L’insostenibile pesantezza dell’essere

In prima nazionale va in scena, al Fabbrichino di Prato, uno dei testi più noti di Heiner Müller, Quartett. Protagonisti Valentina Banci e Fulvio Cauteruccio.

Agli estremi di un’asse basculante due supereroi – o due espressioni di un superomismo kitsch – si affrontano con le armi che, solo alla fine, si arricchiranno di significati.
Al Fabbrichino, con un allestimento che vagamente rimanda al piccolo capolavoro di Dario Marconcini e Giovanna Daddi, Minimacbeth, si accende uno scontro che è, sì, verbale ma che colpisce per la corposità contenuta nelle parole.
L’inizio è interlocutorio: la tavola – sulla quale banchettano i resti umani di quella classe isterilita che sarà a breve spazzata via dalla storia, grazie alla Rivoluzione francese – non è facile da tenere sotto controllo, le parole sembrano rotolare sulla stessa colpendo, alternativamente, i contendenti/complici. I ricordi svelano e distruggono passato – e futuro – nel tentativo, per entrambi, di uscirne in qualche modo vincitori. Mentre tutt’intorno a questi due naufraghi alla deriva, altri squali vorrebbero divorare le carcasse ormai putrescenti di coloro che, forse, si sarebbero potuti amare – se avessero saputo cos’è l’amore.
La musica interrompe e amplifica i temi dello scontro, accentuandone lentamente il ritmo ogniqualvolta le tenebre celano i contendenti alla visione del pubblico. Il testo di Heiner Müller carica il côté più crudele con una crudezza di linguaggio, a volte più tagliente dell’aggressione fisica.
L’offerta di una giovane e innocente ragazza è l’estremo tentativo di ravvivare le fiamme di un rapporto consunto. Ci si altalena nei ricordi quasi in un amplesso, con il movimento della tavola a cullare la vacuità di un piacere sbiadito. Ma la situazione, sempre più in bilico, quanto i movimenti sul piano inclinato, diventa ingestibile e fisicamente pericolosa.
L’interpretazione antinaturalistica a questo punto si fa gioco, metateatralità esplicita: il tono diventa provocatoriamente ammaliante ma, per quanto possano cambiare le vittime, i carnefici restano immutabilmente se stessi.
In questa seconda parte lo spettacolo scorre con maggiore naturalezza, si ristabilisce una momentanea classicità attorale, e il pubblico si perde nel gioco del corteggiamento solo apparentemente meno greve. Il dramma batte all’uscio, e si manifesta con la scoperta dell’imbroglio: la voce si fa rantolo, la bocca uno strumento meccanico di derisione – prima di sottrarvisi definitivamente.
Il regista, Roberto Latini, si muove da un universo pop, vicino al fumetto a stelle e strisce, trasformando il piacere sadomasochista della coppia di libertini in una parodia di se stesso. Questo, a discapito forse della pesantezza greve ma autentica del testo originale. Il crescendo verso l’abisso, al contrario, dichiarato nella metateatralità della seconda parte, fa risaltare lo stridore tra gli sfizi ludici di una classe votata all’autodistruzione e l’universo in fermento di un proletariato che circondava sempre più da vicino quei giardini patrizi – che non si poteva più accontentare con delle brioche.
Relazioni pericolose, ieri come oggi. Il supereroe non può perdere, non siamo abituati a vederlo giacere sconfitto, eppure il pubblico, forse inconsciamente, lo segue con un sottile piacere verso il baratro di un’autodistruzione quasi agognata. Ci si rotola simbolicamente nei propri escrementi, annichiliti, goffi, quasi che il tragico destino sia ineluttabile.

Lo spettacolo continua:
Teatro Fabbricone – Sala 2 (Fabbrichino)
via Ferdinando Targetti, 10/8 – Prato
fino a domenica 17 dicembre, feriali ore 20.45, sabato ore 19.30, domenica ore 16.30 (lunedì 4 e 11 riposo) |

Quartett
di Heiner Müller
traduzione Saverio Vertone
regia Roberto Latini
con Valentina Banci e Fulvio Cauteruccio
musiche Gianluca Misiti
scena Luca Baldini
costumi Anna Maria Clemente
luci Roberto Innocenti
assistente alla regia PierGiuseppe Di Tanno
produzione Teatro Metastasio di Prato

Foto: Duccio Burberi