Lo spazio dell’arte

A Natura Dèi Teatri, lo sguardo di Lenz indaga il senso dello spazio nell’opera teatrale.

Dopo aver aperto le Porte della propria indagine sui linguaggi del contemporaneo e indagato il Punto Cieco della prospettiva artistica, Natura Dèi Teatri focalizza il proprio sguardo sullo spazio dell’arte, interrogando direttamente la Scia lasciata dal «lavoro dell’artista» e dalla «durata dell’opera d’arte».

Sovrapponendo con lucida coerenza «un grande monumento mentale» a un grande monumento fisico, materializzando concretamente quella terra di mezzo nella quale il Sommo Poeta «raffigurò la condizione umana nelle diverse situazioni in cui [essa] si rapporta con il mondo fisico, l’estasi, il vivere quotidiano in tutte le sue manifestazioni sociali, etiche e filosofiche», Purgatorio, l’ultimo nato in casa Lenz, palesa con trasparente plasticità due aspetti che riconosciamo essere cruciali nella ricerca di Francesco Pititto e Maria Federica Maestri.

Il primo riguarda l’instabile equilibrio dell’intenzione drammaturgica che innerva Purgatorio sul senso dell’artista; un’intenzione che, superati i confini del metateatrale e del site-specific, si enuclea secondo il linguaggio della sensibilità, identificando non tanto una condizione biologica o un anelito romantico (Adelchi), quanto un’originale e reale curvatura dell’arte contemporanea nella prospettiva dell’oltreteatrale (Autodafé), ossia della reciproca disponibilità alla contaminazione di responsabilizzazione e apertura da parte, rispettivamente, del pubblico e dell’attore.

Un risultato prodigioso e figlio di una progettualità rigorosissima fin dal concepimento, che spesso abbiamo visto formalizzarsi in ambienti di folgorante e spaesante bellezza: proprio quest’ultimi, a partire dalla non banale o scontata capacità organizzativa messa in campo da tutte le maestranze della complessa architettura lenziana per riportare a nuova/vera vita scenari genericamente impermeabili all’esterno perché vissuti inutili e improduttivi, rappresentano – a parere di chi scrive – quel secondo elemento rispetto al quale l’attenzione di Maestri e Pititto si mostra di esemplare e adamantina lungimiranza. Dal contesto di allestimento arrivano suggestioni spesso eclatanti, a volte (s)velate dal didascalico (Il Furioso 2), ma sempre determinanti nel destrutturare la direzione esclusiva di un mondo di cui Lenz denuncia le antitetiche contraddizioni.

A partire dall’illuminante «ambientazione all’interno di una fabbrica», abbiamo ammirato mettere al bando «l’idea di una società che […] si concepisce in termini di produzione e consumo», che «pensa di aver superato la concezione di cittadino […] in quella di consumatore» (Promessi Sposi) e in cui «l’accumulo oggettivo rende dominante la spersonalizzazione»  (La fuga – L’isola). Una società che, per la consapevole e colpevole confusione tra «l’autodeterminazione della persona» e la «riduzione della vita umana a parametro economico di un bilancio aziendale» (Aktion 4) e attraverso la «glaciale contrarietà» di luoghi in cui «l’avvento dell’estremo saluto al corpo che fu rimanda […] all’assolutizzazione di quell’immateriale che accomuna trasversalmente chi è ancora» (Il Furioso 2), celebra la morte più che la vita, genuflettendosi a «un biopotere sottile ed evidente, misterioso e invadente» che continua a «autoimporsi in funzione disciplinare» (Autodafé).

Esito finale di un percorso che pensa l’arte come Materia del Tempo, Purgatorio è l’incipit di un progetto biennale sulla Divina Commedia di Dante Alighieri «suddiviso in tre site-specific performativo-musicali […] realizzati in tre luoghi significanti della città di Parma», l’Ospedale Vecchio, il Ponte Nord e il Termovalorizzatore.

È una scena scabra, dai colori freddi e minimalista quella che accoglie gli astanti in un luogo «organizzato intorno alla grande Crociera a forma di croce greca sormontata da una cupola» e in cui muove i primi passi la «riscrittura drammaturgica e scenica» dantesca con «l’installazione della cantica del Purgatorio nell’Ospedale Vecchio, uno dei complessi monumentali più importanti di Parma, nonché l’edificio simbolo della storia ospedaliera della città». In esso, Lenz colloca l’unica cantica sinceramente terrena, quella di un Regno al cui interno la gravità dei peccati risulta rovesciata fino all’ascesa nella purezza, e che – paradosso della Divina Commedia – conosce il trapassare del giorno nella notte e scopre il buio tornare a farsi luce.

Di questo Regno mortale, i cui abitanti sono solo di passaggio, espianti posti di fronte a exempla del vizio punito e della virtù mancata, introdotti dal canto degli angeli custodi delle sette cornici, Francesco Pititto e Maria Federica Maestri mantengono intatto il patrimonio dantesco, trasfigurano nella semplicità dell’incedere scenico ogni dettaglio del cammino di Dante attraverso i sette peccati capitali e, così facendo, iniziano un «percorso verso la Bellezza, verso le Stelle» non dal luogo in cui le anime non hanno più alcun controllo del proprio destino, ma da quello in cui «i peccatori penitenti sono più vicini all’uomo contemporaneo», in cui «intraprendere la via della salvezza [e] raggiungere il Paradiso o sprofondare all’Interno dipenderà [dalle] preghiere e dalla volontà di espiazione».

Versi declamati con estremo rigore nello stretto volgare di Parma e raccordati all’inizio di ogni cornice da angeliche introduzioni in italiano accompagnano il disordine controllato di movimenti capaci di restituire una sensazione di caos calmo a un percorso narrativo e fisico di fluida passione, con il pubblico ai lati della scena sedotto o abbandonato a una difficoltà di comprensione testuale in realtà solo apparente, vista la celebrità di quanto rappresentato.

L’aderenza alla terra di chi dal passato continua ad agire nel presente, la gens di Parma, dunque l’essere «ponte tra tradizione e contemporaneità», viene assicurata dalla scelta di (co)affidare la costruzione e l’espressione del testo ad attori delle Compagnie dialettali di Parma: un voto di fiducia che contribuendo a consegnare, da un lato, l’operazione artistica di «recupero di bellezza sostenibile» alla «partecipazione reale del cittadino al suo patrimonio culturale e urbanistico» e, dall’altro, il co-protagonismo dell’evento spettacolare all’ambiente di allestimento, rende il processo creativo scevro di ogni possibile connotato di asettica autoreferenzialità, nonché degli abusi in cui la cosiddetta sperimentazione spesso annaspa nell’uso indiscriminato della multidisciplinarietà e degli strumenti digitali.

Purgatorio è, allora, un autentico ecosistema storico, oltre che scenico, in cui, recuperando con infinito rispetto la dignità dell’opera di cui è voce e corpo, ogni singola parola e ogni atto compiuto rifrange la consapevolezza di Lenz di ripensare continuamente lo spazio dell’arte quale condizione necessariamente propedeutica per ogni esperienza artistica.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Natura Dèi Teatri
Ospedale Vecchio

via Massimo d’Azeglio 45, Parma

Purgatorio
drammaturgia e imagoturgia Francesco Pititto
installazione site-specific, elementi plastici, costumi, regia Maria Federica Maestri
musica, installazione sonora Andrea Azzali
in scena Valentina Barbarini, Fabrizio Croci, Paolo Maccini, Franck Berzieri, Delfina Rivieri
e attori delle Compagnie dialettali di Parma: Roberto Beretta, Sonia Iemmi, Ylenia Pessina, Mirella Pongolini, Giacomo Rastelli, Cesare Quintavalla, Silvia Reverberi, Valeria Spocci
cura Elena Sorbi
media video Stefano Cacciani
cura tecnica Alice Scartapacchio, Andrea Bonaccini
assistente di scena Marco Cavellini
produzione Lenz Fondazione
con il patrocinio del Comune di Parma e in collaborazione con il Coordinamento delle Compagnie Dialettali della città
in collaborazione con Teatro Regio di Parma, Biblioteca Civica e Archivio di Stato di Parma
con il sostegno di: MiBACT – Comune di Parma, Regione Emilia-Romagna, DAISM-Ausl