Castrovillari, 1° giugno 2013

loc_primaveradeiteatri1Quarta giornata dove, con tre spettacoli, si sono confrontati i generi teatrali più disparati.

Cucinarramingo – In capo al mondo è un one-man show nel quale Giancarlo Bloise, lavorando su un patchwork testuale in parte mutuato da Giuliano Scabia, racconta leggende, riferisce sulle regole alimentari ebraiche e, nel contempo, cucina su fascinose attrezzature di rame e legni intarsiati, che monta a vista, con l’abilità di un prestigiatore. Alla fine della performance, offrirà a un pubblico incredulo assaggi dell’impepata di cozze e dei bocconcini di pollo con riso, preparati in tempo reale sotto i nostri occhi. Nulla di nuovo, dopo le sanguigne, popolaresche, coinvolgenti esibizioni delle Ariette (ospiti anche di Primavera dei Teatri, anni fa), ma una cosa garbata, che avrebbe però ancora bisogno di qualche aggiustamento drammaturgico e attorale.
La società, della compagnia Musella Mazzarelli, da loro stessi scritta e diretta, è una commedia tradizionale, simile, se non fosse per la presenza dei telefonini, a quelle che, quasi cento anni fa, uscivano dalla penna di Dario Niccodemi (in effetti, mi ha ricordato qualcosa di Scampolo, già cavallo di battaglia di tante attrici d’antan). Ma è scritta bene, con le sue scene madri nei punti giusti, recitata con efficacia (in scena, oltre ai due autori/registi, Fabio Monti e Laura Graziosi). Sorge però spontanea una domanda: cosa ci azzecca con una rassegna di “nuovi linguaggi della scena contemporanea? Azzardo una risposta. Serve a ricordarci che quel teatro, chiamiamolo di tradizione, non è morto; che non sarebbe giusto morisse, perché fa parte della nostra tradizione; che lo si può fare bene o male, e che qui è fatto bene. Scusate se è poco.
Ultimo della serata, uno spettacolo composito, ideato e diretto da Davide Iodice. Mangiare e bere. Letame e morte è fatto di parola, di danza, di nudità esibite con spudoratezza, ma senza ammiccamenti seduttivi. La naturale animalità che traspare dal titolo ha il suo risconto nel corpo della performer Alessandra Fabbri, da cui emana un vigore che definirei campagnolo. Alessandra ci racconta, con un’emozione che si direbbe autentica, la storia del suo rapporto con una coppia di uccellini, illustrando i loro movimenti con una studiata, precisa mimica, che diventa coreografia. Poi, liberatasi della maglia e dei calzoni che la infagottavano, nuda con le sole scarpette da ballerina, si lancia in una danza panica, che prosegue, dopo essersi rivestita di un lungo, trasparente abito di velo, mentre la sua voce registrata ci restituisce riflessioni sull’animale da palcoscenico. Uno spettacolo non scevro da ingenuità nei contenuti verbali, ma di buon impatto emozionale.
E infine, il dopo teatro, in uno dei luoghi deputati di Primavera dei Teatri, il ristorante “La torre infame”. Qui, fino alle ore piccole, spettatori, artisti, gente del posto, si scambiano commenti su quanto visto; ad un tavolo affollato, il critico di un diffuso quotidiano milanese tiene banco sciorinando il suo sconfinato repertorio di gossip teatrali, mentre la proprietaria, la piacente, burbera Cilla, deposta la pistola e smessa l’uniforme di guardia municipale, gira per i tavoli tentando, con scarso successo, di ovviare al caotico, cronico disservizio (che, peraltro, fa ormai simpaticamente parte della tradizione del locale), raccogliendo ordinazioni di piatti dai nomi fantasiosi: raskatiddi all’imbriacunu, fuoco di Bacco, maccheroni alla pastora, laghine e ciciseri. Intanto, attorno ad un altro tavolo, davanti alle tradizionali pizze cuzzu e paccchiana, un pezzo del direttivo dell’Associazione Nazionale Critici improvvisa una riunione informale.

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