L’Italia vista da dentro

In Pro Patria, Celestini rilegge la storia del nostro Paese da una galera in cui immagina di poter dialogare con Mazzini.

Il viaggio nella storia d’Italia lungo più di un secolo, dai moti del ’48 agli anni di piombo, è condensato in 100′. E non è un caso che Ascanio Celestini, regista e drammaturgo con la passione per il racconto dalle carceri, lo faccia pochi mesi dopo la chiusura dei festeggiamenti per i 150 della Repubblica italiana. «Perché il Risorgimento è altra cosa rispetto a quello diffuso dai testi scolastici. Prima c’è stata la rivoluzione, da lì sono venute fuori figure poi etichettate in vario modo: qualcuno è passato per terrorista, altri sono finiti a occupare posti di rilievo nello Stato. Ma di loro negli anni si è persa l’ideologia. È il caso di Mazzini: voleva governare senza prigioni e processi, ma la Repubblica Romana che governò durò appena qualche mese».
Ecco il legame tra cella e storia d’Italia che emerge da “Pro Patria – senza prigioni e senza processi”, in questi giorni di scena al “Piccolo” di Milano e destinato a diventare un libro dopo l’estate. La gattabuia in cui si muove Celestini, condannato per un reato di scarso rilievo e finito ad acculturarsi in due metri per due, lo vede protagonista di un monologo ideale con il patriota ligure, prova d’esibizione di un discorso davanti al giudice che il protagonista non terrà mai. L’eloquio è sciolto, martellante è anche l’elenco di quei personaggi conosciuti attraverso i libri di scuola: Carlo Pisacane, Goffredo Mameli, i fratelli Enrico ed Emilio Dandolo e Pio IX, «quel tiranno che fuggì di notte travestito da prete». Storie di eroi rivoluzionari in parte trasfigurati dalle ricostruzioni storiche. Mazzini, in quanto ribelle sconfitto dalla ragione di Stato, è l’interlocutore scelto a cui rivolgere il soliloquio che non fa sconti a nessuno.
Rivoluzione e carcere sono due filoni strettamente intrecciati. Nasce da questa convinzione lo sforzo che Celestini fa nell’annodare l’Italia del 1848 a quella partigiana prima e dei primi anni ’80 del secolo successivo poi, caratterizzati dalle rivolte nelle case circondariali. Le prigioni italiane, asserisce l’autore romano, sono le più piene d’Europa dopo quelle serbe. «E la metà sono ancora in attesa di una condanna definitiva». Partendo dal riscontro con l’attualità, si rievoca la logica di Wittgenstein secondo cui se «la galera è un fatto che accade nel mondo, allora il mondo è una galera». Da qui l’amara constatazione. «I morti e gli ergastolani hanno una cosa in comune, non temono i processi: i morti perché non possono finire in galera, gli ergastolani perché dalla galera non escono più». Linguaggio duro, ma a cui è difficile opporsi.


Lo spettacolo continua:
Piccolo Teatro Grassi

fino a domenica 27 maggio

Pro Patria
uno spettacolo di Ascanio Celestini
produzione Fabbrica Srl
in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria
(durata: 100’)