Reminescenze brechtiane

Lo spettacolo Processo all’infanticida Maria Farrar, in scena il 30 novembre e il 1 dicembre alla rassegna Exit del Teatro dell’Orologio, trae ispirazione da una poesia di Brecht in una curiosa messa in scena che ricorda la commedia dell’arte.

In un paese sconosciuto, alcuni curiosi personaggi si riuniscono per processare una donna, colpevole di infanticidio. È Maria Farrar, pecora nera del villaggio, ragazza vissuta sempre ai margini della comunità perché orfana straniera. Poco integrata, serva in una locanda è considerata dai suoi concittadini brutta, bruttissima, ancora peggio «uno scherzo della natura.» Oltre all’ infanticidio è accusata di stregoneria e di aver consumato, avere amato senza il permesso del parroco. Una reietta dunque, un’ estranea da non considerare, da cui stare alla larga.

L’azione si svolge in una piazza pubblica, un mercato probabilmente. Sei personaggi ambigui e grotteschi che ricordano la commedia dell’arte per le movenze, i tic, il modo di porsi e di muoversi si alternano al centro del palco con le loro arringhe. Certo, Maria Farrar è brutta, ma loro non sono di meno e non sembrano poi così normali come credono di essere.

La drammaturgia dello spettacolo di Giovanni Maria Zonzini è ispirata alla poesia di Brecht Dell’infanticida Maria Farrar, dunque tutto lo spettacolo sembra seguire le regole brechtiane dello straniamento, ossia la distanza che l’attore deve prendere dal personaggio che interpreta per sentirlo altro da sé. In questo modo anche lo spettatore non si immedesimerà con ciò che è rappresentato sul palco, ma al contrario si sentirà distante da esso e potrà giudicare senza avere un coinvolgimento emotivo.

Essenziale in Brecht sono anche la musica e la scenografia. È evidente come il regista Francesco D’Atena ci tenga particolarmente, inserendo un attore che suona la fisarmonica, sempre presente sul palco, anche se in disparte rispetto al gruppo.
La regia punta molto sui costumi e sugli oggetti che caratterizzano i personaggi; come nel caso dell’accusa, un’estetista da quattro soldi che ha sempre in mano un vasetto di cera o la difesa, un avvocato del popolo che ha sempre un bicchiere semivuoto in mano pronto a essere riempito.

Durante lo spettacolo, la protagonista rimane sempre in disparte: la possiamo vedere muoversi sul fondo del palco su un piedistallo, come se stesse in una cella, spesso agita un fiore in aria, alcune volte alza le mani al cielo. Forse prega? Osserviamo l’attrice che interpreta Maria più da vicino quando il palco diventa buio e l’azione si concentra dietro un lenzuolo: ricordi e momenti della vita dell’infanticida vengono rappresentati con il sistema delle ombre cinesi. Due amanti, o presunti tali, si incontrano e scontrano. Il fiore, lo stesso che Maria agita nel suo piedistallo-cella, diventa il mezzo con cui i due dialogano. L’amante è lo stesso attore che suona la fisarmonica.

I due sono insieme anche nella scena finale, quella della confessione della protagonista, da cui capiamo che è una ragazza semplice, che provava semplicemente amore per un uomo che l’ha utilizzata e che si è ritrovata con una gravidanza non desiderata, con un bambino che nasce in una latrina e che lei vuole accudire, pur avendo il terrore di mostrarlo alle sue padrone, che la vogliono solo vedere sgobbare. Mentre l’attrice recita il suo monologo finale, l’attore e fisarmonicista Adriano di Carlo tiene sua testa con le mani. Il gesto è un evidente richiamo alla storia raccontata dalla protagonista, quella di un bambino appena nato che lei voleva allattare, vuole accudire, ma del quale gli sfuggiva in continuazione la testa, che andava per conto suo, forse perché nato prematuro. La breve testimonianza di Maria non basta a scagionarla, il suo avvocato ormai ubriaco e corrotto non la difende, e così non c’è salvezza.

La compagnia Botteghe Invisibili – nata nel 2006 con l’intento di esplorare e promuovere il teatro e altre forme artistiche attraverso spettacoli, concerti, laboratori di formazione ed altre attività culturali – porta in scena uno spettacolo sicuramente interessante e ben curato dal punto di vista della sceneggiatura, della scenografia e della raffigurazione grottesca di personaggi per la loro banalità nell’affrontare la vita e l’esistenza. Buono anche l’utilizzo in scena delle musiche originali di Adriano di Carlo, canzonette denigratorie e di commento all’azione. Ci si chiede però se l’utilizzo delle ombre non risulti talvolta un po’ prevedibile, perché Maria Farrar rimane sempre sul fondo della scena nascosta dal gruppo di personaggi che l’accusano, perché agiti in continuazione un fiore in aria e quale sia la reale entità di un oggetto misterioso coperto da un telo bianco al centro della scena. Talvolta questo oggetto viene identificato dai personaggi come la stessa Maria Farrar, talvolta viene utilizzato come contenitore, talvolta viene ignorato. Solo alla fine dello spettacolo la protagonista tira fuori da sotto il lenzuolo una gabbia per canarini vuota che si porta via con sé.

Cosa avrebbe detto Brecht di questa gabbia?

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Exit – Emergenze per identità teatrali
Teatro Orologio 

via dei Filippi 17 A
mercoledì 23, giovedì 24
ore 21,00

Processo all’infanticida Maria Farrar
drammaturgia Giovanni Maria Zonzini
regia Francesco D’Atena
assistente regia Maria Elena Lazzarotto
con Jessica Bertagni, Simone Caporossi, Francesco Cervellino, Adriano Di Carlo, Maria Elena Lazzarotto, Tommaso Lombardo, Livia Massimi, Gilda Sacco
musiche originali Adriano Di Carlo, Klara Finck