di un casuale Mietitore da abbracciare per strada. Urla e impreca da venir fulminato (e Andrea Garinei, nei panni del falegname, è veramente bravo). Rock di fondo, la città imputridisce con stile. Dice Pinocchio: «Voglio il mondo. Mostrami il mondo.» E sia, rispondono, eccoti il mondo. E il teatrino resta deserto. Pinocchio, oggi, è un uomo in cerca di una collocazione, di uno scopo definito, di un clan. Così distante, ormai, il piccolo sovversivo insofferente agli schemi del vivere umano. Eppure è lui. E su pezzi grevi, graffianti, dannati, goliardici, si snoda l’epopea dell’uomo. Nessuno ha scalfito i nomi, purtroppo: Gatto cambia soltanto la o in a, e poco importa che sia una sgualdrina e Volpe il suo sfruttatore. E così Lucignolo, malgrado cerchi sesso, birra, e non più giocattoli.
Da una prospettiva piacevolmente anticollodiana, Giovanni De Feudis ci propone un monumento all’emarginato, idolatra e compatisce il figlio che l’autore ha più volte deprecato nel romanzo, in un moderno e scanzonato Elogio Della Follia in cui l’ossessivo rimprovero del Grillo si trasmuta nell’ipocrita invettiva delle vecchie donne al salone di bellezza, coi dialoghi densi di continui cliché.
Ballerino mancato, questo Pinocchio lotta per conseguire le proprie ambizioni. Cede, come nella favola, al richiamo sussurrato della città, qui New York. E il Paese dei Balocchi è un bordello, mentre Guesch Patti ne è l’anima pulsante. Tutto si riduce a un ritratto esasperato della società attuale (sibillina la parte relativa al processo, in cui – per ottenere l’assoluzione del giudice – l’avvocato donna non trova di meglio che promettergli favori sessuali), ritratto esasperato su cui passano, di tanto in tanto, barlumi fugaci di quell’innocenza morta, o soltanto sopita? Mentre riemerge, a tratti, immacolato – quasi un sasso che i flutti abbiano levigato sino alla lucentezza – lo spirito originario dell’opera: l’animo pensoso del bambino confuso, mai distrutto. Perché Pinocchio, malgrado il suo impegno e la necessità di integrarsi, non ha realmente compreso. Forse per lui esiste ancora una crepa, attraverso cui fuggire. E mentre le fogne della metropoli lo ingoiano – la stessa balena ha disgusto dell’uomo – la scelta gli si ripropone nuovamente: andarsene, perché no? E Pinocchio accetta. Addio Geppetto. Suicidio forse, magari la salvifica follia cara a Pirandello. Pinocchio sceglie di tornare nel teatrino.
L’inversione è completa. Regressione, signori, se così la si vuol chiamare. Quando il burattino aspirava al bambino non sbagliava certamente. Saggio è l’uomo, adesso, che torna alla forma inanimata. O all’infanzia. O alla pura follia.
Questo è Pinocchio. Opera Rock: spettacolo godibile sebbene un po’ grezzo. Con infinite potenzialità, solo in parte pienamente espresse – mentre permangono alcune perplessità. Abbiamo, da un lato, temi e forme espressive dalla trivialità sicuramente adulta, dall’altro dialoghi e tecniche comunicative che sembrano costruite appositamente per un pubblico infantile. Che sia voluto o meno, l’effetto non convince del tutto. Lo spettatore medio non gradisce, ad esempio, che il messaggio portante dell’opera gli sia esposto in forma diretta senza la presenza di un contesto ben preciso. E magari, come scritto sopra, si sarebbe potuto giocare più intensamente sul ruolo dei personaggi tradizionali, creare maggior distacco, senza ricadere nel vecchio circolo della Commedia Dell’Arte. Molto apprezzata, al contrario, la rielaborazione del personaggio di Mangiafuoco, più valorizzato di quanto sia nell’opera letteraria.
In ogni caso, ottima musica dal vivo, belle voci, coreografie più che apprezzabili, sapiente uso del complesso scenico.
Martedì 17 dicembre, Viareggio. Il mondo. Questo è il mondo? No. Chiudi gli occhi: è questo.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Politeama
Lungo Molo del Greco – Viareggio
martedì 17 dicembre, ore 21.15

Pinocchio. Opera Rock
scritto e diretto da Giovanni De Feudis
musiche The Doors, The Beatles, Queen, Deep Purple, Pink Floyd, Radiohead
riarrangiate dal Maestro Alessandro Mancuso
coreografie Alessando Foglietta
costumi Antonella Balsamo
scenografia Andrea Bianchi
light design Stefano Pirandello
produzione OneMore Time productions e La Contrada Teatro Stabile di Trieste

Personaggi e interpreti
Pinocchio: Giorgio Pasotti
Geppetto: Andrea Garinei
Mangiafuoco: Stefano Ambrogi
Volpe: Vincenzo De Michele
Gatta: Livia Cascarano
Avvocato Difensore: Rossella Vicino
Lucignolo: Giulia Fiume
La Fata: Elisa Bucino

L’Ensemble di Danza è composto da Sandro Bilotta, Elisa Bucino, Manuele Caruso, Manuel Clementi, Bianca Giannasso e Maria Celeste Sammarco
La Band è composta da Tiziana Cara (cantante), Alessandro Mancuso (chitarra), Luigi Marinelli (chitarra), Davide Lucchetti (basso), Mattia Frattari (tastiere) e Gian Luca Giudici (batteria)