Il teatro multimediale come testimonianza e accusa

I Muta Imago portano in prima assoluta l’opera Polices!, assemblaggio di documenti e testimonianze rivolto contro la violenza delle istituzioni, commettendo qualche fallo di ingenuità.

Da sempre, l’opera del collettivo Muta Imago lavora sulla contaminazione dei vari media, sfruttando lo slittamento continuo dalla dimensione uditiva a quella visiva, per offrire flussi sinestetici capaci di incidere a livello nervoso sullo spettatore; spesso, tale sperimentazione multimediale, che si avvale di proiezioni video, registrazioni audio, effetti di luce, rivendica un valore testimoniale legato ai mali della storia. Tutto questo perché il teatro dei Muta Imago, nati nel 2006 grazie al connubio artistico tra la regista Claudia Sorace e il drammaturgo e sound designer Riccardo Fazi, recupera la nobile tradizione del teatro impegnato, il quale – piuttosto che chiudersi tautologicamente nell’esibizione ostentata della tecnica e del teatro che narra se stesso – mette a disposizione i suoi dispositivi a favore della conoscenza, della partecipazione, perciò stesso della politica.

La “forma breve”, protagonista del Short Festival in corso alla Pelanda, è oltretutto piuttosto adeguata alle modalità narrative e alle esibizioni dei Muta Imago, che in questa occasione portano in scena, in prima assoluta, Polices!, opera dell’artista e performer Sonia Chiambretto. Quest’ultima, francese di adozione da quando si è trasferita per affrontare e sviluppare la sua ricerca a Marsiglia, si è specializzata in quella che lei definisce “tecnica di finzione obiettiva”, ovvero la commistione di testimonianze altrui ed esperienza personale. Questo è un tratto che caratterizza anche Polices!, grande collage di documenti autentici relativi alla polizia e alla giustizia francesi, che spaziano da eventi passati al presente per ricostruire una storia di soprusi, violenza e discriminazione razziale. L’impianto scenico è molto simile ad altre esperienze dei Muta Imago, basti pensare a una loro opera recente che raccontava Rivoluziona araba d’Egitto; l’opera sicuramente ha tra i meriti un’ottima interpretazione di Monica Demuru (che calibra perfettamente lettura asettica e sfogo di rabbia) e soprattutto una cogitata impostazione sonora, che riesce a immergere lo spettatore nello stato di tensione e inquietudine, la stessa inquietudine di chi subisce i soprusi della polizia.
I suoni in loop, ritmici e cadenzati, sono come un incubo claustrofobico, l’atmosfera perfetta per esempio per raccontare quello è uno dei maggiori scandali della storia europea, soprattutto perché la Francia tutta (le istituzioni, ma anche la cultura ufficiale e la società civile), come ci racconta Michael Haneke nel film Niente da nascondere, ha preferito rimuovere, occultare, obliare. Si tratta del cosiddetto Massacro della Senna, o Massacro di Parigi, quando nel 1961 durante una manifestazione di algerini per l’indipendenza la gendarmeria caricò i manifestanti facendo 200 vittime, per ordine dell’allora prefetto Papon. Lodevole l’impegno per testimoniare delle vittime di quella barbarie, ma è il concetto di fondo che lascia perplessi, ovvero il J’accuse sincronico e diacronico, indiscriminato, nei confronti della polizia francese: così si sovrappone il Massacro di Parigi alle manifestazioni degli studenti, ai disordini delle banlieue, ai black block e al terrorismo. L’elemento in comune: la viltà e la crudeltà delle autorità.

Discorso vecchio, che sembra fuori tempo massimo, di passate decadi, e diciamolo pure anche fin troppo banale; qui i limiti più profondi dell’opera, che al didascalismo a tratti retorico e patetico (le lettere dei bambini che raccontano di quando le guardie hanno fatto irruzione a casa loro) accompagna un sottotesto (mai esplicitato) che è come se si ricollegasse all’ingenuità manifestata all’epoca della Rivoluzione araba. Il sottotesto è il tentativo, legittimo e assolutamente pertinente, di interpretare i recenti fatti di violenza francesi da parte dell’integralismo islamico come un collasso della società civile francese, una sorta di emorragia interna che è esplosa in atti di odio e rivolta. Se questo può avere un fondo di verità (che spiegherebbe anche la localizzazione del radicalismo proprio in territorio francese), inconsistente e per certi versi volgare appare il moralismo sessantottesco e giovanilistico che riconduce le origini del circolo di questo odio e di questa violenza nelle mani piene di sangue delle forze dell’ordine. Questo il messaggio che trapela, ovvero che la violenza delle strade è una reazione alla violenza delle autorità, quando un’analisi attenta delle condizioni sociali, storiche e culturali porterebbe a una comprensione dialettica di questo scontro, che rende tutto ben più complicato e difficile da risolvere. E l’arte dovrebbe manifestare tale complessità del reale, perché i tempi in cui si faceva megafono dei soprusi dei deboli oggi sono scaduti, e il rischio è sempre quello di sciacquarsi l’anima nella candeggina lasciando irrisolti i problemi reali.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Short Theatre Festival 11 – Keep the village alive:
La Pelanda. Centro di produzione culturale
Piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma
mercoledì 14 settembre, ore 20.45

Fabulamundi. Playwriting Europe e Muta imago presentano
Polices!
di Sonia Chiambretto
traduzione Gioia Costa
regia Claudia Sorace
drammaturgia e suono Riccardo Fazi
video Maria Elena Fusacchia
luci Gianni Staropoli
con Monica Demuru