Una rivoluzione ci salverà?

Seconda tappa del progetto che il Teatro delle Albe dedica alla Commedia dell’Alighieri con un doppio site-specific – prima a Matera e ora a Ravenna.

Come ogni viaggio, e il teatro itinerante non fa eccezione, ha un luogo deputato alla partenza, anche il Purgatorio (com’era già successo per l’Inferno) trova, nella tomba di Dante, il proprio.
Da subito l’assetto corale prende vita e forma, grazie alla voce di Ermanna Montanari che suggerisce i moti e detta i tempi, e di Marco Martinelli che narra e lega i passaggi. Toccante il primo incontro, ancora sulla porta dell’estrema sepoltura dell’Alighieri, con Catone (interpretato da Gianni Plazzi). Si vorrebbe quasi soffermarsi ma è l’ora di abbandonare le rive dove crescono i giunchi per essere accompagnati, dal suono della tromba di Simone Marzocchi – e da una serie di cori e gorgheggi che paiono piovere dall’alto – verso quel giusto cammino che, come i penitenti della Cantica, abbiamo finalmente imboccato.
L’ingresso al Purgatorio avviene singolarmente: ognuno di noi è Dante, e quasi immediatamente percepiamo le voci di coloro e di colei, Pia De’ Tolomei, che furono uccise dai propri familiari: singole denunce si alternano e si sovrappongono, unendosi al lamento corale – dolce nelle sue note dolenti. L’aggancio con il presente ci colpisce: il confronto con quanto tutti i giorni, purtroppo, continua ad accadere, in Italia come all’estero, è subito evidente così come lo è l’oppressione dell’universo femminile. Neanche il tempo di pensare a quanti secoli siano trascorsi inutilmente che altre voci ci giungono da questo luogo di pentimento, dove l’invettiva – se e quando c’è – è sempre pacata ed è intrisa di consapevolezza.
Ci ritroviamo bambini tra i banchi di scuola, circondati da lavagne che cerchiamo di decodificare: sono i messaggi e i pensieri di Joseph Beuys – artista contemporaneo, che ha però avuto un passato nazista e ha continuato a intrattenere rapporti con uomini legati a quel tragico periodo. Ermanna Montanari ci ricorda che la libertà è difficile da conquistare e che l’invidia per i potenti è malriposta, che la finanza e la ricerca dell’accumulo ci rendono schiavi senza padrone e che, in fondo, siamo solo carne da macello. La vanagloria e l’effimero successo: ci sarà sempre qualcuno, dopo e meglio di noi, che riuscirà a offuscare il nostro operato. Questo è quanto Oderisi da Gubbio, scendendo dalla cattedra, ci ricorda prima che altri diano voce ai messaggi di Beuys trascritti sulle lavagne.
Ma la marea umana deve continuare a fluire: non più scolari, siamo nuovamente spettatori. Voci da tutto il mondo, voci di ogni età, prendendo a prestito le parole dei poeti come Majakovskij (tra le altre, La nuvola in calzoni), ci ricordano l’importanza di rapporti umani basati sull’amore e sulla fiducia reciproca, sull’amicizia e sull’universalità d’intenti. A scandire il ritmo l’ottimo gruppo musicale che, sottolineando o incalzando questa scolaresca sui generis, ci spinge, a un certo punto, a riprendere il nostro cammino, verso l’immagine di un’Italia rovesciata – issata, a fianco del coro degli iracondi. Qui sì abbiamo l’invettiva, contro il Belpaese sempre servo e attraversato da continue guerre – colpisce la veemenza della denuncia in quanto accostata alla voce pacata di Marco Lombardo (interpretato da Alessandro Renda) che rivela come, avendo gli uomini il libero arbitrio, siano loro stessi la causa prima dei loro mali. L’Italia rovesciata, in particolare, colpisce e rimanda forse inconsapevolmente ai lavori di Luciano Fabbro – esposti anche recentemente nella mostra Nascita di una Nazione, presso Palazzo Strozzi a Firenze – che denunciavano i guasti del fascismo oltre agli avvenimenti di piazzale Loreto, a Milano, del 29 aprile ‘45 (in rappresaglia della strage del 10 agosto ‘44) .
Un’ascesa, quella del Purgatorio, che non risparmia la denuncia degli arricchimenti impropri dei due poteri dell’epoca – quello delle monarchie, ossia del potere laico, denunciato dalla voce potente di Luigi Dadina che impersona Ugo Capeto; e quello della Chiesa, più terreno che non spirituale, che assume la voce pacata di Alessandro Argnani, nei panni di Papa Adriano V°. Interessante la realizzazione di questo quadro, quasi monastico, con un ritorno alla terra e alla sua coltivazione quale metafora di rigenerazione – più che rimando alla posizione a bocconi degli avari e prodighi del Purgatorio dantesco.
La fine del percorso si avvicina e, con essa, ci accoglie il paradiso terrestre – o, come metateatralmente rivela Martinelli: un parcheggio. Le figure di quattro giovani, che si prendono cura di altrettanti alberi in vaso, fanno da sfondo. Improvvisa e inaspettata parte l’ultima invettiva: “voi non avete più alibi, e noi non abbiamo più tempo”, un monito che risuona pesantemente in questo mondo dove le scelte radicali – ideologiche o religiose – hanno portato anche a gravi disastri – in vite umane e non solo. Questo finale, di forte denuncia nei confronti del cambiamento climatico e delle pericolose ricadute socio-economiche che potrebbe avere, riaccende, soprattutto tra i giovani, l’urgenza di un futuro alternativo. Quella fede in “un altro mondo è possibile” che negli ultimi vent’anni ha significato i social summit di Porto Allegre, le lotte in Chiapas, la manifestazione di Genova 2001 – con corollario nella scuola Diaz. Come allora la necessità di ripensare e ripensarsi viene dal basso perché coloro che detengono il potere, ieri come oggi, hanno altri interessi – ben più lucrosi e immediati. Quella rivendicata è una svolta radicale ma che escluderebbe dai giochi e dalle decisioni, ancora una volta, coloro che al momento hanno poca incidenza, i poveri del mondo, coloro per i quali la sussistenza, a oggi, è il problema principale. Modificare lo stile di vita è una richiesta valida, condivisibile, ma a chi può essere rivolta? Forse a coloro che lo stile non sanno nemmeno cosa sia?
Questo Purgatorio, firmato Albe, è un percorso estremamente ricco, sia dal punto di vista estetico che etico. Anche il côté musicale, grazie alla cura di Luigi Ceccarelli, unitamente alla maestria dell’ensemble musicale e dei cori, non è stato da meno. L’intero dramma itinerante ha offerto molti spunti di riflessione sull’oggi e ha reso attuale un’opera all’apparenza lontana, da un punto di vista temporale, rivitalizzandola e proiettandoci verso l’ultima tappa, il Paradiso, che abbiamo solamente intravisto. Un lavoro – questo sulle tre cantiche dantesche – che ha coinvolto e coinvolge migliaia di persone, provenienti da ogni regione d’Italia, ognuna importante nella propria individualità eppure partecipe di una comunità che, attraverso gli errori del passato, è alla ricerca di un futuro, possibilmente prossimo, che possa dirsi davvero umano.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Ravenna Festival 2019:
Ravenna, varie location

sabato 6 luglio, ore 20.00

Purgatorio
Chiamata Pubblica per la Divina Commedia di Dante Alighieri
ideazione, direzione artistica e regia Marco Martinelli ed Ermanna Montanari
in scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Matteo Gatta, Roberto Magnani, Mirella Mastronardi, Marco Montanari, Gianni Plazzi, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli, Alessandro Renda
e i cittadini della Chiamata Pubblica
musiche Luigi Ceccarelli
in collaborazione con Giacomo Piermatti e Vincenzo Core
e con gli allievi della scuola di Musica Elettronica e di Percussione del Conservatorio Statale di Musica Ottorino Respighi di Latina
e con la partecipazione di Simone Marzocchi
spazio scenico e costumi allievi dell’Accademia di Belle Arti di Brera Milano-Scuola di Scenografia e Costume coordinati da Edoardo Sanchi e Paola Giorgi
in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Brera-Milano
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci Fabio Sajiz
direzione tecnica Enrico Isola e Fagio
coproduzione Fondazione Matera-Basilicata 2019 e Ravenna Festival/Teatro Alighieri
in collaborazione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro
si ringraziano Istituto Superiore di Studi Musicale G. Verdi e Casa Residenza Anziani Garibaldi e Zarabbini per la gentile collaborazione rispetto all’utilizzo degli spazi

Foto di Silvia Lelli