Né obbediente né disobbediente

Fino al 28 febbraio è andato in scena, al Teatro Vascello, il Porcile di Pier Paolo Pasolini diretto da Valerio Binasco, tentativo impegnativo di restituire un testo dalle immense profondità.

Negli anni nei quali la borghesia si crogiolava della propria presunta “anima bella”, inscenando quella sorta di appariscente e ingenuo tentativo collettivo di autoespiazione passato alla storia come Sessantotto, le menti più brillanti e difficilmente allineabili alla massa si trovarono schiacciate come in una morsa. Da un lato accusate dalla cultura dominante e ufficiale di non essere accondiscendenti, ma, soprattutto, dall’altro incolpate di non aderire pienamente ai principi apparentemente “sovversivi e rivoluzionari” che l’ideologia d’opposizione imponeva. In fondo, si trattava di opporre un establishment a un altro, sostituendo il vecchio ordine con uno nuovo, lasciando invariata la struttura logica di fondo in una perenne immobilità. Pier Paolo Pasolini era una di queste menti, per quanto oggi il suo pensiero sia abusato e sfruttato al punto tale da essere stato completamente travisato, diventando ciò contro cui aveva combattuto per tutta la vita: un simbolo, un modello della dissidenza sociale e politica, un disobbediente utile come stendardo nelle goffe e scoordinate richieste di giustizia e diritti che provengono dalla borghesia. Quella stessa borghesia che ha obliato il processo storico e politico che le ha concesso i privilegi di cui oggi gode “piangendo” e urlando.

Pasolini maturò la sua acredine negli ultimi anni di carriera, quando sembrò che persino i limiti della tradizione letteraria non fossero più sufficienti a controllarne l’insoddisfazione. E proprio negli anni della contestazione giovanile, mentre i suoi colleghi si facevano belli portati in trionfo dalle masse di studenti rivoluzionari, Pasolini scrisse Il porcile, pièce teatrale e successivamente film, che sconvolse tanto i benpensanti cattolici quanto la sinistra comunista. Al Teatro Vascello, fino al 28 febbraio è andato in scena Il porcile di un Valerio Binasco capace di cogliere tutta la profondità di un testo, in verità, poco conosciuto e, spesso, ai margini dai canoni ufficiali, forse per la sua irruenza e irriverenza. Un testo che troviamo tradotto nella pièce con un’energia drammaturgica e poetica senza pari nella letteratura contemporanea.

Julian, figlio di una ricca famiglia borghese tedesca, è l’alter ego del poeta, né obbediente né disobbediente, incapace di qualsiasi senso di appartenenza al consorzio umano e di condivisione empatica coi suoi simili; il suo unico “amore”, la passione che guida la sua anima, è qualcosa di indicibile e di inconfessabile, ciò che veramente è al di là delle convenzioni sociali e che non può venire accettato e compreso. Non si tratta di omosessualità, perché l’omosessualità, già negli anni di Pasolini, si era tradotta in uno strumento di appartenenza sociale, un vincolo a un gruppo ottenuto attraverso l’apparente rifiuto di venire omologati al gruppo dominante. Questa passione è oltre, è oltre la dialettica bene/male, oltre le posizioni che si legittimano vicendevolmente come due facce della stessa medaglia; Julian, infatti, fa sesso con dei maiali, si sveglia al mattino con questo solo pensiero e come può concederselo si reca nella stalla della fattoria dei genitori per abbandonarsi a tale perversione.

È chiaro come tale motivo drammaturgico sia talmente eccessivo da presentarsi da subito come carattere di straniamento. La dimensione grottesca oscilla, però, all’interno dello spettacolo, dal momento che in alcune parti il tono drammatico traduce l’assurdità dell’inconfessabile colpa in elemento narrativo lineare, mentre in altre (le più riuscite, soprattutto grazie alla bravura di Mauro Malinverno nei panni del padre del protagonista) si viene proiettati nel teatro brechtiano e nel metateatro, in un linguaggio che mette a nudo se stesso. Quando gli stacchi musicali di piano tentano di offrire un accompagnamento lirico e struggente, allora lo spettacolo stride rispetto alla paradossalità grottesca del peccato capitale di Julian, che come giusto che sia diventa anche ragione di ilarità, di imbarazzo, specie quando lui non è in scena.

La continua altalena tra dramma e non-sense, tra sarcasmo cinico e tragedia familiare, crea un effetto di incoerenza complessiva, che forse la regia avrebbe dovuto controllare e orchestrare meglio. Probabilmente Binasco voleva generare la tensione irrisolta degli opposti proprio nell’irrisoluzione stilistica della messa in scena, ma avrebbe dovuto spingere oltre il momento della mise en abyme brecthiana, oppure abolirla del tutto. Resta comunque un fatto: Porcile è un vortice di inusitata profondità, poetica e concettuale, forse una delle produzioni più mature di Pasolini e se Binasco ha avuto il merito di farci affacciare su questo abisso, forse gli è mancata la temerarietà per gettarvici dentro.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Vascello
Via Giacinto Carini, 78 – Roma
Venerdì e sabato ore 21.00, domenica ore 18.00

Teatro Metastasio Stabile della Toscana e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con la collaborazione di Spoleto Festival dei 2 Mondi, presentano
Porcile
di Pier Paolo Pasolini
regia Valerio Binasco
scene Lorenzo Banci
costumi Sandra Cardini
musiche Arturo Annecchino
luci Roberto Innocenti
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Franco Ravera, Fulvio Cauteruccio, Fabio Mascagni e Pietro d’Elia