Cose belle e cose vecchie

Appuntamento fisso degli amanti della musica indie, il Primavera Sound Festival di Barcellona è anche l’appuntamento fisso di vi sta scrivendo. Anticipato dall’annuncio dei forfait di Grandaddy (mannaggia!) e Frank Ocean (vabbè, ce ne faremo una ragione), sostituiti dagli Arab Strap (grazie Primavera ti amo) e da Jamie XX (ciao Frank non ci mancherai), il festival ha aperto le porte mercoledì 31 maggio al Fòrum della capitale catalana.

Ecco, il problema più consistente e impossibile da sciogliere quando ci si immerge completamente in un festival del genere non è certamente quello del “non si può vedere tutto”, ma quello ben più angosciante del “tutto quello che vuoi vedere ti richiederà un’organizzazione precisa al millesimo di secondo. E, alla fine, perderai un sacco di roba”. Partendo da questo opprimente assunto, abbiamo deciso di provarci. Coûte que coûte. Quello che segue è il racconto, a puntate, di quest’avventura musicale e vitale. Ma anche spietata e militare.

Iniziamo in tutta dolcezza con il breve set di Gordi, 23enne australiana e dalla voce straordinariamente convincente. Gordi, al secolo Sophie Payten, dimostra grande personalità e una presenza scenica impressionante nel primo dei due show che il Primavera le concede. Anima rock, stile folk e tanta voglia di produrre belle canzoni. Insomma, il concerto perfetto per entrare in temperatura con il festival.

Seguono i Local Natives, californiani di Los Angeles con tre album all’attivo ma già un grande seguito di fan. E la cosa non stupisce certamente. La voce del fascinoso Taylor Rice attacca la loro Past Lives con dolcezza e un pizzico di ruvidezza: basta qualche secondo al pubblico per lanciarsi sulle sognanti linee melodiche di questi “autoctoni”. Per poi innamorarsi con gli astuti coretti di Villainy. Ma non c’è tempo da perdere! Bravi questi californiani ma ci sono Jarvis Cocker e Steve Mackey che ci aspettano per un’ora e mezza di “meditazioni da pista” all’Heineken Hidden Stage, l’altro palco aperto in questa giornata gratuita e aperta a tutti. Ecco, niente, i due ex Pulp ci aspetteranno ancora perché noi non siamo provvisti del mitico braccialetto “golden”. Dietro-front: niente meditazioni e, un po’ delusi, andiamo a ritrovare gli autoctoni d’oltreoceano. Ci accoglie la calda voce di Kelcey Ayer con Coins, delicata carezza che si muove tra classicità e plages sonores elettriche un po’ demodé e che accompagna il tramontare del sole in questo luogo di cemento e di bellezza liberatoria. Poi arriva I Saw You Close Your Eyes con la quale i Local Natives dichiarano di aver digerito ed elaborato qualcosa come la new wave, i Franz Ferdinand, Alt-J, un po’ di black music e qualche cosa dei Portishead. Sì, effettivamente poteva andare peggio. Chiudono l’ora di concerto la bellissima e corale Who Knows Who Cares (leggi alla voce “come farsi migliaia di fan in qualche secondo”) e l’ossessiva e aggressiva Sun Hands. Non conoscete i Local Natives? Ecco, credo sia ora di fare qualche ricerca.

La prima giornata di questo festival propone un ultimo concerto dall’odore un po’ anacronistico. Ecco infatti i Saint Etienne gruppo del quale ci eravamo dimenticati l’esistenza. L’entrata, sulle note di Nothing Can Stop Us, della cantante Sarah Cracknell è da vera e propria diva e questo pezzo del 1991 sembra essere la risposta all’annosa questione “come sarebbe suonata la musica elettronica negli anni Cinquanta con la strumentazione degli anni Novanta?”. Seguono poi alcune canzoni degli ultimi anni come Magpie Eyes o I’ve Got Your Music. Ecco, gli anni sono passati. Bene, ma non benissimo. Pianole seventies disegnano una gradevole e plastica vecchiaia che trasuda stanca nostalgia. E il pubblico apprezza, lasciandosi andare ad un ballo collettivo mentre Sarah si dona generosamente ai fotografi prima che se ne vadano. Segue You’re In A Bad Way e sembra essere la band stessa a chiedersi stupita “ma questa roba funziona ancora?”, mentre la versione presentata a Barcellona di When I Was Seventeen appare più rock rispetto al disco (e per fortuna). Se con Gordi e Local Natives si era entrati nella dimensione “giusta” del festival, con i Saint Etienne andiamo da un’altra parte. Il pubblico che si era così generosamente agglutinato contro il palco durante l’esibizione dei californiani, si libera tranquillamente dalla presa andando ad esplorare il resto del Fòrum (che, lo diciamo per dover di cronaca, non prevedeva altri concerti). Quelli che rimangono si scatenano, ma sempre in maniera composta, sulle note disco Who Do You Think You Are, su quelle spagnolelettrizzanti di Pale Movie o sulla neilyounghiana Only Love Can Break Your Heart prima che il concerto si chiuda con la storica He’s On The Phone del 1994. Ci sono gruppi che invecchiano bene ed altri che invecchiano male. Ecco, i Saint Etienne sono invecchiati e basta.

La nostra prima giornata termina qua, tra alti e bassi, ma felici di esserci. E pronti per affrontare la tre giorni di grandi nomi e di grande musica. Ma non disperiamo di incontrare grandi delusioni.

Primavera Sound Festival 2017
Parc del Fòrum
Muelle de la Marina Seca, C/ De la Pau, 12 – Barcellona (Spagna)
dal 31 maggio al 4 giugno 2017

programmazione completa
www.primaverasound.es